di Carla Colzi, Luisa Ferrari, Susanna Lai, Carmen Marini, Clelia Mori e Tina Romano
Quando parla Maurizio Landini, senti che lo fa col cuore, con tutta la passione politica di chi sa cos’è, perché l’ha provata, la fatica e lo sfruttamento delle mani e del cervello di chi cerca uno stipendio per vivere, e capisci che Landini cerca per loro non solo lo stipendio ma anche la dignità di chi lavora in una democrazia più matura, non di rapina.
Nel documento che la Fiom ha elaborato c’è un punto in cui si parla “di voler dimostrare – come ha capito il movimento delle donne – che si può fare politica attraverso un agire condiviso tra soggetti diversi… al di fuori e non in competizione rispetto a partiti…ciascuno di noi offrirà il contributo delle proprie migliori pratiche e saperi in reciproca autonomia…”
Come femministe reggiane, che da anni lavorano con la Cgil Provinciale e hanno frequentato la politica dei partiti e sono in relazione col femminismo diffuso in Italia, questo ci interessa e ci chiediamo cosa voglia dire, senza aspettare cosa nascerà per poi prendere o lasciare. Tante nascite politiche hanno visto dentro le donne, però incluse, sottintese, conciliative e non si sono prodotte modificazioni nelle pratiche politiche, rimaste sempre nella tradizione patriarcale. Ci interessa perciò interloquire con l’inizio della Coalizione sociale, ammesso che a Coalizione sociale interessi interloquire con noi.
È probabile infatti che il nuovo movimento rimuova ancora le donne e si rischi un nuovo spreco di passione e di ricerca politica perché il pensiero di noi donne non viene frequentemente ascoltato nella sua autorevolezza. Landini a Reggio Emilia ha parlato di “dentro a un progetto” e di “allargare il quadro” sempre, in quel caso parlava dell’acqua pubblica che doveva starci dentro.
Nel contesto del Progetto e del Quadro: la Coalizione sociale ha l’intenzione di interloquire con la sapienza della riflessione femminista? Le donne vogliono figli e figlie e lavoro: “Il doppio sì” del libro della Libreria delle donne di Milano! Cosa vuol dire questo quando si ripensa la politica del lavoro e della democrazia? Sono in grado gli uomini senza e per conto delle donne di inventare risposte utili a questi due fatti fondamentali che riguardano la vita, il tempo, il futuro, la storia e le pratiche di donne e uomini, e si può continuare a ignorare l’autorità femminile?
Il lavoro non può più comprendere solamente la riduzione della fatica o la protezione della propria salute scindendosi dal come si fa e perché si fa, ma deve avere al centro tutta la progettualità della vita e il tempo della vita che la vita stessa chiede per essere vissuta a partire dalla cura che le si deve. Perché il lavoro non può che essere legato al vivere bene, al buon vivere per avere senso. Ina Praetorius, una teologa protestante che abita in Svizzera nel suo libro Penelope a Davos, dice che tutti e tutte nasciamo bisognosi di aiuto, cosa vuol dire questo bisogno comune di aiuto continuo per ripensare la politica?
Sì, anche le donne sanno molto di sfruttamento, privato e pubblico e di violenza, maschile, più degli uomini che la esercitano e non se la leggono addosso. Dice Annarosa Buttarelli, in Sovrane, che le donne che sanno essere Sovrane prendono coscienza della loro sapienza femminile, stanno “sopra la legge”, dentro un ordine simbolico altro: governato dalle regole della vita e non del potere per il potere. Nella Coalizione sociale proposta dalla Fiom di Landini si parla di far politica “al di fuori” dai partiti. Si tratta di un “sopra la legge”?
Questo andarsene della Coalizione sociale dai partiti per inventarsi differente da loro, questo taglio maschile da altri uomini della politica dei partiti, assomiglia all’andarsene delle donne dal parlare maschile per inventare la politica femminista della differenza sessuale? Collide in qualche parte e si può studiare il vantaggio che ne hanno guadagnato le donne? Anche l’andarsene maschile da altri maschi che non si interrogano ma si omologano sempre, può rappresentare un vantaggio come è stato per le donne femministe? E poi cos’è meglio tra “stare sopra” la legge o “al di fuori” dei partiti per trovare uno spazio libero: tra il fuori e il sopra c’è differenza o contraddizione?
