Tre consigli per spiegare l'immigrazione ai più piccoli

10 Agosto 2016 /

Condividi su

L'immigrazione spiegata ai bambini. Il viaggio di Amal
L’immigrazione spiegata ai bambini. Il viaggio di Amal
di Paolo Armelli
È uno dei temi su cui più siamo abituati a dividerci, polemizzare, discutere. Eppure l’immigrazione è anche un fenomeno fondamentale per decifrare l’attualità e il contesto socio-economico dei nostri tempi. Spesso gli adulti ne parlano per frasi fatte, preconcetti e senza cognizione di causa: un motivo in più per spingerci a spiegare questo argomento in modo chiaro e immediato, invece, ai più piccoli.
È il presupposto da cui sono partiti il giornalista Marco Rizzo e l’illustratore Lelio Bonaccorso – collaboratori di Wired proprio sul tema dei migranti – realizzare la storia a fumetti L’immigrazione spiegata ai bambini. Il viaggio di Amal, edito da Beccogiallo. Ma perché parlare proprio al pubblico dei più giovani di questo tema? “Avevamo lavorato in precedenza al libro La mafia spiegata ai bambini”, racconta Rizzo. “Subito ci è venuto in mente di parlare di immigrazione, che è un altro tema che ci è molto vicino per ragioni geografiche [i due autori sono siciliani, ndr]. Volevamo fornire degli strumenti ai ragazzini che imparano nelle scuole”.
Lo spunto di partenza è il viaggio di quattro animali che si trovano costretti a convivere, letteralmente, su una stessa barca. Sono gli animali che accompagnano i migranti e diventano il tramite per raccontare le loro vicende: “Molto spesso chi si mette in viaggio in cerca di una vita migliore”, spiega Rizzo, “si porta dietro una capra o una gallina: le uniche loro ricchezze. Più spesso oggi dalla Siria, dove c’era un tenore di vita discreto in alcune città, ci si porta appresso animali domestici come cani o gatti”. Una prospettiva che sicuramente può incuriosire e attirare l’attenzione dei più piccoli.

Per trasmettere con immediatezza e senza retorica i messaggi legati all’integrazione gli autori sono ricorsi a una serie di strumenti che possono essere utili anche a qualsiasi genitore che voglia affrontare con i propri figli queste tematiche così delicate.
1. Fare attenzione al linguaggio
“I bimbi già sono a conoscenza delle dinamiche dell’immigrazione: è inevitabile che sappiano che ci sono queste persone che arrivano sui barconi, così come molto spesso hanno compagni di classe di origini straniere”. Gli animali possono essere dunque uno strumento per avvicinare il discorso con semplicità, veicolando al contempo una necessità di comprensione: “Non c’è bisogno di utilizzare grandi metafore”, consiglia Rizzo.”L’importante è lavorare molto sul linguaggio anche per evitare di cadere in parole che sono frutto di propaganda politica o di una retorica utilizzata anche dai media. È necessario raccontare che, oltre alle etichette, ci sono le persone”.
2. Non aver paura della realtà
Raccontare senza pregiudizi e finzioni è il modo più diretto per rappresentare ciò che questi bambini vivono quotidianamente nella loro realtà: “Non c’è bisogno di inventare nulla: le storie che racconto sono quelle che ho raccolto negli anni facendo il giornalista”. In effetti la conoscenza diretta è un modo per evitare fraintendimenti o generalizzazioni: “Il consiglio che do a tutti quelli che fanno esternazioni razziste è quello di andare a parlare con questi migranti: sentire le loro testimonianze ribalta ogni luogo comune. Raccontarle ai ragazzi allo stesso modo può essere utile per far crescere cittadini consapevoli, alimentando una specie di propaganda buona”.
3. Utilizzare immagini buone
“L’uso di immagini colorate, vive, con personaggi dalle fattezze morbide”, spiega in conclusione Rizzo, “è un mezzo di comunicazione universale che può colpire il bambino, ma forse anche l’adulto, ancora prima del testo”. Qual è il messaggio finale su cui si deve puntare per stimolare la riflessione dei più piccoli? “Che in fondo siamo tutti uguali. Ma loro questo già lo sanno, vivono quotidianamente la diversità. È solo una questione generazionale: anzi potrebbero leggere loro questo libro a noi adulti per farci cambiare idea su molte cose”.
Questo articolo è stato pubblicato da Wired il 29 luglio 216

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati