di Sergio Caserta
Si avvicinano a rapidi passi le elezioni amministrative che si terranno nelle maggiori città: nei capoluoghi di regione Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Cagliari, Bolzano, Trieste, in molti capoluoghi di provincia, in totale 1287 comuni, una parte grande del Paese. Elezioni di alto profilo e importanza politica, il risultato sarà senz’altro, checché ne dica Renzi anche un test sul suo operato.
Giungono a maturazione scelte fondamentali che hanno contraddistinto l’azione del governo: il jobs act innanzitutto, che ha dato un enorme vantaggio alle imprese, dal punto di vista economico con la detassazione delle assunzioni per un ammontare di 24.000 euro in tre anni per ogni neoassunto, ma soprattutto togliendo una difesa ai lavoratori, con l’abolizione dell’articolo 18, che proteggeva attraverso la possibilità del reintegro dall’ingiusto o ingiustificato licenziamento.
Attraverso l’abolizione di questa protezione, Renzi e Ichino, il suo mentore, hanno disarmato la parte più debole nei rapporti di lavoro, concedendo all’imprenditore la piena libertà di licenziare, consapevole di potersela cavare, nella peggiore delle ipotesi, con un modesto risarcimento economico al lavoratore ingiustamente licenziato.
Il miraggio di questa infausta scelta, era che avrebbe dato luogo a una crescita occupazionale senza precedenti, ciò non è stato se si eccettuano le assunzioni in sostituzione di rapporti di lavoro precedenti, attivate allo scopo di incamerare il bonus fiscale.
Al contrario, mentre nell’economia europea si sono avuti i primi segnali di ripresa, l’Italia è rimasta al palo con un incremento del PIL irrilevante ed il permanere, anzi, l’acuirsi in ampie zone, in particolare al SUD ma non solo, di una grave crisi produttiva, occupazionale e sociale con milioni di famiglie in povertà assoluta e lunghe fila davanti le sedi della Caritas.
Nello stesso tempo Renzi ha imposto ad un Parlamento imbelle, le cosiddette “riforme” istituzionali che, se definitivamente approvate, daranno di fatto un potere assoluto al Governo, eliminando mediante lo svuotamento del Senato ogni controllo sul processo legislativo, e con la legge elettorale, attraverso un abnorme premio elettorale, un potere assoluto al partito vincitore delle elezioni. E’ fin troppo chiari l’indicibile scopo di realizzare una Repubblica presidenziale di fatto, destabilizzando gli equilibri tra i poteri dello Stato previsti in Costituzione a garanzia del sistema democratico.
Non meno grave è la situazione degli enti locali, in primo luogo dei comuni, dopo la lunga stagione di tagli ai trasferimenti e al comparto sanità, a cui ha corrisposto un crescente maggior prelievo dalle imposte locali e il netto peggioramento di servizi ai cittadini; cosicchè la pressione fiscale, non solo non è diminuita come i media addomesticati sbandierano ogni giorno, nella realtà è costantemente aumentata, perdendo il requisito di progressività stabilito in Costituzione, a svantaggio dei meno abbienti.
Basterebbero questi argomenti per comprendere la necessità di un cambiamento radicale di rotta, ma non è il solo Renzi il colpevole di questa situazione, è tutto il partito democratico ad aver mutato la sua natura e ad aver tradito la Costituzione.
Il PD oggi è un ibrido, si potrebbe dire un ippogrifo, animale mitologico: il corpo di cavallo e la testa di uccello, due specie antitetiche che insieme hanno prodotto un mostro politico. Un’ibridazione mal riuscita che ha dato luogo a un partito, dedito alla ricerca e alla conservazione del potere a qualsiasi prezzo.
La “mutazione genetica” parte da lontano e la responsabilità maggiore la portano proprio coloro che oggi predicano di difendere il partito che hanno contribuito in misura determinante a snaturare.
E paradossalmente dove le radici storiche sono più profonde lo snaturamento ha prodotto le conseguenze più gravi, determinando un’identità politica ambigua e classi dirigenti mediocri e acquiescenti
verso il potere centrale.
A Bologna per l’evidente crisi che attraversa la giunta uscente di Merola, fortemente contestato per le scelte contraddittorie ed il profilo modesto del suo mandato, per il profondo malessere che cova nella cittadinanza, certificato dall’enorme astensionismo alle ultime elezioni regionali, una proposta alternativa dal forte profilo programmatico, qualificata e innovativa nei nomi e nei contenuti, può suscitare convinzione nella concreta possibilità di un cambiamento.
La città che ebbe come sindaci Dozza, Fanti, Zangheri e Imbeni, ha bisogno di riguadagnare il profilo oggi spento da amministrazioni da tempo deficitarie. E’ venuto il momento di ricostruire un programma di governo ed una classe dirigente all’altezza di Bologna.
Le energie migliori della città che normalmente sono tenute ai margini delle scelte, in primo luogo il mondo del lavoro e la diffusa intellettualità, possono tornare a svolgere un ruolo per una diversa prospettiva.
Ecco perché è particolarmente importante che tutte le parti in causa, nella costruzione della proposta, le numerose forze che si stanno coalizzando, siano disponibili a partecipare con intelligente e lungimirante spirito unitario, a costruire una proposta forte e vincente che può fare davvero la differenza in queste elezioni.