di Alex Corlazzoli
Come cambierà la scuola nei prossimi anni dopo l’approvazione della “Buona Scuola” bis? Anzi. La domanda da farsi è questa: cambierà la vita scolastica dei nostri ragazzi con l’approvazione, l’8 aprile, degli otto decreti attuativi? Poco. Cambierà quella degli insegnanti? Un po’ di più.
Partiamo da un’osservazione. La verità è che questi decreti sono serviti a poco. L’ex premier Matteo Renzi e l’ex ministro dell’Istruzione Stefania Giannini non avevano compreso le reali urgenze della scuola italiana. Così, la ministra del governo Gentiloni, Valeria Fedeli, ha provato semplicemente a mettere un cerotto a una ferita che meriterebbe un intervento chirurgico.
Basta pensare alla questione della scuola media che resta l’anello più debole del sistema d’istruzione italiano: resterà tale e quale e continuerà a fare “morti”, ad aumentare gli abbandoni scolastici. O ancora la questione 0-6: il vero nodo è quello di rendere obbligatoria la scuola dell’infanzia come accade in molti Paesi europei. E ancora il tema genitori: una riforma degli organi collegiali è urgente per rendere effettiva e reale la partecipazione di mamme e papà alla vita della scuola. Per ora resterà tutto nei cassetti. Tuttavia, va dato atto che qualche cambiamento è avvenuto. Vediamo quindi, luci e ombre di queste decreti. Partiamo dalle luci.
Finalmente chi andrà a insegnare nelle scuole secondarie di primo e secondo grado non dovrà più essere solo un laureato in matematica o storia o lettere, ma dovrà saper insegnare la materia. I 24 crediti in settori psico-antropo-pedagogici o nelle metodologie didattiche, necessari per accedere al concorso, sono una novità importante. Così anche il percorso triennale di formazione, inserimento e tirocinio. Ora bisognerà fare in modo che questo percorso non diventi come l’anno di “prova” per gli insegnanti della scuola primaria: inutile, macchinoso, dispendioso (in termini di tempo). Risultato? Tutti superano la “prova”.
Resta, purtroppo, il concorso. Nella nostra Costituzione, all’articolo 97, c’è scritto che “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso”. Un articolo che andrebbe abolito, almeno per quanto riguarda la scuola. Non è, infatti, un concorso che può dire se uno sa stare in classe con dei ragazzi. Resta poi un problema sottolineato da Daniele Checchi sul Sole24Ore del 9 aprile: per una decina d’anni non vedremo giovani nelle aule. In realtà il problema non è giovani o vecchi ma è la formazione. I precari storici non possono essere improvvisamente cancellati, ma è chiaro che se pensiamo ai nostri ragazzi vanno formati. Così come va detto che non per forza un giovane che esce dall’Università sappia fare meglio della mia collega che insegna da 40 anni.
Altra rivoluzione: chi andrà a insegnare allo 0-3 dovrà avere la qualifica universitaria. Aggiungo: speriamo abbia anche un riconoscimento economico adeguato. Ancora: sull’inclusione tante sono state le critiche, ma nel decreto che riguarda i disabili c’è una novità importante ovvero il fatto che i supplenti in caso di rapporto positivo con l’alunno, su richiesta della famiglia, potranno essere riconfermati: le famiglie sanno bene l’importanza di questa norma. Così anche l’obbligo di assegnare il personale Amministrativo, tecnico e ausiliario (Ata) in base alla presenza di alunni disabili. Infine, il voto in “Cittadinanza e Costituzione”: nessuno l’ha notato (e forse questo non è un caso), ma il ministero ha introdotto nel colloquio della maturità anche la valutazione delle competenze su questo tema. Vedremo come verrà applicata tale indicazione legislativa.
Veniamo alle ombre. Tante. Alla ministra Valeria Fedeli, purtroppo, alla fine è mancato il coraggio di fare il salto, di dare uno strappo decisivo allo status quo della scuola italiana, togliendo la polvere lasciata ancora dall’ex ministra del governo Berlusconi Maria Stella Gelmini. In primis sulla valutazione: numeri o lettere? Restano i “4” e i “6”. Al ministero stanno provando a far digerire questa decisione raccontando che saranno affiancati da una valutazione delle competenze, ma alla prova dei fatti la maestra dalla penna rossa continuerà a fare le medie e a etichettare i ragazzi.
Altra questione: la bocciatura alla scuola primaria. La Giannini voleva toglierla. La Fedeli l’ha rimessa. La settima commissione del Senato ha proposto una soluzione per mettere tutti d’accordo. Una petizione online lanciata da chi scrive e da altri pedagogisti e maestri come Franco Lorenzoni, Daniele Novara e altri chiedeva che venisse tolta o che almeno venisse coinvolta la famiglia in caso di non ammissione. Risultato? È uscito un pasticcio all’italiana. L’articolo 3, infatti, ora cita: “Le alunne e gli alunni della scuola primaria sono ammessi alla classe successiva anche in presenza di livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di acquisizione. Nel caso in cui le valutazioni periodiche o finali indichino livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione, l’istituzione scolastica attiva specifiche strategie per il miglioramento dei livelli d’apprendimento”. Ora, se gli insegnanti decidono di fermare un bambino di sette anni, forse è il caso di pensare che non hanno attivato in tempo queste strategie per il miglioramento dei livelli d’apprendimento. Non solo. Un bambino a quell’età non avrà mai dei livelli di apprendimento raggiunti, ma sarà sempre in via d’acquisizione. Così com’è stato pensato questo articolo resterà in mano alla libera interpretazione dei docenti: il gruppo di insegnanti dalla penna rossa opterà per bocciare.
Infine la questione dei test Invalsi che restano un requisito di ammissione alla maturità. Con questo decreto il diritto di sciopero degli insegnanti che non aderiscono alla somministrazione del test è messo in discussione con un “trucchetto” non da poco. È una grave lesione dei diritti dei lavoratori e se in Italia ci fosse un sindacato serio avrebbe già reagito.
Un’ultima questione, quello che chiamo il decreto “fuffa” ovvero quello su promozione e diffusione della cultura umanistica. Il Miur si è inventato un altro piano, quello delle arti con l’idea di usare i docenti del potenziamento. Ma siamo sicuri che questi maestri e professori abbiano le competenze? Il problema è un altro: oggi nelle nostre scuole le ore dedicate all’arte e alla musica sono poche e a insegnare queste materie spesso ci sono amanti dei lavoretti e del piffero che, anziché, appassionare i ragazzi alle materie in questione, fanno tutto il possibile per allontanarli da teatri, musei e persino dalla curiosità.
Questo articolo è stato pubblicato da FattoQuotidiano.it il 10 aprile 2017