Riappropriarsi della libertà nella politica è quello che vuole fare la Coalizione sociale ed è anche quello che hanno fatto le femministe nel sessantotto, rimotivando una esistenza della politica in quel quotidiano della vita che ormai non è più nell’orizzonte dei partiti e della loro pratica.
Ci sono documenti femministi recenti: il “Primum vivere” dal documento “Immagina che il Lavoro…” della Libreria delle Donne di Milano e “La cura del vivere” e “Dei legami e dei conflitti.Cosa succede se l’Europa si prende cura?” del Gruppo del Mercoledì di Roma che sono una sintesi imprescindibile del valore della sapienza del femminismo in grado di incidere a fondo nella crisi della politica patriarcale giunta da tempo al suo limite, ma non per questo meno violenta, grazie all’involuzione leaderistica.
In questo senso il rapporto sfinente dell’Europa con la Grecia di questo periodo è uno splendido esempio: “Non c’è demagogia nel manifesto Immagina che il lavoro. Nel manifesto si polemizza con la scienza economica in nome di un’economia messa su nuove basi. In queste settimane della crisi euro-greca abbiamo ascoltato delle critiche agli errori dell’economia ma un inizio di ripensamento radicale non è emerso: forse c’è e deve ancora affiorare? C’è la sua premessa? Ci sono spiragli di una concezione alternativa? L’unico valore non monetario emerso nelle trattative: la giustizia sociale, che però non si riesce ad assicurare. Troppa evasione, troppo disordine fiscale, da una parte. Troppa preoccupazione per l’assetto finanziario, dall’altra. È un valore anche l’orgoglio della risposta No al referendum del 5 luglio, indubbiamente. Nel manifesto del primum vivere si parla di considerare l’esperienza e il sapere della quotidianità come una leva per cambiare il lavoro e l’economia. Qualcosa sta accadendo che va in questo senso? O sono utopie, cioè cose giuste ma destinate a una realtà troppo distante dal nostro presente?”, scrive Muraro su #VD3 del 16 luglio.
Gli uomini della Coalizione sociale che si sta costruendo vogliono tener vivo questo patriarcato scomodo anche per loro o hanno capito che da soli è ormai impossibile immaginare un mondo, una democrazia per i due sessi: senza interpellarli, metterli in relazione costruttiva, coscienti ognuno della propria parzialità e sapienti che tutti e tutte nasciamo appunto bisognosi e bisognose di cure reciproche?
Sovrane chiarisce che la violenza mortifera tra maschi ha fatto nascere la democrazia ad Atene per smetterla di uccidersi, almeno tra fratelli che abitano la stessa città. Ma questo tipo di decorazioni non può più trasformarsi in legge universale, e tanto meno in quella rappresentanza che sceglie di non rappresentare mai tutti e tutte, soprattutto chi ha meno potere. Una logica tutta da indagare questa rappresentazione del potere per come ci hanno abituato a leggerlo nella sua pretesa di neutralità sessuata e nel suo identificarsi invece con una necessità solo maschile.
Le femministe che sono maestre nell’indagine di questa violenza da decenni, più degli uomini e della loro presunzione nell’esercizio del potere, l’hanno talmente sviscerata che nominandola pubblicamente hanno saputo demistificarla e depotenziarla, per favorire la cura del vivere propria e di quella degli altri.
Crediamo che gli uomini non possano più sottrarsi alla fatica di indagare, cercando di capire quel lavoro fatto dalle femministe e farsi orientare nel prendere distanza dalla loro violenza fratricida, patriarcale. È possibile parlare di sfruttamento e richiedere dignità per tutti e tutte senza affrontare la violenza neanche tanto nascosta, che sta sotto l’organizzazione maschile della democrazia che colpisce comunque anche gli uomini e che però per solidarietà e connivenza tra maschi non nominano mai, per poter riparlare della democrazia in modo differente e non feroce?
Ci sono uomini, quelli di Maschile Plurale, che stanno lavorando politicamente da diversi anni sulla violenza maschile e le pratiche politiche femministe per cercare un modo più originale, più sapiente di essere maschi e possono essere un prezioso ponte nelle relazioni maschili col potere e tra uomini e femminismo.
E se la violenza è il tema nascosto e di nascita della democrazia ( “All’origine della democrazia, rimozioni durature” – Sovrane), poco detto e riconosciuto dagli uomini, sarebbe ora di cominciare a parlare delle forme di quella nascita se questa fa problema alla democrazia e alla sua rappresentazione.
