L'agorà del "Manifesto in rete"

3 Aprile 2018 /

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di Silvia Napoli
Diceva De Andrè che dai Diamanti non nasce niente: allora, si potrebbe chiosare, negli scarti, nei materiali di detrito di questa tornata elettorale, potrebbero però trovarsi anche perle di saggezza da coltivare nel dibattito pubblico. Da una lunga vicenda di ricorrenti crisi economico-organizzative riguardanti un’area di pensiero orientata ma non dogmatica, curiosa ed “esperta” che pratica in qualche modo l’ecologia mentale e fa riferimento al giornale più blasonato e longevo delle nuove sinistre nostrane e non solo, nasce l’Associazione il Manifesto in rete.
Una associazione ben determinata a produrre pensiero non inquinato da tatticismi di varia natura e fecondo di nuovi stimoli critici assertivi e potenzialmente aggreganti. Praticare il rigore intellettuale e insieme il massimo di apertura nella ricezione dei contributi di tanti è in qualche modo impresa eroica, uno sporco lavoro assolutamente necessario e da compiersi con classe e pazienza certosina.
Cosi, non ci meravigliamo se all’indomani delle tanto attese e temute elezioni politiche 2018, largamente prevedibili negli esiti delle urne, molto meno nelle alchimie governative tutte da definirsi, è proprio il nostro capitano coraggioso Manifesto in rete, ad assumersi l’onere di convocare a Bologna un incontro dal titolo vagamente catastrofista: sinistra anno zero.

Mentre escono pensosi testi sulla fine annunciata del Capitalismo, sulla morte della Democrazia e si diffonde la percezione di una perniciosa frammentazione sociale, tocca però interrogarsi e misurarsi in qualche modo su quello che ci accade nel qui e ora nel precipitare, o meglio, scivolare inesorabile degli eventi.
La Sinistra o quel che ne rimane sembra perdere appeal, seguito, consenso, ascolto nel Discorso Pubblico e subito già a dir cosi, sorgono domande molteplici e fastidiose:ma quale Sinistra, se la Sinistra non esiste più da un pezzo, la Sinistra come formazioni politiche, come insieme di istanze, come base sociale? E non sarà che tutto questo è stato riassorbito e sintetizzato dal termine –bestia nera del momento, quel “populismo” che viene sapientemente agitato e agito alternativamente come feticcio e spauracchio dai nuovi apprendisti stregoni della comunicazione ipersemplificata?
Tutti questi interrogativi assillano certo i numerosi “compagni” presenti in sala, preoccupati certo, smarriti forse, ben decisi tuttavia a non fare del reducismo spicciolo, attenti a non buttarsi croci addosso, avvezzi a non mangiare certo bambini e neppure a buttarli con l’acqua sporca, ma forse stavolta tentati di buttare il contenitore alquanto sbeccato delle proprie speranze.
Il grande convitato di pietra della discussione appare naturalmente essere il Movimento 5 Stelle, che dai click passa ai voti con nonchalance e una organizzazione che appare ancora un oggetto misterioso a chi per anni si è macerato sul rapporto partiti, forme organizzate, movimenti, corpi intermedi, cinghie di trasmissione che saltano e altre complessità varie:ne discettano con accenti diversi esponenti di punta di area bolognese e non solo del centro sinistra che non si sente tanto bene.
In primis, lucida, appassionata tagliente la politologa Nadia Urbinati, cui è affidata la intro, il giovane segretario della FIOM bolognese Giunti, fresco di nomina, pacato, argomentativo, tutt’altro che sindacalese nel tratto, il sociologo stropicciato e sarcastico, in versione leggermente crepuscolare Fausto Anderlini e, in realtà non a sorpresa, date la vocazione organizzativa e le modalità partecipative che gli si riconoscono da tempo, l’Assessore con la a maiuscola, Matteo Lepore, a tutt’oggi golden boy certificato della giunta Merola, pur smarcandosi spesso e volentieri, o forse proprio per questo, dalle posizioni ufficiali di partito.
Certamente qualificato a strigliare neanche tanto velatamente i suoi, visto che propose inascoltato la candidatura Bonino e sappiamo invece come sia andata. Si parte dalla constatazione, che già parlare di shock, sorpresa, sconcerto per il verdetto delle urne sia vagamente in quietante e la dica lunga sul piano di irrealtà in cui si sono mosse le forze di governo i vari think tank mainstream, ma anche, ohinoi, i giovani outsiders di Potere al Popolo, pizzicati, si fa per dire, a festeggiare post prova elettorale, ma forse, semplicemente a compattarsi e augurarsi futuri successi, un po’ come fanno le squadre di rugby.
