di Giusi Marcante
Fermo immagine 1. Virginio Merola arriva in piazza della Pioggia e ringrazia per l'”onore” di poter governare ancora Bologna e di essere il primo dal 1993 che fa dieci anni di mandato. Assicura che sarà un sindaco di strada, che non si arroccherà più nel palazzo e tornerà subito al parco dei Noci dove due settimane fa i cittadini l’hanno contestato perché lì “ci sono dei problemi di cui voglio occuparmi subito”.
Fermo immagine 2. Virginio Merola manda messaggi al Pd nazionale. Lui che ha vinto e che in fondo è il meno renziano tra tutti avvisa il presidente del Consiglio che “ci sono questioni che vanno affrontate” e che va bene il suo coraggio riformatore ma non si può pensare di fare l’uomo solo al comando.
Sul richiamo a una città di sinistra il sindaco ha battuto molto in queste due settimane evocando il cuore di una Bologna che mai avrebbe voluto svegliarsi leghista. Per questo sa che in quei 15 mila voti in più che ha avuto al secondo turno molti sono di cittadini e cittadine che rappresentano una forte domanda di sinistra e che sono delusi dal Pd, in particolare da quello nazionale. Non si può però dire che il partito qui a Bologna sia lo stesso che c’è a Roma. L’orientamento politico del Pd bolognese è lontano da quello che si respira al Nazareno.
Ma chi ha votato a sinistra pensa ugualmente male del Pd a Bologna come a Roma.
Merola non ha un sentiero larghissimo davanti a sé. Deve tenere conto che 70 mila bolognesi, poco meno di un quarto degli elettori, era disposto ad avere una sindaca della Lega Nord fortemente caratterizzata dall’appoggio di Matteo Salvini. Deve raccogliere la domanda di sinistra che è arrivata da elettori che al primo turno hanno votato una lista che si proponeva alternativa al suo governo (Coalizione Civica) e al secondo turno sono andati in parte a votare per lui. Deve raccogliere la domanda di cambiamento che gli elettori del centro sinistra più in generale (formula sempre più appannata di questi tempi) gli hanno inviato con il brutto risultato del primo turno.
La prima cartina di tornasole sarà ovviamente la giunta e la capacità di autonomia che avrà il primo cittadino nel nominare gli assessori. Non serve spostare in un’altra casella chi pare aver destato più malumori, quindi bisognerebbe confermare Colombo alla mobilità, e serve assolutamente nominare figure di alto profilo. Bologna è una città ricca di opportunità che sa accogliere chi decide di affidarle il proprio destino ma è anche una città dove le diseguaglianze sociali si sono allargate in modo macroscopico. E dove i cittadini chiedono moltissimo a chi li amministra. Per fortuna.
Questo articolo è stato pubblicato da Radio Città del Capo il 20 giugno 2016