Leggi, contratti, lavoro: un esempio, la scuola (seconda parte)

18 Settembre 2017 /

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di Silvia R. Lolli
Se ora leggiamo, limitatamente al settore scuola, le normative degli ultimi anni, non ultima la così detta “Buona scuola” e quelle relative alla contrattualistica, verifichiamo che nella pratica è avvenuto l’opposto a ciò che la legge regionale proposta di Piergiovanni Alleva, con il contratto di solidarietà espansiva, ipotizza per il futuro: una distribuzione del lavoro fra molti più cittadini.
Sappiamo di non essere esaustive, ma vogliamo ricordare alcuni cambiamenti che, oltre a rendere la professione docente qualcosa di diverso a prima, vanno in direzione opposta alla diminuzione dell’orario di lavoro a favore della solidarietà espansiva. Fra l’altro è avvenuto, proprio con lo sviluppo della contrattualistica aziendale, nelle singole scuole, che ha ormai quasi sostituito da vent’anni i contratti nazionali del pubblico e con una riforma della scuola (legge sull’autonomia del 1999) rimasta a metà, ma continuamente rimaneggiata e sostituita da altre riforme, fino all’ultima del 2015.
Tutto con l’unico fine di privatizzare i contratti di lavoro e depauperare il valore del salario degli insegnanti, in nome di una demagogia che vede nel corpo insegnante una spesa corrente per lo Stato troppo alta. Ma le spese per l’educazione non dovrebbero essere considerate spese d’investimento per lo Stato? La risposta a questa domanda purtroppo ci viene data quando emergono ancora poche preoccupazioni per i laureati che vanno all’estero a lavorare non trovando occupazioni valide qui.

Gli insegnanti rimangono con i livelli più bassi di reddito rispetto agli altri paesi europei. Le differenze di opportunità nel settore scuola emergono bene fra le generazioni di insegnanti: oggi si sta affrontando l’ennesima guerra fra poveri. La domanda sorge spontanea: dove sono andati a finire il principio distributivo e quello solidaristico?
Per esempio quanti contratti abbiamo perso nel corso del nostro più che trentennale lavoro? Almeno due e siamo in una situazione privilegiata rispetto ai nuovi docenti immessi in ruolo, ma deficitaria rispetto a chi è già in pensione da anni. Nel settore pubblico si legge meglio il problema generazionale. Rispetto a chi ha potuto usufruire degli scatti di anzianità ogni due anni, poi della possibilità di andare in pensione già con le mini pensioni e con il sistema retributivo e di chi ha usufruito fin da subito della buonuscita, noi crediamo di essere vittime di una truffa di Stato, perciò legalizzata. I giovani poi rimangono per anni in situazioni di precariato o di non lavoro quindi almeno non versano nessun contributo.
Non crediamo che ci siano stati per tutte queste situazioni solo obblighi richiesti dall’Europa, bensì da molti anni c’è stata la perdita dell’applicazione della nostra Carta costituzionale. Per inciso quando sentiamo l’ennesimo richiamo all’incostituzionalità per una legge approvata dalla Camera e non ancora dal Senato, legge che dovrebbe diminuire i vitalizi ai parlamentari ci sentiamo oltre che defraudati nei nostri diritti di uguaglianza, veramente truffati. In più i vitalizi per questa legislatura, che tra l’altro non ha fatto il suo dovere visto che avrebbe dovuto soltanto scrivere una legge elettorale in linea con la Costituzione, ci sono tutti. In questi giorni abbiamo letto che gli attuali parlamentari percepiranno la pensione di € 900,00 al mese a 65 anni. Perché per noi mortali si prospetta l’andare in pensione, cioè percependola, solo a 67 anni e con 40 e più anni di contributi versati? Ci sentiamo sempre di più truffati.
Vogliamo comunque fare qualche esempio nella scuola, per ragionare sulle finalità ultime della legge regionale, importante, ma solo se temporanea e con la previsione di minor spesa per le risorse pubbliche. Spesso le leggi emesse negli ultimi anni hanno contribuito a creare sacche di individualismo contrattualistico che danneggiano le finalità ultime della professione insegnante e creano una visione opposta alla solidarietà.
La contrattualistica nazionale, ma soprattutto aziendale per recuperare un po’ di quote salario, sta istituzionalizzando nella scuola nuove figure di insegnanti, per esempio le funzioni obiettivo o strumentali (la definizione è cambiata nel corso degli anni). Si propongono al collegio docenti che normalmente approva e senza alcuna discussione le funzioni e gli insegnanti che accettano la funzione. Sono docenti che continuano a fare le loro ore di insegnamento, ma a loro vengono assegnate altre attività, approvate dal collegio appunto, oltre a quelle per le quali hanno fatto i concorsi a cattedre.
Non c’è stata nessuna legge specifica che abbia istituito queste specifiche figure professionali nelle scuole, ma si è proposto nel contratto di lavoro ai tempi della legge sull’autonomia che ricordiamo è risultata incompiuta rispetto agli obiettivi iniziali. Molti docenti dunque hanno altri compiti, mantenendo il loro orario di lavoro (a volte anche aumentato) e percepiscono annualmente un reddito lordo, non certamente troppo ricco rispetto alle attività da svolgere, ma che può essere considerato una mensilità di un docente a inizio o metà carriera. Queste figure possono essere in ogni scuola dalle quattro alle cinque.
Se ragionassimo in termini di contratti di solidarietà espansiva, basterebbe mettere assieme tre scuole e salterebbe fuori un contratto per un altro docente a tempo indeterminato. Ancora meglio, si potrebbe finalmente pensare ad una figura specifica (attuando meglio l’idea inziale dell’autonomia), intermedia fra il dirigente e gli insegnanti, che potrebbe aiutare nell’organizzazione didattica; ormai i dirigenti sono presi da funzioni altre rispetto ai problemi di tipo più didattico e comunque anche per loro si dovrebbero prevedere funzioni più precise alle quali dover dedicare non più di 40 ore settimanali! Negli ultimi anni i dirigenti scolastici, con tutte le loro funzioni e responsabilità, passano tra le mura scolastiche o negli impegni istituzionali esterni, tantissime ore.
Comunque per la figura intermedia da noi individuata andrebbero verificate meglio le specifiche competenze per tale compito; invece si continuano a fare corsi di formazione un po’ alla rinfusa e si evidenziano sempre molte spese per soggetti esterni alle scuole, perché intanto si assegnano ai primi docenti disponibili le varie funzioni.
Così si è costruita negli anni una notevole differenziazione, economica e professionale, e sempre senza una vera valutazione di merito sulle specifiche competenze, nel corpo docente, quindi all’interno dei collegi docenti e dei singoli consigli di classe. Questo cambiamento delle figure professionali fra i docenti ci sembra tra l’altro il più grave, perché spesso ciò che ci ha rimesso è stata la didattica curricolare, già difficile da tenere ai massimi livelli con le continue riforme della scuola che i politici, per lo più incompetenti e populisti, ci hanno propinato negli anni.

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