La nascita ad Atene della democrazia è stata pensata dagli uomini per riconoscersi tutti figli di una unica “madre terra”, intuirono che la nascita dalla stessa madre era un’esperienza che accomunava, affratellava, univa facendo smettere la violenza quotidiana e fratricida. La madre in carne ed ossa fu trasformata, invece che di sangue e carne divenne di terra.
Non si capì per niente cosa voleva dire nascere dalle cure del corpo di una donna, la differenza che c’era tra corpo di terra, spesso ostile, e corpo di madre, fatto di sangue e carne e pensieri e molto amore. Originaria difficoltà maschile a distinguere tra materia e materia del vivere, tra terra mitologica e sangue e carne ed emozioni. Le donne quindi possono orientare gli uomini a parlare della loro violenza e prima di tutto a vederla, sanno nominarla e riconoscerla per quella che è, e questo serve per modificare il punto di vista da cui fanno nascere i loro progetti.
“Viviamo in un’epoca storica di espropriazione. Il capitalismo riesce a produrre denaro e a sottrarre ricchezza senza bisogno dei tradizionali strumenti di consenso, senza dover mediare nuove forme di redistribuzione e regolazione sociale. Questa continua espropriazione viene chiamata *crisi* e ormai sappiamo che non finirà, perché come ci viene ripetuto in forme colpevolizzanti, “avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità”. Questo è uno scenario di violenza e va nominato come tale” (Claudio Vedovati).
Oggi il lavoro è cambiato, non ha più bisogno di molta forza fisica, si compie in altro modo: più femminilizzato, ha bisogno di più pratiche di cura e di altri tempi. Il sapere delle donne può essere valore fondante di una buona vita per tutti e tutte, si lavora per vivere e non invece si vive per lavorare. E poi quale lavoro e perché e come se riguarda il vivere? Perché l’esperienza della cura non è diventata importante nella rappresentazione del lavoro che sindacati, politici ed industriali hanno inventato? Pare che la vita se ne sia andata dal lavoro e al suo posto sia entrata la violenza sulla vita.
Bisogna assumere quel “di più della sapienza delle donne, (“il resto”) della cura” ( La cura del vivere) che le donne sanno fare in ogni loro gesto, se non le si spinge a copiare gli uomini, e metterlo in politica facendone un guadagno comune per uomini e donne. Uscendo dal Se imparano anche gli uomini che la cura del/nel lavoro oggi non è eccedere in parole e tempo di lavoro ( lo ha detto anche Brunello Cucinelli a Genova alla festa di Repubblica) e nella ripetizione di gesti ed oggetti inutili e che la cura femminile del lavoro non è svalorizzazione ma valorizzazione, allora magari potrà cambiare davvero il sistema di lavoro, la sua dignità e anche il riconoscimento economico per chi lo svolge.
Per tutti e tutte. La cura del vivere deve diventare un bene prioritario dell’idea della produzione e del lavoro ben coscienti che nessuna macchina potrà mai farla. C’è una forte differenza tra l’idea del lavoro e l’idea della produzione, non sono la stessa cosa, non sono sovrapponibili e non si sostituiscono l’un l’altro… Se si produce inutilmente il lavoro diventa inutile come il suo prodotto e mercificato come il prodotto stesso. C’è un’armonia nel lavoro che nella produzione seriale è persa.
Il lavoro è intelligenza e sensibilità più che forza o ripetizione e per questo ha una dignità preziosa, insostituibile. Senza la cura si ferma la vita e anche la produzione perde di senso e il suo senso oggi è infimo. Per questo ci interessa interloquire con la Coalizione sociale della Fiom e di Maurizio Landini, la passione politica, il cuore, il desiderio trasformatore.
Che l’invenzione della Fiom non muoia malamente come spesso accade a sinistra quando qualcosa di nuovo nasce e che di solito quando nasce, guarda caso, nasce sempre senza le donne, i loro pensieri e i loro vissuti sessuati differenti da quelli degli uomini segnati dal vizio originario di esclusione della differenza di sesso femminile e maschile, e sapendo che c’è bisogno d’altro.
Invitiamo perciò Maurizio Landini, fondatore della Coalizione sociale, a interloquire con l’autorevolezza Del pensiero politico delle donne, magari iniziando a farlo con noi, a Reggio Emilia.