di Chiara Saraceno
Che non tutte le scuole siano uguali e frequentate nella stessa misura da bambini e ragazzi appartenenti alle più disparate condizioni sociali è noto. Soprattutto chi è in condizioni economiche più modeste e ha meno informazioni tende a far frequentare ai figli la scuola del quartiere. La disomogeneità sociale tra scuole è largamente l’esito della combinazione della disomogeneità sociale dei quartieri e della diversa disponibilità e capacità delle famiglie di scegliere la scuola per i propri figli. È ciò che probabilmente spiega la situazione così socialmente differenziata dei quattro plessi scolastici che compongono l’Istituto comprensivo di via Trionfale a Roma.
La descrizione che questo ne ha fatto sul proprio sito, per altro, risponde a una precisa norma ministeriale. Nella rendicontazione sociale annuale ogni istituto deve indicare il contesto in cui opera, in particolare specificando condizioni socio-economiche, cittadinanza, appartenenza o meno a gruppi nomadi e così via dei propri studenti. L’istituto avrebbe potuto, dovuto, analogamente a quanto fanno altri istituti, dettagliare meno le caratteristiche sociali degli studenti di ciascun plesso, come ha fatto dopo le reazioni della stampa, limitandosi a rilevarne l’eterogeneità. La direzione avrebbe evitato in questo modo l’accusa di essere lei a segregare gli studenti sulla base delle loro condizioni socio-economiche e di cittadinanza, laddove probabilmente si limita ad accettare le iscrizioni dove avvengono.
Lo scandalo provocato da una poco diplomatica scrupolosità nel dettagliare le distinzioni tra i singoli plessi dovrebbe piuttosto far riflettere criticamente sull’utilità, sui possibili effetti moltiplicatori della segregazione sociale a livello scolastico, di questo tipo di informazioni, se usate non a scopo di programmazione di modalità didattiche efficaci e di valutazione dei risultati, ma per presentarsi all’esterno, ai propri studenti, alle loro famiglie e ai potenziali nuovi iscritti. È una questione che va affrontata innanzitutto a livello ministeriale, dalla ministra, che non può chiamarsi fuori indignata a fronte di atti che rispettano alla lettera le norme. Devono porsela anche i genitori, i cittadini: quali sono le informazioni utili per decidere quale sia la scuola migliore per i propri figli, posto che si abbiano le risorse necessarie per scegliere? Rientrano tra queste la classe sociale e il tasso di diversità etnico-nazionale? Sono domande serie, con risposte non facili e probabilmente controverse.
Ma la forte differenziazione sociale, e concentrazione, degli studenti dei quattro plessi che costituiscono l’Istituto comprensivo di via Trionfale mette in evidenza due altri gravi problemi che vanno al di là del caso specifico.
Il primo riguarda la separazione territoriale dei diversi ceti sociali che caratterizza in modo più o meno intenso le nostre città, creando contesti di vita spesso anche molto differenziati per opportunità, tipo di servizi, infrastrutture. Come ha documentato, ad esempio, la recente ricerca di Save the Children su Le periferie dei bambini, anche chi vive nella stessa città e nello stesso Municipio può in realtà vivere in mondi separati fin da bambino e ragazzo.
Non basta, ed è il secondo problema, mettere assieme più plessi scolastici in un unico istituto comprensivo per fare interagire bambini e ragazzi che provengono da contesti socio-economici diversi, se questi abitano anche in zone diverse, ancorché contigue. È una semplice operazione di tipo amministrativo, non di integrazione sociale. Non occorre ricorrere alla forzatura, non particolarmente efficace, del busing, la dislocazione simmetrica di bambini bianchi e neri in scuole lontane dal quartiere in cui abitano messa in atto negli Stati Uniti per aggirare la segregazione scolastica derivante dalla segregazione di fatto abitativa. Occorre rendere sostenibile, attraente, efficace sul piano dell’apprendimento, la mescolanza di provenienze diverse. Per farlo occorre investire in modalità didattiche, curriculari ed extracurriculari, efficaci e in strutture scolastiche accoglienti. Fa parte di un ambiente accogliente anche non mettere i propri studenti, anche nello stesso edificio e aula, nella condizione di chiedersi in quale classificazione ufficiale rientrino: figli della alta borghesia o di chi è al servizio di questa, di professionisti o di badanti.
Questo articolo è stato pubblicato da Repubblica il 15 gennaio 2020