Del resto, che il gioco sia duro è evidente a tutti, soprattutto perché c’è stata una invasione di campo, come racconta con garbo, il sindacalista:tra gli operai paradossalmente sospesi nella narrazione,tra privilegio, arroccamento difensivo, ma anche flessibilità, precarizzazione di destino, misure di controllo inaccettabili, condizioni ambientali altrettanto proibitive e soprattutto impotenti a esprimere come invece è accaduto in un passato che sembra collocatosideralmente, una conflittualità orizzontale che aggredisca i nodi della ingiustizia sociale diffusa. Dunque, perché no, Movimento 5 stelle, dunque perché no, soprattutto Lega, che a suo modo, consente di collocare una realtà spietata e incontrollabile entro un quadro di riferimento in qualche modo più ampio, attribuendo colpe, cercando capri espiatori.
Estrema attenzione tra il pubblico, che sarebbe più corretto definire una comunità dispersa: molte teste pensanti di spicco, come Piero Ignazi, editorialisti di Repubblica, ma in questi casi, prevale la tentazione perversa di verificare i mancanti all’appello, che forse sono coloro che preventivamente avevano deciso di non giocare il gioco della ricerca di responsabilità e neppure di immaginare alleanze, blocchi, alchimie, semplicemente di continuare ad esserci e spendersi nella territorialità diffusa.
Un sottotesto infatti pervade gli ultimi due interventi del primo giro, quelli assai attesi di Fausto Anderlini e di Matteo Lepore, chiamati loro malgrado a interpretare due declinazioni diverse di uno stesso verbo, da grammatiche che stanno strette a loro per primi:ovvero, la dinamica locale-nazionale-transnazionale, la dinamica particolare- generale, piccolo-grande, che ha probabilmente punti direzionali differenti, oggi.
È sincero fino all’impudicizia il comandante Fausto, erede di buon sangue, quando confessa il voto e nel suo caso una generosa adesione a LEU, come forma di nostalgia e di ancoraggio identitario. A cosa, se non ad una idea appunto di collocazione a sinistra? Una sinistra che alla fine, scomponendo dati quartiere per quartiere, a Bologna tiene, aggiudicandosi nella sommatoria una percentuale ragguardevole rispetto al Partito Democratico, il grande sconfitto della situazione.
Anderlini se la prende anche con la presunta inesistenza materiale dei grillini, ma viene prontamente smentito da tanti, a cominciare dal giovane super assessore, che già dichiara di non sentirsi più cosi giovane e articola un intervento piuttosto lungo, partendo dal proprio esercizio di potere che lo porta a confronto con richieste inedite di problem solving, cui le istituzioni non riescono piu a far fronte, onde la necessità di creare nuovi canali di coinvolgimento. Canali che forse altri sono stati bravi a trovare ben al di là della tanto mitizzata Rete.
Dice Lepore infatti, che seguendo il lavoro dei banchetti per la carta dei diritti dei lavoratori, a firma cgil, cui lui ha dato convinta adesione e che rappresenta un primo tentativo di contrasto al vituperato job act, ha potuto incontrare molti esponenti pentastellati al lavoro, assai ben organizzati, capaci invece di parlare capillarmente alla gente. Soprattutto ai giovani, che preoccupano il nostro, sia perché volano altrove con i loro saperi e potenzialità, sia perché son costretti a defatiganti corse in bicicletta ben inscatolati, verrebbe da dire nei loro contenitori di pizze e, aggiungo io, bisognerebbe anche v verificare le famose buche stradali bolognesi per rendersi conto di quanto abbisognerebbero di tutele questi spericolati riders in the storm dei nostri tempi, sia perché, potrebbero, giovanissimi, essere invece tentati da un certo teppismo da curva che indulge troppo spesso al saluto romano. Duro lavoro di ascolto, dunque in primis, come medicina amara, quasi penitenziale, da somministrarsi ai quadri, evidentemente, essendosi evaporati i militanti di base.
Si mette in gioco il nostro assessore, e si comprende come nella sala l’atteggiamento nei suoi confronti sia ambivalente, dai diversi mormorii che si percepiscono, mentre intanto si raccolgono firme per l’abolizione del famigerato fiscal compact, ovvero il babau dei conti pubblici nostrani e non solo. Gli interventi dal pubblico, naturalmente rimarcano il neo liberismo come orizzonte programmatico del PD e origine di una disfatta annunciata e non ancora conclusa, estendibile, secondo i più, relatori compresi, fino alle prossime regionali. Lepore stesso, di fronte a questo possibile vaticinio, invoca un cambio di prospettiva e linguaggio che sa di movimentismo, sussumendo categorie interpretative diverse, come alto- basso o dentro- fuori, a segnalare la dialettica inclusione-esclusione, che non è, adesso, evidentemente una alternativa antisistema, ma una drammatica roulette russa sui principi della cittadinanza. Insomma, più dalle parti di Dickens, che di Marcuse.
