Quando la scuola pubblica apre i cancelli ai finanziamenti privati

5 Dicembre 2015 /

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La buona scuola che non vogliamo
La buona scuola che non vogliamo
di Andrea Avantaggiato,
docente

Chiariamoci le idee: l’ingresso dei privati nella scuola pubblica sta già avvenendo e aumenterà esponenzialmente con le tante implicazioni che avrà la legge 107 approvata dal Pd di Renzi a luglio.
A Bologna, ad esempio, Unindustria sta proponendo per il secondo anno l’adesione ad un progetto da loro interamente finanziato destinato a classi (non a istituto) di scuole medie da loro scelte, in tutta la provincia. Il progetto prevede il potenziamento della lingua inglese (+ 2 ore con insegnante madrelingua), l’assistenza durante la mensa (+ 5 ore), attività laboratoriali (+ 2 ore) e assistenza ai compiti nel pomeriggio (+ 4 ore), per un totale di 13 ore in più rispetto al normale tempo scuola settimanale.
Unindustria offre anche tablet per tutti gli alunni della classe, una lavagna interattiva multimediale, nuovi arredi, banchi polifunzionali e persino l’assistenza postdatata nel primo biennio delle superiori per la lingua inglese a tutti coloro che frequenteranno il corso destinatario del progetto. Le scuole devono proporsi in questi giorni, poi sarà Unidustria-Bologna a decretare le classi e i territori che “vinceranno” il pacchetto di potenziamento.
Cosa chiedono in cambio? La possibilità di fare le loro lezioni laboratoriali al mattino con lo scivolamento di alcune ore curriculari al pomeriggio, la disponibilità degli stessi insegnanti della scuola ad effettuare l’assistenza ai compiti al pomeriggio, l’ingresso a pieno titolo nella progettazione didattica del consiglio di classe, la mensa obbligatoria per la classe coinvolta.

Progetto a costo zero per le singole scuole, a costo zero per le famiglie, a costo altissimo per la già tanto saccheggiata scuola pubblica, per la sua funzione di istituzione che dovrebbe garantire pari opportunità e che dovrebbe abbattere le differenze sociali ed economiche tra gli alunni, non incentivarle.
Chi aderirà alla proposta Unindustria-Bologna (avallata ufficialmente dal Miur) dovrà accettare che tutte le strumentazioni e i potenziamenti siano destinati ad un solo corso della scuola, esclusivamente al corso destinatario del progetto, a quello da loro sponsorizzato che dovrà chiaramente essere ben riconoscibile.
In uno stesso istituto ci sarà quindi chi avrà i tablet e chi no, chi avrà un madrelingua inglese e chi no, chi avrà assistenza alle superiori e chi no, chi avrà degli arredi e dei banchi moderni e innovativi e chi no. E – chi – no. Senza parlare dei criteri, scritti e non, che porteranno alla naturale selezione dell’utenza: non dimentichiamoci che la mensa sarà obbligatoria e, detta come va detta, tutte le famiglie che non potranno permetterselo, saranno inevitabilmente tagliate fuori.
Senza parlare degli insegnanti coinvolti che, per le ore eccedenti pomeridiane, saranno pagati direttamente da Unindustria alla considerevole cifra di ben 11 euro netti all’ora. Insegnanti che dovranno costantemente confrontarsi, anche all’interno degli organi collegiali e nei consigli di classe, con “operatori di laboratorio” dalle dubbie competenze pedagogiche, da accettare a scatola chiusa.
Ma poi, mi chiedo e ci chiediamo, Unindustria dove investirà? Nella piccola scuola “di frontiera” dove ci sarebbe bisogno di più inglese, di più cultura, di più tecnologia, in una parola di più scuola oppure deciderà di finanziare solo le scuole vicino ai distretti a più alta espansione industriale? E ancora: Unindustria-Bologna è molto ricca, perché viviamo in una terra abbastanza ricca, in una terra più ricca rispetto ad altri luoghi d’Italia. Beati noi, siamo fortunati. Ma alle zone povere dove nessuna associazione e nessun privato ha interesse ad investire, chi ci penserà?
Sarà sempre più un privilegio nascere e vivere in un luogo piuttosto che in un altro, sempre di più. È la morte del principio costituzionale secondo cui la scuola è una, è pubblica, è di tutti e garantisce a tutti le stesse possibilità, senza differenze di ceto. È lo Stato che abiura alla sua stessa funzione e delega ai privati lo sviluppo di questa o di quella scuola, senza possibilità di indirizzare le risorse.
La scuola media, ultimo gradino della vita in cui si ha la quotidiana possibilità di stare seduto alla pari tra un figlio di un medico e quello di un contadino, tra un ateo e un religioso, tra un disabile e un disadattato, cosa diventerà? Cosa sta già diventando?
È una questione ideologica. E come tale è una questione di sostanza che va ad incidere direttamente, drammaticamente e stabilmente su quello che saremo nel giro di un paio di anni. Opporsi con tutti i mezzi non solo è necessario, ma è anche un dovere costituzionale.

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