di Riccardo Lenzi
«Eravamo una compagnia di giro, una brigata di pronto intervento, abbiamo tenuto duro per un decennio, i più testardi anche di più, poi ciascuno è tornato nel suo brodo, non siamo mai diventati una lobby, nessuno di noi ha mai indossato l’eskimo, nessuno di noi ha fatto carriera, mentre molti di quelli che indossavano l’eskimo sono diventati direttori, direttori editoriali, editorialisti, commentatori con fotina, savonarola televisivi, vignettisti buoni per tutti i giornali e per tutte le stagioni, da Lotta Continua al Corriere della Sera, da Repubblica a Cuore, moralisti osannati a destra, a sinistra e al centro, protagonisti dell’antidietrologia, in verità fustigatori di tutte le dietrologie degli altri ed esaltatori di una, la propria».
“Chi furono i pistaroli, beffeggiati, insultati, aggrediti, minacciati dalla stampa di destra, dai gruppuscoli neri e dagli uomini dei servizi che avevano venduto l’anima?” si chiede Corrado Stajano nella prefazione all’ultimo libro, postumo, di Nozza: “Il pistarolo”, uscito per il Saggiatore nel 2006. Un libro fondamentale, che giornalisti e storici – non solo italiani – dovrebbero leggere. Anzi, studiare.
Sono passati 17 anni. Era la metà di maggio del 1999. All’età di 72 anni se ne andava il giornalista Marco Nozza, uno dei primi ad indagare sulle piste (nere e rosse) del terrorismo italiano. Si devono a lui importanti inchieste, dalla strage di Piazza Fontana agli omicidi delle Brigate Rosse. Degli anni di piombo divenne uno dei massimi conoscitori. Insieme ad altri colleghi, anch’essi polemicamente etichettati come “pistaroli”: Obici, Nozzoli, Sassano, Cicellyn, Marchesini, Testa, Fiorani, Del Vecchio.
Nato a Caprino Bergamasco nel 1926, laureato in lettere classiche, Nozza inizia a lavorare al quotidiano L’Eco di Bergamo. Nei primi anni ’60 approda all’Europeo, forse il miglior settimanale mai sfogliato dagli italiani. Nel ’66 diventa inviato del Giorno diretto da Italo Pietra, nulla a che vedere con il Giorno-Carlino-Nazione (QN) che verrà. Il 12 dicembre 1969, a Milano, è tra i primi ad arrivare alla Banca dell’Agricoltura: anche grazie a lui il Giorno è uno dei pochi giornali a non farsi ingannare dai depistatori. “Infame provocazione” è il titolo scelto dal direttore per la prima pagina del 13 dicembre.
Bologna ha la fortuna di avere, tra i suoi cittadini, uno dei membri di quella “compagnia di giro”. Si chiama Gianni Flamini, uno dei pochi che sanno unire competenza, oggettività e bella scrittura. La casa editrice Castelvecchi ha appena ristampato uno dei suoi ultimi libri: “La Repubblica in ostaggio”, con una prefazione di Paolo Bolognesi. Meno di cento pagine per uno snello, magistrale “diario italiano di politica criminale”. Una galoppata tra i segreti dell’Italia postfascista. Dalla trattativa con Lucky Luciano per lo sbarco degli alleati in Sicilia, alle trattative stato-mafia del 1992/93. Una lettura che non vi deluderà. A meno che non abbiate paura della verità.