In tutto questo, non si riesce neppure compiutamente a parlare di Europa, perché già appare difficile decifrare e farsi carico dei messaggi che il Sud del Paese, quasi abbandonato a se stesso, ci sta lanciando e su cui si intuisce, i giudizi e i pregiudizi si farebbero divergenti.
L’ora si fa tarda, la discussione appassionata e intelligente, ma permane l’impressione ancora di una parzialità: perché non darsi la prospettiva di costruzione di un fronte comune sull’ambiente, per esempio e dove sono i drammatici dati su decadimento dell’ occupazione femminile, soprattutto sulla inefficienza e assenza dei servizi di cura che sono un ineludibile supporto ad essa? Il settore servizio pubblico, che pure potrebbe essere una grande operazione di investimento e un serbatoio proficuo di occupazione qualificata non viene affrontato come argomento, cosi come il nostro sistema Cultura, per ora volano di immagine, ma non ancora costitutivo della identità nazionale e di una possibile differente produzione cognitiva, pure rimane accantonato. Inoltre, nonostante il blaterare informatico, se andassimo appunto a guardare il dato delle reti al sud, troveremmo un drammatico gap tecnologico che certo smentisce le narrazioni correnti di diverse premierships recenti.
Si riesce pero infine almeno a non demonizzare e banalizzare i grillini, a riconoscere loro una capacità di presenza e ascolto altrove mancanti, specie in un toccante intervento femminile, l unico che riesca in qualche modo a riassumere alcuni temi di cui sopra attraverso l’efficacia della narrativa in prima persona: il sud, la salute in fabbrica, l’essere donna. Si riescono a fare ancora discorsi assertivi e a chiare lettere sul tema Lavoro, grazie alla esperienza e cultura del giuslavorista Alleva, che crede nella reale possibilità di lavorare un po’ meno, un po’ tutti e infine, tornando al tema dell’esercizio della democrazia partecipata, se non diretta, almeno a livello locale, qualcuno, forse colpito dalla sua vena pedagogica, punzecchia Lepore sulla madre di tutte le incrinature nel rapporto di fiducia tra amministratori e amministrati, quel referendum sui finanziamenti alle Scuole private- parificate, che ha sancito una sorta di sordità del nostro Palazzo di fronte al volere dei cittadini.
A sorpresa, viene annunciato un possibile tavolo di discussione su questo tema e molti forse vorrebbero a questo punto, tra i presenti, una firma come si fa per le cambiali, rispetto a questa presa in carico di responsabilità, che forse si sospetta non condivisa da tutti nelle file del partito democratico.
Urbinati, viene chiamata a chiudere e confessa anche lei con delusione e scontento il suo voto per LEU, probabilmente maggioritario in questa sede, del circolo Giorgio Costa:molti suoi amici, invece, hanno votato i grillini, a testimonianza di un voto davvero pervasivo ormai in strati sociali e culturali insospettabili L’elettorato è fluido, non vota più per appartenenze identitarie e bisogna stare molto attenti sulle candidature e le promesse di rinnovamento non mantenute.
Quasi con un pizzico di rabbia, Urbinati tocca un tema che, con il passare dei giorni si fa scottantissimo:quali alleanze, del resto imposte da questa legge elettorale, per il governo? Inaccettabile il cosiddetto aventino del pd, che si illude di poter condizionare ancora i giochi e rasenta l’irresponsabilità di fronte alle sorti del paese in favore di calcoli elettoralistici tutti da verificare.
A fronte di questo materiale incandescente, la necessità di avere luoghi franchi, non pozzi avvelenati, non condizionati da giochi e giochini dove confrontarsi quasi off the records. Dove stanno, in realtà sedi ideali per questo? Per fortuna, una volta tanto la risposta non è nel vento, ma è nella realtà appunto del Manifesto in rete, realtà di costruzione, esemplificata dalla impeccabile conduzione di Sergio Caserta in questo caso. Viene dunque lanciata l’idea di una Bologna se non più fucina o laboratorio o officina, almeno Agorà di confronto e scommetto che siamo ancora in tanti a volerci credere in questi tempi pur difficili.
Bisognerà vedere se tutti, o almeno tanti, passata la “botta” elettorale avranno ancora necessità di parlarsi e cercare terreni comuni di discorso o, ancora, ognuno andrà per la sua strada da libero, si fa per dire, battitore.

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