I metalmeccanici ieri hanno scioperato, come da diversi mesi a questa parte, per il rinnovo del loro contratto e per il futuro dell’industria italiana (dopo 24 mesi di calo della produzione nell’inazione del governo e l’inflazione che si è mangiata il salario). La risposta delle istituzioni è stata la denuncia ai sensi della nuova legge Sicurezza, e ora rischiano il carcere per un corteo del tutto pacifico.
LA MOBILITAZIONE di Fim, Fiom, Uilm, molto partecipata, era in corso in tutte le grandi città. A Bologna il corteo di 10 mila tute blu ha sconfinato, consapevolmente, sulla tangenziale e immediatamente è partita la nota della questura: «I dimostranti verranno denunciati penalmente alla luce della recente normativa introdotta dal decreto Sicurezza in materia di blocchi stradali». Uno zelo poi sfumato nel corso delle ore attraverso il consueto «è un atto dovuto». «Siamo stupiti per questa uscita proditoria – commenta Gianni Cotugno, segretario della Fiom Emilia Romagna – c’erano 10mila lavoratori molto arrabbiati che ci chiedevano un azione forte di visibilità, consapevoli che andare sulla tangenziale superava quanto previsto dal dl sicurezza». Ma, sottolinea, «il rischio di essere denunciati è poco davanti a quello di scivolare della povertà causato dal mancato rinnovo del contratto e dal salario insufficiente».
LO SCIOPERO DI OTTO ORE di ieri [venerdì, n.d.r] si aggiunge alle 32 già effettuate dai metalmeccanici con contratto Federmeccanica-Assistal, scaduto il 30 giugno scorso, a dopo l’interruzione delle trattative con la controparte, a novembre 2014. Altre manifestazioni si erano tenute negli scorsi mesi, sempre con la stessa piattaforma e le stesse richieste: diritti (a partire da quello alla sicurezza e quello alla salute), welfare, aumento di 280 euro del salario, stabilizzazione dei precari e applicazione del Ccnl per gli appalti. «Era una corteo normale, l’anomalia è il dl Sicurezza non il fatto che si manifesti per una vertenza contrattuale», dice Simone Selmi, segretario generale della Fiom di Bologna. «Al di là del rallentamento del traffico – aggiunge – non è successo nulla che riguardasse l’ordine pubblico, il tema è politico ed è la repressione del diritto di sciopero da parte del governo». «Noi non ci fermiamo, vediamo se mandano 10mila denunce», rivendica Primo Sacchetti, responsabile organizzazione Fiom Bologna. È stato lui a trattare il percorso con le forze dell’ordine:
«HO CHIESTO DI cambiare percorso dopo la richiesta dei lavoratori che volevano dare un segnale forte e parlare al paese delle condizioni dell’industria. Non è stata una discussione semplice – racconta – ci hanno detto in tutti i modi di non farlo e noi abbiamo risposto che invece saremmo andati sulla tangenziale, garantendo la sicurezza: è necessario sfidare Federmeccanica, la misura è colma». Anche Ferdinando Uliano, leader della Fim (i metalmeccanici della Cisl), dal parco Nord di Bologna, punto di raduno del corteo, è netto: «Non abbiamo provocato alcun disagio alla cittadinanza, nonostante i lavoratori abbiano addosso la rabbia del mancato rinnovo, non abbiamo creato situazioni di difficoltà e non abbiamo cercato scontri con la polizia, siamo pronti a far valere le nostre ragioni coi nostri legali».
«ARRESTATECI TUTTI», gridavano le tute blu mentre con singolare coincidenza il sottosegretario al lavoro Claudio Durigon annunciava un progetto di legge della Lega per impedire gli scioperi il lunedì e sabato, definendolo «pacchetto salva-vacanze per liberare gli italiani dai capricci sindacali». Di fatto rendendo ancora più esplicita la volontà della destra di limitare il diritto di sciopero.
«Anziché la riapertura delle trattative per il rinnovo del contratto la notizia è diventata che, in base al dl Sicurezza, i lavoratori saranno denunciati. In nome della difesa di una presunta sicurezza si vogliono processare e condannare uomini e donne che per vivere lavorano, pagano le tasse e tengono in piedi il sistema produttivo del nostro Paese» commenta Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, evidenziando un paradosso. Perché la mobilitazione è stata corposa: 70% di adesione media con picchi che hanno portato, in molti casi, alla chiusura delle fabbriche. Come, per esempio, alla Cestaro Rossi di Messina, alla Dema di Napoli, alla Beko di Ascoli Piceno, alla Fosber di Lucca, alla Italtractor di Modena, alla Stanadyne di Brescia.
Percentuale sopra il 90% negli stabilimenti Ast di Terni, Lowara di Vicenza, Moto Guzzi di Lecco, Electrolux, Bosch di Bari, Fincantieri di Marghera. Ad Ancona i lavoratori con un flash mob hanno bloccano l’ingresso del porto.
MA FEDERMECCANICA e Assistal insistono nel gioco dei numeri parlano di adesioni «pari al 20% di media nazionale», accusano i sindacati di avere «posizioni pregiudiziali».
Il governo, al contrario, deve aver sentito almeno qualche pressione dato che la ministra del Lavoro, Marina Calderone, si è affrettata a convocare per oggi le parti sociali «per una riunione conoscitiva in merito allo stato delle trattative per il rinnovo del contratto».
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 21 giugno 2025