di Claudio Dellucca, Legambiente Bologna
Spinti da 2500 firme e dalla costante iniziativa del Comitato Rigenerazione No Speculazione, siamo chiamati come cittadini associati e amministrazione comunale a confrontarci in sede di istruttoria pubblica sulla pianificazione territoriale inerente il Quadrante Ovest che, giustamente, è venuta ad assumere una valenza cittadina.
Legambiente si è sentita e si sente impegnata in questa complessa partita, consapevole degli interessi in campo ma anche dei vantaggi collettivi che si potrebbero ottenere, attraverso soluzioni funzionali ai bisogni prioritari della della città. Per questo chiamiamo in causa il ruolo dell’amministrazione come volano della programmazione del territorio, ruolo che per anni è stato esercitato con scelte positive, come la salvaguardia della collina, la creazione di quartieri periferici dotati di spazi attrezzati.
Ruolo che è venuto gradualmente ad offuscarsi con obiettivi mancati (come la realizzazione della fascia boscata attorno all’asse tangenziale-autostrada), scelte infelici in campo urbanistico (come Borgo Masini, le edificazioni su via Stalingrado, il flop della Trilogia Navile), la crescita sproporzionata, nella quantità e nella distribuzione territoriale, dei grandi centri commerciali, l’incremento in eccesso del consumo di suolo.
Quando ragioniamo dei destini di un’area, il CRB, che si vuole trasformare in gran parte da struttura sportiva in un ennesimo punto di distribuzione commerciale, attrattore di traffico, quando si prefigura la drastica riduzione di una grande area verde spontanea, presente nei Prati di Caprara, quando si progettano ulteriori cementificazioni, dobbiamo una volta di più valutare le ricadute ambientali di quanto si vuole mettere in essere.
Si è molto parlato in questi mesi della ristrutturazione dello stadio Dall’Ara in assenza di progetti formalizzati: pur riconoscendo la necessità di un adeguamento significativo di questa importante struttura, crediamo sia necessario contenerne i costi, sia in rapporto all’esposizione finanziaria del Comune, sia per non ingenerare sbilanci compensativi di rilievo legati all’intervento finanziario della proprietà del Bologna FC, sbilanci che verrebbero a gravare pesantemente sull’assetto urbanistico e sulla qualità ambientale del Quadrante Ovest. Ragioniamo infatti di una zona della città densamente abitata e fortemente interessata dai flussi di traffico, satura di centri commerciali.
Dobbiamo cogliere l’occasione di configurare, con un’ottica di autentica lungimiranza, un quadro di interventi in grado:
- di incrementare il verde, antidoto in primo luogo rispetto agli agenti inquinanti e all’aumento della temperatura nell’habitat urbano;
- di potenziare il patrimonio culturale e le strutture sportive;
- di non alterare ulteriormente il tessuto distributivo che in questi ultimi decenni ha penalizzato le piccole entità.
Questi obiettivi sono raggiungibili attraverso la massima valorizzazione a beneficio della comunità del patrimonio in dismissione nelle aree demaniali dei Prati di Caprara Est ed Ovest, possibilità legata alla modifica del POC 2016. Tale piano prevede la riduzione considerevole del verde presente, riduzione prevista sia nell’area est, dove si prospetta sostanzialmente una fascia arborea di rispetto fluviale in relazione ad un progetto edificatorio di insediamenti privati e di un complesso scolastico, sia nell’area ovest, in rapporto alla creazione prevalente di diverse strutture produttive e commerciali.
Rispetto al vicino ospedale Maggiore, alla zona S.Viola e alla città nel suo insieme, sarebbe un grave errore privarsi anche in parte (come già avvenuto per lo scavo funzionale all’edificazione degli edifici scolastici) del prezioso polmone verde spontaneamente cresciuto nel corso di anni di abbandono dell’area.
All’interno dell’ambiente cittadino, inteso come sistema di rapporti da cercare di mantenere in equilibrio, cemento e verde costituiscono due fattori in opposizione, in particolare sia rispetto alla loro incidenza sui fenomeni inquadrabili nel surriscaldamento della temperatura sia in rapporto alla capacità di attutire ed assorbire le precipitazioni piovose.
I dati a disposizione a partire dal 1961 sui maggiori centri urbani a livello regionale e nazionale, ci parlano di un rialzo della temperatura media superiore di 2 gradi a quello registratosi nelle aree rurali: questo perché la presenza – in significative concentrazioni – di asfalto, cemento, emissioni derivate dal traffico e dagli impianti di riscaldamento determinano lo sviluppo di un microclima nettamente più caldo rispetto alle aree meno antropizzate: si parla in questo senso di isole di calore.
In città le categorie più deboli, soprattutto gli anziani, sono esposte a seri rischi per la salute in presenza dei sempre più frequenti ed intensi picchi di calore estivi: da qui l’accentuarsi dei ricoveri e dei casi di mortalità. Attraverso l’evapotraspirazione, gli esemplari arborei, specie se in grande concentrazione, possono assolvere ad una funzione regolatrice del clima: per diminuire il calore causato dal cemento e da un paesaggio fortemente urbanizzato è assodato sia importante incrementare le aree ombreggiate.
