Lettera da Amburgo: Maria chiede aiuto agli amici di Feltre, la petizione per lei e per Fabio

27 Luglio 2017 /

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di Gigi Sosso
Grido di dolore e libertà. Inchiostro blu, che racconta sofferenza ma allo stesso tempo speranza, nella lettera su un foglio a righe che Maria Rocco ha mandato agli amici feltrini dal carcere amburghese di Billwerder. La donna è detenuta ormai da più di due settimane, dopo le manifestazioni contro il G20. Mentre Fabio Vettorel, l’altro feltrino fermato dalla polizia tedesca, è stato trasferito fin dal primo momento nel carcere minorile di Hahnofersand, dal momento che ha appena 18 anni e lassù si diventa maggiorenni a 21.
La 23enne di Cesiomaggiore lancia un appello al mondo politico e culturale, sia a livello locale che nazionale, perché ritiene di essere vittima di un ingiustizia: c’è il rischio che rimanga in carcere, come minimo, fino alla fine di agosto. Ma se non dovesse cambiare la misura cautelare decisa dal tribunale di Amburgo per «grave violazione dell’ordine pubblico con resistenza a pubblico ufficiale», la carcerazione preventiva parte da 12 mesi, in attesa del processo.
I legali della famiglia (Prade di Belluno e Carponi Schittar di Venezia) stanno esplorando tutte le strade per riportarla in Italia, compreso un ricorso; nel frattempo il difensore della prima ora Serrangeli fa un po’ da portavoce e invoca un intervento deciso delle istituzioni: «La nostra diplomazia non si è proprio mossa e siamo di fronte a una grossa ingiustizia che riguarda dei cittadini italiani.

Bisogna che le coscienze si sveglino, affinché Rocco e Vettorel possano tornare a casa, insieme ai quattro italiani. Per cominciare, vorremmo delle firme pesanti sulla petizione messa in internet “Maria e Fabio liberi subito”. Quella del prefetto Esposito, oltre ai sindaci di Belluno e Feltre, Massaro e Perenzin e a tutti i parlamentari della provincia fino al governatore Zaia. Ho registrato qualche disponibilità, però adesso bisogna passare ai fatti. Finora sono molto deluso».
Rocco non ammetterà le circostanze che le vengono addebitate, perché ritiene di non avere niente da confessare: «Manifestare rimane un diritto, ma prende le distanze dalla violenza che ci può essere stata, nel senso che non era sua intenzione sostenere una manifestazione di quel tipo. Quella mattina ha soccorso una ragazza che aveva una frattura esposta alla gamba sinistra. Le contestano di non essersi allontanata, ma se l’avesse fatto, le sarebbe stata addebitata l’omissione di soccorso. Non poteva andarsene, allo stesso tempo non poteva restare. Non si sarebbe mai aspettata una reazione così pesante e di finire in un tritacarne».
Qualcosa non tornerebbe nei verbali d’interrogatorio: «Mi dice di non aver mai pronunciato parole che pure sono state trascritte nell’interrogatorio di garanzia del 7 luglio: non era in alcun modo travisata, anche se indossava un foulard per difendersi, eventualmente, dal gas dei lacrimogeni, e non si è messa a lanciare oggetti. Adesso abbiamo meno di dieci giorni, per convincere la Corte d’Appello a scarcerare i due ragazzi, prima delle vacanze di agosto. Non possiamo più aspettare: bisogna per forza muoversi.
La petizione

Questo articolo è stato pubblicato dal Corriere delle Alpi il 23 luglio 2017

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