Al cinema una biografia sui generis di Pablo Neruda firmata da Pablo Larrain

8 Ottobre 2016 /

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di Dario Zanuso e Aldo Zoppo
Neruda, di Pablo Larrain, Cile 2016 (uscita prevista: 13 ottobre 2016)
Un popolo, quello cileno, con lo sguardo proteso in avanti e poco propenso ad interrogarsi sul suo travagliato passato (sarà un caso, ma a Santiago, il suggestivo Museo della memoria e dei diritti umani, dedicato al ricordo delle vittime della dittatura militare, sorge in un quartiere semiperiferico, ben lontano dalle rotte turistiche).
Un cinema, quello di Larrain, che continua invece con ostinazione a perlustrare gli angoli più oscuri della storia cilena (con il suo ultimo film, che abbiamo da poco visto nel concorso di Venezia 73, per la prima volta esce dal Cile: racconta di Jackie Kennedy, nei giorni immediatamente successivi all’assassinio di Jfk). Nell’ambito di questa coerenza tematica, in ogni suo film sperimenta, con grande coraggio, nuove forme di cinema.
Dopo la trilogia che più direttamente ha affrontato gli anni della dittatura (Tony Manero, Post mortem e No), con questo nuovo film racconta uno dei padri mitologici della patria, il poeta Pablo Neruda (la cui vicenda esistenziale ha molti punti di contatto con quella di Allende: fu un sostenitore del suo progetto politico e morirà pochi mesi dopo il colpo di stato; nel Museo della memoria colpiscono le immagini clandestine girate in occasione del suo funerale a Santiago, in cui per la prima volta, nonostante il dispiegamento dei militari, si manifestò pubblicamente l’opposizione alla dittatura).

Lo fa sfuggendo a tutte le regole e le convenzioni del genere biografico, e mescolando, con scene dalla grande suggestione visiva, elementi del noir e del melodramma. Inizia come un film politico per poi prendere le vie del poliziesco e, anche, del western.
Siamo alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso. Neruda (Luis Gnecco), oltre ad essere un affermato poeta, è un senatore del partito comunista. In un celebre discorso nel parlamento denuncia la svolta autoritaria del presidente Videla (Alfredo Castro, l’attore prediletto di Larrain) e si mette dalla parte dei minatori in rivolta. La situazione precipita, il partito comunista è messo fuori legge e i suoi militanti arrestati. Neruda è costretto alla fuga assieme alla moglie, protetto dalle strutture clandestine del partito. Sulle sue tracce l’ispettore di polizia Peluchonneau (Gael Garcia Bernal, già protagonista di No). Lo inseguirà in lungo e in largo per il Cile, finendo per essere ossessionato dal fascino della sua vittima.
Neruda è tutt’altro che un film retorico e manicheo: non è il racconto della lotta del bene contro il male, della rivoluzione contro la reazione. Il film ci mostra la storia in azione, ma lo fa soprattutto mettendo in luce le ambiguità e le ombre dei suoi artefici, siano essi personaggi famosi o oscuri. Come ci appare, ad esempio, Neruda? È certo il protagonista di importanti battaglie politiche a favore del popolo, ma è anche un uomo dai gusti eleganti ed aristocratici, amante della bella vita e delle belle donne, che cadono in deliquio ai suoi versi.
Un narciso, innamorato del suo genio e dei piaceri della vita. Una donna del popolo, “che pulisce la merda dei borghesi dall’età di 11 anni”, con candida ingenuità trova il coraggio di chiedergli come andranno le cose dopo la rivoluzione comunista, quando tutti gli uomini saranno uguali: saranno tutti come lei o come lui? Il film è stato presentato a Cannes e, in anteprima italiana, al Biografilm Festival.

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