La presenza di alberi influisce enormemente anche sui consumi energetici, contribuendo alla riduzione dei bisogni di aria condizionata, che si traduce in minori costi e soprattutto meno emissioni climalteranti. Ecco perché grandi e medie città, come Bruxelles e Parigi, hanno puntato sull’estensione delle aree boschive per contrastare, oltre all’inquinamento, le alterazioni del microclima: non è quindi indifferente mantenere un bosco urbano con alberi di alto fusto su una superficie esistente di circa 40 ettari rispetto ai 24 previsti dal POC, con la realizzazione di un parco che potrebbe comportare l’abbattimento di alberi adulti e la ripiantumazione di esemplari di piccole dimensioni, con capacità mitigatrici decisamente minori.
Il recente rapporto dell’IPPC, denunciando i rischi di irreversibilità dei rapidi e preoccupanti cambiamenti climatici in atto, richiama l’urgenza di strategie e di misure su diversa scala, come hanno sottolineato oggi i sindaci di Milano, Barcellona ed Atene in una lettera a nome della rete internazionale dei C40.
Lo stato e l’amministrazione comunale, citando un motto per noi sempre più carico di valore imperativo, debbono farsi quindi carico di fronte alla collettività di “Pensare globalmente e agire localmente”. Il piano di adattamento ai cambiamenti climatici elaborato dal Comune richiede scelte di pianificazione urbanistica sempre più coerenti e concrete e, se necessario, come in questo caso, revisioni migliorative anche nel breve periodo.
Fare questo significa mettere al primo posto anche i benefici economici collettivi che, sulla lunga distanza, si possono rivelare maggiori rispetto ai valori di immediato realizzo monetario: il massimo investimento per l’ambiente città vale ben di più di un’entrata per ripianare i bilanci dello Stato.
Crediamo che le risposte ai bisogni abitativi che hanno portato a prefigurare le trasformazioni indicate nel POC vadano ricalibrate e adeguatamente dimensionate, individuando altre e più idonee localizzazioni per opere di rigenerazione e di recupero edificativo, a vantaggio delle categorie più deboli, senza altro consumo di suolo: non andiamo ad alimentare domande che poi non trovano rispondenza ed agiamo per diminuire lo sfitto.
Chiediamo quindi di rivedere il POC, rinunciando, nella zona Est, alla costruzione di edifici abitativi e commerciali rinforzando invece le sue caratteristiche di bosco urbano con i necessari e forse non rilevanti interventi: in un’area con queste caratteristiche non ci sono necessità di bonifica radicale, bonifica che dovrebbe essere stata tra l’altro in parte garantita dai diversi esemplari arborei cresciuti in tanti anni.
Sottolineiamo in ogni caso che la manutenzione di un bosco non richiede la stessa cura di un parco: “in nessun caso il bosco deve essere una “foresta curata a giardino” poichè non è lo spirito alla base della sua concezione” [*]. Negli interventi istituzionali è stata posta in particolare rilievo la necessità di una profonda bonifica bellica e dagli inquinanti del terreno: entrambe si giustificano in riferimento agli scavi funzionali alle costruzioni previste dal POC, mentre l’agibilità in superficie della parte di terreno, attualmente priva di vegetazione e non assoggettabile per noi a costruzioni, potrebbe essere praticabile senza interventi particolarmente invasivi e quindi dispendiosi.
A riguardo sarebbero particolarmente urgenti campionamenti diffusi su tutta l’area e differenziati per profondità di prelievo, estendendo le rilevazioni anche alle falde di afferenza.
Gli spazi non alberati, una volta ritenuti pienamente agibili, possono essere resi fruibili per permettere il passaggio, lo stazionamento, le pratiche sportive – coinvolgendo nella tutela e nella vigilanza in tutta l’area anche forme di volontariato organizzato. Per quanto concerne l’area Ovest, ferma restando la salvaguardia del verde presente, si dovrebbe puntare, per gli spazi attualmente cementificati, sulla rigenerazione degli edifici ex militari al fine di potenziare anzitutto l’offerta di strutture per la formazione e la cultura, lasciando spazio all’iniziativa pubblica e privata, con il coinvolgimento dell’Università degli Studi, degli enti di formazione professionale.
Chiediamo, per concludere, alle amministrazioni statale e comunale -nei rispettivi ruoli – uno sforzo coordinato per compiere un salto di qualità nelle pratiche di dismissione delle aree militari, che riguardi anche altri casi nella nostra città, conservando e valorizzando in chiave pubblica un grande patrimonio, anzitutto quello costituito dal verde, non ripristinabile nel breve periodo.
Fare questo è possibile (ci sono esempi vicini a noi, come a Venezia di dismissioni a totale beneficio della comunità), è prioritario: lo chiede l’ambiente, lo chiede gran parte della città.
Nota
[*] Tratto dalla scheda pubblicata sul sito del comune di Bruxelles
Questo intervento è stato presentato nel corso della seconda seduta dell’istruttoria pubblica per i Prati di Caprara e la politica urbanistica