di Silvia R. Lolli
(La prima parte dell’articolo) Continuiamo la lettura “commentata” dell’art. 1 di questa controriforma. In tutti i 212 commi si richiama il sistema integrato per tutti gli ordini di scuola, perché all’interno delle scuole si dà importanza all’apertura pomeridiana e all’ampliamento dell’offerta formativa con l’aiuto delle associazioni esterne.
Le risorse che lo Stato metterà saranno poi divisibili con meno problemi su tutto il sistema scolastico. Da tantissimi anni le scuole paritarie chiedono quote-alunno di finanziamento maggiore, perché ormai i termini di raffronto si fanno con le scuole statali, come se, costituzionalmente, fosse la stessa cosa.
Negli anni Ottanta si cominciò a parlare di ciò che didatticamente negli anni Sessanta e Settanta era considerata un’importante innovazione: l’apertura delle scuole verso il territorio, lo studio si faceva partendo dalle conoscenze ed esperienze dirette degli studenti. A livello sociologico negli anni Ottanta dunque si trasferì questa idea sul sistema scuola: si parlò di policentrismo e di integrazione; fra i due termini prevalse il secondo, l’apertura delle scuole diventò il modo per far entrare il mondo esterno nella scuola.
Da parte nostra avremmo preferito mantenere l’idea di policentrismo con la quale erano le scuole si aprivano al territorio con i loro saperi. In questo modo anche il docente non avrebbe perso la sua centralità ed identità professionale in un confronto con un mondo esterno che, in nome della sussidiarietà sempre più spinta, vedeva crescere associazionismo, enti di formazione professionale. Questo mondo, anche se negli anni sta prevalendo il volontariato professionale non ha sempre garantito la stessa professionalità in campo docente, con titoli specifici. Con il policentrismo era invece la scuola che poteva arricchire il territorio con i propri saperi e le proprie competenti maestranze.
Fu più facile, anche per questioni di economia di spesa statale, depauperare le risorse scolastiche in nome del sistema integrato d’istruzione e formazione, quello che questa legge porta a meta, come abbiamo cominciato a vedere nell’articolo precedente. La definitiva privatizzazione di tutte le scuole potrà completarsi con l’acceso alle risorse dei privati, perché avranno detrazioni fiscali fino al 65% sull’importo di finanziamento alle scuole (sia paritarie sia statali, non c’è più la distinzione, il comma 145 recita “tutti gli istituti”), il cui tetto massimo si stabilisce in € 100.000.
La scuola è chiamata a fare di tutto e di più, in tutti i campi, soprattutto si dà ampio spazio alle procedure per modulare l’alternanza scuola/lavoro le cui norme si decidono in stretto collegamento con la nuova legge sul lavoro (che ha diminuito l’età per avere il contratto di apprendistato a 15 anni) e quindi con il Ministero del Lavoro e , come per tutti gli altri interventi, il Ministero Economia e Finanza (MEF).
Sull’apprendistato e sui tirocini scuola lavoro abbiamo sempre avuto qualche dubbio. Ora le aziende, oltre che sgravi fiscali, potranno utilizzare molto forza lavoro con pochissima spesa. Anche nel post-industriale si prospettano condizioni di vita della società industriale: si abbassa l’età lavorativa e si legifera per sanare le situazioni di giovani non inseriti a scuola e impercettibili nel mercato del lavoro. Forse è il modo più semplice per risolvere l’incapacità di controllo statale in alcuni territori italiani dove il bambino è già sottratto al sistema scolastico obbligatorio e va al lavoro in nero. La scuola statale e i suoi docenti sono però ancora un baluardo di Stato in questi territori.
Come potremmo poi continuare a dimostrare con campagne contro lo sfruttamento dei minori in altri paesi del mondo? Questi nuovi modi di interpretare la scuola si sono approvati ed accettati in nome della dispersione scolastica e di statistiche che finora nessun politico ha saputo invertire, ma che richiamano problemi italiani annosi. Il nostro paese ha già vasti territori in mano alle mafie e non cresce più da tantissimo tempo, e sono gli stessi in cui lo Stato sembra investire tanto danaro; quello sì è disperso.
Tornando alla legge, al di là di tutte le questioni più specifiche sui docenti, per le quali si rimanda anche alle note pubblicate dalla CGIL, ci pare scritta malissimo, ma ha un preciso obiettivo: dare al Governo una potestà legislativa esagerata, fuori da ogni logica democratica di suddivisione dei tre poteri. Basta dire che alla fine si trovano le due “chicche” più grosse.
Il c. 180 recita che il Governo è delegato ad adottare entro 18 mesi uno o più decreti legislativi, da scrivere (c. 181) nel rispetto dei principi e criteri direttivi dell’art. 20 L. 59/97 (autonomia scolastica) e per le tante materie elencate. Tuttavia, nonostante si parli del parere delle Camere e di proroghe se le Camere tardano a dare i pareri, il c. 192 specifica che per l’adozione dei regolamenti, dei decreti ed atti attuativi non è richiesto il parere dell’organo collegiale consuntivo nazionale della scuola, che fra l’altro è stato appena eletto dopo tanto tempo.
L’altro punto che definisce bene l’arroganza di questi governanti di sinistra (?) sta nel c. 196: ” Sono inefficaci le norme e le procedure contenute nei contratti collettivi, contrastanti con quanto previsto dalla presente legge.” Gli insegnanti, forse ancora per poco, hanno un contratto collettivo di lavoro, pur se non rinnovato. Passa certamente da qui un principio fondamentale della nuova legge sul lavoro: licenziamenti facili anche nel pubblico impiego. Resterà da vedere se chi ha passato un concorso pubblico, ha presentato certificato penale, ha ancora il diritto costituzionale della libertà di insegnamento potrà essere licenziato così facilmente.
Emerge dunque anche in questa legge un altro importante elemento dell’economia neoliberista: la soppressione di un diritto al lavoro certo, libero e, se leggiamo il trattamento economico di molti docenti delle paritarie, con retribuzione adeguata; ancora una volta la Costituzione è annullata. Tra l’altro la legge prevede, c. 131, che dall’1/9/16 i contratti a T.D., stipulati presso le istituzioni scolastiche ed educative statali (solo in questo comma si usa questo termine; ci chiediamo nelle private si potrà fare diversamente?) per la copertura dei posti disponibili, non possono superare la durata complessiva di 36 mesi, anche non continuativi.
In termini di parità che cosa si prevede, oltre la dicitura che il MIUR– c.152 -” avvia, entro 120 gg. dall’approvazione legge, un piano straordinario di verifica della permanenza dei requisiti per il riconoscimento della parità scolastica e si parla della legislazione dei contratti di lavoro”? Certamente si devono equiparare i lavoratori della scuola a quelli privati, ma la loro immissione in ruolo dipenderà da concorso e da disponibilità su ambiti territoriali.
Prevediamo: l’ennesima confusione e continui contenziosi del resto previsti nelle spese indicate in vari commi di questa legge; la possibilità, sempre presente, di chi lavora per anni nelle private, seppur con minori emolumenti, di avere la possibilità di scavalcare chi ha aspettato, anche solo tre anni di fare supplenze nelle scuole “statali”. Intanto chi è nella privata potrà avere contratti di lavoro T.D. diversi, vista la legge.
Riprenderemo la lettura della L. 107/15, prima di tutto guardando il tema risorse, poi cercheremo di leggere le indicazioni più didattiche. Proveremo di trovare i lati positivi, però non sarà facile, con queste premesse “commentate”.