"Coglione, sei un coglione", quando Alfredo Reichlin ci dirigeva all’Unità

22 Marzo 2017 /

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di Rocco di Blasi
“Coglione, sei solo un coglione”: Alfredo Reichlin era in piedi davanti alla porta della sua stanza. Io ero a 60 metri più in là, appena uscito dall’ascensore. Il lunedì mattina, a Roma, era sacro perché c’era la “riunione grande”, quella che impostava idee per tutta la settimana. E così il c’erano sempre tutti i “santoni” del giornale, notisti politici e parlamentari come Giorgio Frasca Polara, Candiano Falaschi, Fausto Ibba, Enzo Roggi, una bella signora molto colta come Letizia Paolozzi; l’amabile Ugo Baduel, che tante ne aveva viste e tutto riusciva a sdrammatizzare.
Un gruppo di giovani molto valenti
E poi tutti i condirettori e redattori capo e un manipolo di giovani che lo stesso Reichlin aveva chiamato a raccolta. Valorizzato e messo in concorrenza tra loro: Caldarola, Cingolani, Adornato, Sansonetti, Capranica, Sergi, Cavallini, io stesso e tanti altri. Ma il coglione, quella mattina, ero io e me lo gridava nel corridoio davanti a tutti. Un’offesa bruciante.
Una voce dai toni inimitabili
Che avevo fatto? Qui dovreste sentirlo, perché la voce di Reichlin è unica (anche se non inimitabile, visto che abbiamo passato una vita a imitarlo. Sansonetti è quello che ci riesce meglio). La voce di Reichlin incazzato è ancora più esclusiva. “Sei stato a un convegno, hanno applaudito Ingrao per cinque minuti e tu non te ne sei nemmeno accorto. Neanche una riga. Ne-an-che u-na ri-ga co-glio-ne!”.
Il convegno era dei giovani comunisti. Che dei ragazzi applaudissero Ingrao per me era “naturale”. Probabilmente, in quel caso, avevo ragione io, ma passai una settimana da coglione. Anzi da co-glio-ne.

Sapeva “rompere e ricucire”
Rompere e ricucire: anche questo l’ho imparato da lui. Un giorno gli ho piazzato una lettera di dimissioni da caposervizio della sindacale (chissà perché ero finito lì, io volevo andare agli interni) e, anziché inalberarsi, mi ha detto: “Accompagnami al bar”. Non so che mi ha raccontato per strada, ma accompagnare Reichlin al bar era una sorta di privilegio assoluto. Voleva dire che ti stimava tanto da “accompagnarsi” con te, perché Alfredo era un vero aristocratico. E, insomma, potevo continuare a dimettermi dopo che mi aveva offerto il caffè?
Le famose “idee-forza”…
In realtà lui ti apriva la mente. Aveva inventato, anni prima l’espressione idea-forza. Voleva dire quelle idee che ti fanno inquadrare meglio una scena. E in ogni riunione cercava di metterne in campo una.
Quelli della sua età non l’amavano. Non amavano né le sue ire improvvise né i suoi gigionismi. E soprattutto questo suo continuo cercare il nuovo, il senso del limite li infastidiva. Ma per noi giovani le sue non certezze, anche se dette in maniera perentoria, erano stimolo vero. Noi volevamo piacergli. Non per piaggeria, quella solita delle redazioni, ma perché ci aveva messo in testa che, se gli piacevamo, voleva dire che avevamo scritto o trovato qualcosa di nuovo. Infatti lui amava “i giornalisti veri”.
Lo fece mai Reichlin quel giornale che disegnava ogni mattina in riunione di redazione? Quel giornale che non partiva dall’alto, dal partito alla società civile, ma dal basso, dalla scoperta di quel che girava nella società civile? Probabilmente no. Alla fine “il partito prevaleva”, ma non completamente, non sempre, non ovunque. Lui aveva fatto come Platone. Ci aveva messo in testa che esisteva un’idea di giornale, che stava dalla parte dei fatti, della gente, di quel che si muoveva nella cultura e nella società. Nell’Iperuranio di Reichlin c’era questo giornale qui. Poi come insegnava Platone, le “copie” non riescono mai ad essere perfette come l’idea. Ma è da quando Alfredo ci mise in testa queste cose che noi non ci diamo pace e ancora oggi cerchiamo la copia perfetta dell’idea.
Le cipolle del povero Ugo Baduel
“Le cipolle, ma lo sapete voi quanto costa un chilo di cipolle?”: la riunione di redazione si apriva con quel quesito insolito. “Stamattina ho accompagnato mia moglie al mercato e ho scoperto che un chilo di cipolle costa una cifra scon-vol-gen-te”. Nessuno aveva l’ardire di dirgli “Ma che te ne fai di un chilo di cipolle, quando te ne bastano due?” Anche perché incalzava “E la verdura? Sapete quanto costa la verdura? Ecco noi, chiusi qui dentro, non capiamo la gente. Baduel, domani vai al mercato e mi fai un bel pezzo sulle cipolle”.
Il povero Baduel, giornalista politico di quelli buoni, non voleva rassegnarsi a fare un pezzo sulla spesa di una casalinga e così cercava di introdurre una serie parametri più spessi. La distribuzione, i commercianti, i rapporti città-campagna. Ma Alfredo non demordeva. L’unica fortuna è che andava al mercato sì o no un giorno all’anno.
Battute da dirigente a dirigente con Botteghe Oscure
Anche l’orgoglio di essere noi ce l’ha consolidato lui (consolidato, perché di orgoglio ne abbiamo sempre avuto un bel po’). I suoi rapporti con Botteghe Oscure erano infatti ogni giorno messi sul tavolo senza troppa diplomazia.
“Devo chiamare su questa cosa, Botteghe Oscure. E speriamo di trovare Enrico. Ma se mi risponde Tizio che ho da chiedergli io a Tizio? So già tutto, anche senza di lui. “Erano battute da dirigente a dirigente. Erano uniti nella nomenklatura del Pci. Ma noi, intanto, imparavamo che “non tutte le Botteghe Oscure sono uguali”. Anche se, pur cercando ogni giorno le vie dell’autonomia, eravamo convinti che il big-bang c’era stato a Botteghe Oscure, che il nostro universo iniziava da lì.
Reichlin di quel che accadeva in quelle stanze sapeva tutto. Ne capiva i climi e umori. Sapeva, quasi per istinto, prevedere il futuro.
(…) Comunque, quando lasciò per la seconda volta, il quotidiano se ne andò proprio a Botteghe Oscure, come voleva, lasciandoci orfani.
Alfredo Reichlin ha diretto per la prima volta l’Unità dal 16 gennaio 1957 al 9 marzo 1962, la seconda dal 14 maggio 1977 al 5 ottobre 1981. L’autore di questa testimonianza ha lavorato con lui presso la redazione romana del quotidiano durante la seconda direzione.
Questo articolo è stato pubblicato da Consumatrici.it il 22 marzo 2017

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