di Federico Martelloni
Ho quarant’anni, e ho scelto Bologna più di vent’anni fa: sono arrivato dopo le scuole superiori, e non sono più andato via. Ho scelto Bologna per studiare e non ho mai smesso. L’ho scelta per partire: la carovana della dignità indigena in Chiapas, il G8 di Genova, poi la Palestina, con Action for Peace, il dottorato di ricerca, tra Venezia e Parigi, riportando a casa esperienze, relazioni e progetti sempre nuovi.
Ho scelto Bologna per fare l’avvocato del lavoro, e ho voluto farlo da una parte sola, perché questa città ti permette – e persino ti domanda – di coniugare vita e impegno sociale. Ho scelto Bologna per insegnare. L’ho scelta per crescere, insieme alla mia compagna, due figli che qui sono nati e qui frequentano le scuole, i centri sportivi, le biblioteche, le piazze. Ho scelto Bologna mille volte per ciò che un tempo è stata e per ciò che ancora potrebbe essere.
So di doverle molto. E so che merita di più. Per questo ho deciso di partecipare al percorso democratico per la scelta del candidato sindaco che rappresenterà nelle elezioni amministrative di primavera, le persone e le storie che si sono intrecciate in Coalizione Civica per Bologna. Vorrei, insomma, mettermi fino in fondo a disposizione di un’avventura inedita e avvincente.
Perché? Per fare di Bologna la città meno diseguale d’Europa. Per renderla più libera, più giusta, più unita, capace, cioè, di saldare le fratture che la crisi ha approfondito; qulle tra centro e periferia, tra giovani e anziani, tra i dipendenti pubblici, le maestre, gli operatori sociali e la loro amministrazione. Per fare di Bologna una città che pensa e guarda al futuro, con i piedi per terra, ben piantati nelle ragioni della nostra parte: quella che deve lavorare per vivere, che manda i figli nei nidi e nelle scuole pubbliche e ha bisogno di servizi di qualità.
Una città capace di ricucire lo strappo che si è consumato al tempo del referendum sui finanziamenti alle scuole paritarie, quando la maggioranza dei cittadini si espressero chiaramente in favore di una scuola pubblica e laica. Una città libera e a discriminazioni zero, grazie a una permanente educazione sentimentale alle differenze. Una città con strane idee per la testa: se un progetto è sbagliato, inutile, dannoso, lo si può cambiare. Lo si deve cambiare.
Insomma, come qualcuno disse giustamente, negli anni de’ La febbre del fare, “non vogliamo programmare in base a quello che abbiamo, ma in base a quello che vogliamo”. Non è forse questo la politica?
È il tempo delle scelte. È il nostro tempo.