Leggi, contratti, lavoro: un esempio, la scuola (terza parte)

20 Settembre 2017 /

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di Silvia R. Lolli
Altro esempio, rispetto al discorso che stiamo facendo, solidarietà per il diritto al lavoro di tutti in riferimento alla proposta di legge regionale del consigliere Alleva, può emergere guardando le ore settimanali dedicate all’insegnamento.
In genere sono 18, ma, da sempre, la cattedra di un docente può arrivare fino alle 24 ore settimanali. Succede spesso che alcune ore non vengano assegnate ai supplenti, ma agli stessi docenti della scuola che appunto aumentano le loro ore settimanali. Anche se oggi c’è una redistribuzione e, in base ai nuovi ammessi in ruolo, le cattedre all’interno delle scuole prevedono meno ore di insegnamento (è soltanto rispetto alla loro numerosità nelle diverse classi di concorso per la scuola superiore, quindi non è vero per tutti i docenti), dobbiamo sempre verificare le funzioni e le competenze diverse rispetto alla docenza, per alcune di queste attività. In questi anni si sono modificati i ruoli professionali senza una chiara definizione di essi, per legge.
Sarebbe dunque da rivedere la formazione delle cattedre per una distribuzione del lavoro fra più persone: aiuterebbe a diminuire ancora i precari, oltre ad allinearsi a questa proposta di legge regionale. Fra l’altro, nonostante la legge tanto sbandierata come “buona scuola” e obbligatoria per l’assunzione dei precari in genere molto “maturi” – poteva essere limitata solo ad essi – , assistiamo ancora a sacche di precarietà e di disfunzioni in questo inizio di anno scolastico: continua ad esistere il solito fenomeno di cattedre occultate ed opportunamente fatte uscire solo al momento di dare lavoro ai supplenti annuali.

