di Alfonso Gianni
La decisione di Alexis Tsipras di dimettersi e di andare alle elezioni anticipate fa parecchio discutere e qualcuno dice di essere stato colto di sorpresa. Non c’è da stupirsi che questo accada in un continente come il nostro così disabituato ormai a frequenti pronunciamenti popolari diretti. Eppure Tsipras non aveva mai nascosto la probabilità di una soluzione del genere.
Aveva di fronte due scelte: o accettare l’invito di Schauble a una Grexit che in realtà avrebbe significato l’uscita definitiva della Grecia dall’euro o compiere parecchie rinunce pur di rilanciare la discussione sul debito greco nel suo complesso. Ha scelto questa seconda strada. L’accordo è tutt’altro che bello e gli spazi per resistere ai suoi lati peggiori e più invasivi sono davvero stretti. Ma questo la leadership greca, eccezione si può dire unica rispetto alla retorica dominante dei governi europei, non lo ha nascosto né al popolo né al parlamento.
Il prezzo pagato è probabilmente quello di una scissione di Syriza, tutt’altro che indispensabile e auspicabile. Proprio nel momento in cui il fronte avversario si divideva, con il Fmi a sostenere che è necessario un taglio nominale del debito greco altrimenti insostenibile (tesi affermata dai greci fin dall’inizio); con Olanda e Finlandia che da falchi si son fatte colombe (almeno per ora); con le preoccupazioni tedesche ed europee che si spostano, o dovrebbero farlo, assai più sulle conseguenze della tripla svalutazione della divisa monetaria cinese (basta vedere che l’auto tedesca già esporta un 30% in meno in Cina).
Ma ha ragione Tsipras: una fase si è chiusa, se ne apre un’altra e il governo ha bisogno di un mandato popolare forte e rinnovato. In autunno il punto sarà l’apertura della trattativa sulla ristrutturazione /riduzione del debito. E’ una questione che non riguarda solo la Grecia ma i debiti sovrani di tutti paesi europei. Anche il nostro, se avessimo un governo all’altezza.
Ha ragione, tra l’altro, il governo greco a chiedere una presenza nella trattativa del Parlamento europeo in quanto tale, unica istituzione effettivamente elettiva della Ue.
Ma una trattativa di questo genere, come la resistenza agli aspetti più odiosi dell’accordo che ha sbloccato gli 86 miliardi (che in gran parte tornano ai creditori istituzionali), non si può fare senza un popolo e un paese coesi. Tsipras lo sa bene, perché lì è sempre stata la sua forza. Un conto è aprire e reggere una divergenza con Varoufakis – che peraltro, a quanto si sa, non ha voluto fare parte del nuovo schieramento che si sta formando contro Tsipras – nel pieno rispetto delle opinioni di ognuno, un altro è caricarsi sulle spalle un paese e traghettarlo oltre la peggiore crisi economica e sociale della su storia. Per questa ragione il passaggio elettorale era ed è ineludibile.
Del resto questo è il modo migliore e più inequivocabile per rispondere a chi tentava di delegittimare la leadership di Tsipras, mettendone in dubbio la effettiva rappresentatività – come le élite europee che hanno cercato in ogni modo di “farlo fuori” – e nello stesso tempo di replicare nei fatti a chi – all’interno stesso di Syiriza – avanzava accuse di cedimento se non di tradimento.
Ora ognuna e ognuno è di fronte alle proprie responsabilità. Anche la sinistra europea. Non certo la socialdemocrazia che, come nel caso tedesco, ha fatto a gara ad essere più realista del re nel bastonare il debitore greco. Non certo il partito di Renzi che nella sostanza e al dunque ha sempre appoggiato la Merkel. Ma quella che si è venuta raccogliendo attorno alle nuove esperienze di verticalizzazione politica di movimenti sociali che tornano a tormentare i sonni delle oligarchie di governo, dalla Spagna all’Inghilterra, pur con diverso peso e incidenza politico-sociale.
Se l’impresa di Tsipras può non apparire e non essere disperata dipende anche e molto dalla capacità di rompere quell’isolamento internazionale che nella trattativa l’ha vista fronteggiare da sola 18 avversari. I quali non sono più uniti come prima. A maggiore ragione l’altra Europa deve stringersi attorno a Tsipras, o meglio a quello che rappresenta. Se vuole vincere nelle prossime prove nei rispettivi paesi, cambiando così il volto politico e sociale dell’Europa stessa e salvandola da una sua implosione.
Questo post è stato pubblicato sull’Huffington post il 21 ahosto 2015