Lo scorso anno grazie alla nuova legge sembrava che la continua mobilità dovesse assestarsi, invece per errori anche amministrativi si continua ad assistere alla girandola di docenti in molte scuole, soprattutto quelle di periferia e più problematiche. Al di là di questo fenomeno e nonostante gli obblighi che ci imponeva l’Europa (sembra che recepiamo soltanto quelli legati ai vincoli di bilancio) nella scuola la precarietà non morirà mai. Perché?
Abbiamo il dubbio che, al di là delle incapacità previsionali sui reali fabbisogni, si continui solo ad avere una navigazione a vista per mantenere i privilegi di alcuni a scapito di tanti altri, in un mare di incapacità di chi deve organizzare che ci sembra aumentata anche per il dissanguamento che dal ministero Moratti in poi si è fatto degli uffici centrali e periferici del ministero della Pubblica (sempre meno!) Istruzione. Tante ancora le consulenze e conosciamo varie situazioni di dirigenti in ufficio arrivati solo pochi anni fa al superamento del concorso pubblico, quindi senza un vero e proprio curriculum ministeriale, ma prima al lavoro solo con consulenze ben pagate.
Nel Governo Renzi del resto due dei referenti della legge, tra l’altro giovani, e con formazioni manageriali ed economiche, erano solo consulenti esterni al Ministero. Le critiche anche solo alla pessima scrittura della legge le abbiamo già fatte, ora ci preme riflettere su altri aspetti. In un sistema burocratico forte, che per noi dovrebbe essere l’ossatura di uno Stato, non si possono improvvisare le dirigenze e gli uffici amministrativi. Il depauperamento dei posti di lavoro pubblici, che sta purtroppo continuando, oltre a farci spendere più soldi nell’immediato, ne ipoteca molti per il futuro del sistema incapace a far fronte all’attuazione di leggi sbagliate e ai buchi delle incompetenze ed improvvisazioni; si sta solo attuando un lento ed inesorabile declassamento della scuola della Repubblica, nella quale rimarrà l’individualismo, anche contrattuale più spinto e l’interesse a calmierare la perdita d’acquisto del proprio salario di contratti non rinnovati.
L’opportunità nella scuola prende sempre di più il posto del merito, dire il contrario è solo spot elettorale populistico. Ci sono posti di lavoro nella scuola pubblica? Secondo noi sì. Guardiamo per esempio la situazione delle dirigenze scolastiche. Già da anni, e quest’anno sembra ancora più problematico, ci sono tantissime reggenze in molte scuole, cioè molti dirigenti hanno, oltre la loro titolarità, altre scuole da seguire. Non bastavano il lavoro e le aumentate responsabilità il Governo ha pensato di assegnare ai dirigenti scolastici e alle scuole anche l’obbligo del controllo delle vaccinazioni degli alunni. Accenniamo soltanto ai nostri ricordi di medicina scolastica altro settore sparito nell’organizzazione dello Stato italiano. Per il nostro discorso sia tratta di altri posti di lavoro spariti, poi in altra sede potremo esaminare le altre conseguenze.
Sulla questione dirigenti scolastici ricordiamo che dieci anni fa al concorso indetto dopo tantissimi anni la commissione preposta in Emilia-Romagna bocciò moltissimi candidati; non crediamo fossero tutti così incapaci per assumere compiti dirigenziali rispetto ai pochi altri assunti. Le attuali reggenze sono altri posti di lavoro che non vengono assegnati; sappiamo che tutto ciò che raccontiamo non ha l’obiettivo primario dell’efficienza del sistema, ma solo dell’economicità, spending review eccetera.
Emerge sempre la contraddizione con l’idea centrale della legge regionale sul contratto di solidarietà espansiva. Rispetto ai principi solidaristici, quelli che si spiegano con i termini di redistribuzione del reddito o di progressività di carico fiscale o di impegni dello Stato per limitare le differenze economiche e sociali, ci sono poi altri elementi più generali, a livello nazionale, che dovrebbero essere cambiati con leggi appropriate. Per esempio le ore di straordinario dovrebbero essere tolte ed anche la questione delle pensioni dovrebbe essere affrontata con gli stessi principi.
Ci permettiamo di fare qualche domanda a questo proposito.
Quanti sono i dirigenti, soprattutto pubblici, che negli anni passati (a regime pensionistico retributivo) sono passati alla funzione dirigenziale nell’ultimo anno di lavoro per potersi assicurare una pensione più alta? Quanti sono coloro in pensione da anni senza aver contribuito come succede oggi alle spese della propria previdenza?
C’è una fenomenologia su questi temi, forse solo italiana; ci può aiutare a spiegare le risposte alla domanda fatta nella ricerca che accompagna la proposta di legge regionale del consigliere AER Piergiovanni Alleva: si chiede se si è d’accordo con il contratto di solidarietà espansiva, ricordando che nella futura pensione nulla cambierà. Sono i dirigenti, e i quadri sociali più alti quelli più favorevoli, lo sono meno gli operai.
Forse è una congettura sbagliata, ma sappiamo che attualmente l’INPS deve intaccare i versamenti degli operai (la cui previdenza non è in passivo) per far fronte alle richieste pensionistiche di molti quadri, dirigenti per esempio, le cui casse previdenziali, come quelle dell’INPDAP sono in passivo. La differente risposta data alla domanda può comprendere meglio le differenze che si creano e si sono sempre create fra chi vive o sopravvive nella realtà quotidiana e chi invece vive ancora in un limbo di settori che, nonostante i cambiamenti in atto, si mantengono ancora nell’idea dell’assistenzialismo e/o del privilegio. Non sappiamo se sia un problema soltanto per noi italiani, ma la nostra storia legislativa l’ha certamente ampliata.
Per ritornare alla questione contratto di solidarietà espansiva nel settore scolastico ci chiediamo perché si continuano in questi ultimi vent’anni a fare campagne sempre più spinte per dare minore importanza al lavoro quotidiano in classe dei docenti a favore di progettualità e continui aggiornamenti in cui l’unica cosa certa rimane la dequalificazione della professionalità docente per qualcosa di esterno che magari non ha neppure una certificazione precisa e comunque depaupera in termini economici le scuole e gli uffici ministeriali delle poche risorse a loro destinate.
A proposito di risorse non si possono dimenticare le maggiori risorse pubbliche date alle scuole paritarie per le quali non c’è mai la sicurezza nel controllo del personale docente e dei loro contratti. L’idea di solidarietà espansiva dovrebbe passare anche da e parti e, secondo noi, dovrebbe essere obbligatoria.
Dovrebbe poi passare anche da un controllo maggiore dei secondi lavori e dei lavori in nero, oltre che dall’eliminazione della possibilità di continuare a lavorare una volta in pensione; anche se la pensione viene decurtata ci sembra che lo spazio per ore a favore di contratti per i giovani ci possano essere anche in queste opportunità di utilizzare per anni personale in pensione.
Possiamo poi vedere che tra le risorse economiche che da anni vengono spese nelle scuole, spesso rimangono a favore degli stessi insegnanti soprattutto delle superiori di secondo grado (e, visto che sono pagati in modo diverso da altre attività, chi li fa ha un’ulteriore fonte di reddito) sono le quote relative ai corsi di recupero che dovevano servire a togliere il nero dei corsi di ripetizione. Poi forse, come per le altre forme descritte sopra, ha potuto calmierare le richieste di molti insegnanti per i mancati rinnovi contrattuali e il prolungamento o l’annullamento degli scatti di anzianità.
Questi ultimi avvenivano in automatico, e, a differenza di oggi, non c’era la possibilità di concorrere anche con la discrezionalità del dirigente, ad ulteriori premialità; già con il fondo incentivante inserito sempre per le ragioni esaminate dopo l’autonomia scolastica (che in molte parti fra l’altro è ancora parzialissima), ma soprattutto oggi con la legge “buona scuola(?)”- sempre più si sta rivelando un eufemismo questa dicitura sbandierata dal jockey Renzi -, si tratta di situazioni che, oltre a far cambiare i rapporti fra professionisti all’interno degli stessi istituti, creano nei fatti insegnanti di serie A e B senza che vengano chiaramente definite e quindi controllate nel reale merito, le diverse competenze attribuibili ad istituti giuridici diversi.
Abbiamo voluto esaminare solo un settore del pubblico per osservare come la proposta di legge regionale del Prof. Alleva potrebbe facilitare un cambiamento anche a livello nazionale, mettendo in atto forme di lavoro e di vita più solidaristiche ed in linea con la Costituzione Italiana.

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