di Silvia R. Lolli
Abbiamo già detto che questa legge non ci piace per il suo impianto formale, ma anche per quello sostanziale in molti punti. Non siamo giuristi, ma ci risulta che le leggi debbano avere un’organicità anche formale. Tra l’altro si obietta alla politica di palazzo di cambiare il linguaggio che deve essere più comprensibile.
Insomma, nonostante la giovane età dei governanti (o forse proprio a causa di questa?), la legge ha passaggi alquanto barocchi. Per esempio un tempo, nelle norme, per indicare il limite di spesa, si usava normalmente la dicitura: “Senza oneri da parte dello Stato”, oneri che potevano essere anche “ulteriori”.
Per inciso, la Corte dei Conti, organo amministrativo e costituzionale, interveniva con controllo preventivo e a consuntivo per calmierare le esagerate elargizioni, senza copertura finanziaria, che gli eletti hanno sempre fatto. A causa dei tempi giurisdizionali lunghi uscivano molte risorse, ma la responsabilità politica avrebbe dovuto esercitarsi sempre in termini preventivi.
Nonostante queste regole costituzionali, si è deciso, con la scusa di seguire i dettami europei, di cambiare la Costituzione per vincolare ancora di più il nostro paese alla parità del bilancio statale. Così è sorto il problema in tutte le democrazie europee del Sud, dalla Grecia alla Spagna e Portogallo.
In merito alle risorse, cosa dunque si trova scritto nella L. 107, anche di delega: “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizione legislative vigenti”? Per inciso non sappiamo perché si chiami legge e non decreto legislativo, quando contiene la delega al governo per l’attuazione delle norme contenute nell’unico articolo.
Comunque, per indicare che non bisogna spendere di più di ciò che si è destinato nei vari capitoli di spesa, si usano per lo più le seguenti parole: “Nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
Ormai lo Stato si perde, anche le Regioni e gli enti locali non sono più organi dello Stato? Oppure il pubblico comprende il sistema integrato di istruzione e formazione, cioè anche il privato che si è chiamato paritario? Oppure è solo la parola Stato che dà fastidio? In tutta la norma si legge questa parola (statali) solo ai cc. 131 e 112. Nel primo si limitano i mesi di assunzione dei docenti con contratti a tempo determinato. Ormai tutto il personale deve intendersi non più statale, ma solo pubblico; chissà se dietro l’angolo ci sarà presto l’equiparazione completa in questo sistema integrato?
Nonostante i tanti commi relativi alle assunzioni dei docenti, dove si prevede ancora il concorso pubblico (cc. 109-114) come da Costituzione, chissà quanto personale docente si riterrà veramente statale negli organici dell’autonomia scolastica e territoriale che si costituiranno? Per esempio la lettura del comma 65 ci pone alcuni di questi dubbi…
Mi piacerebbe che si dovesse ancora giurare sulla Costituzione formale e sostanziale. Chissà quanti lo farebbero senza problemi, e conoscendo i significati profondi delle parole lì contenute. Ricordando che in molti commi si parla di elargire risorse recuperando gli eventuali risparmi (in anni di minori risorse assegnate, molte scuole rimangono ancora in attesa) prevediamo tutto poco realistico. Si decide intanto che le tasse riscosse dai partecipanti ai concorsi saranno messe nel bilancio dello Stato (c. 112). Ci sembra una puntualizzazione esagerata per una legge come questa, non crediamo si siano mai destinati questi emolumenti solo alla scuola.
Però ora ci si può chiedere se non provocherà confusione in questa controriforma. Non è già nei compiti del Governo dare esecuzione alle leggi del Parlamento, seguendo i conti di bilancio? Avvertiamo in questa strana norma, con valore di legge delega ma che nei fatti è una legge alla stregua di una finanziaria, il nuovo modo di operare della democrazia: confusione di ruoli e prevaricazione di organi per arrivare all’autorità di uno solo…ma nei limiti delle spese.
Quante volte si trova in questa legge il richiamo ai limiti di spesa: “…dotazione organica dell’autonomia…” o “…legge di stabilità…” o riferendosi a nuovi organismi da istituire gratuitamente “…non spetta alcun compenso, indennità, gettone di presenza, rimborsi o emolumento comunque denominato…”? Ben 41 volte, cioè in 41 commi si ricordano questi limiti: dunque una riforma ai limiti. Quelli costituzionali però vediamo che sono stati già superati.
Ci sono, è vero, molti commi in cui si definiscono le risorse economiche da destinare all’attuazione della legge, soprattutto dal c. 201 al c. 209, ma anche qui si fa riferimento ai limiti di spesa. Dobbiamo ricordare che in molti commi, oltre al richiamo ad altri ministeri competenti (Lavoro, cultura e beni artistici…) c’è presente il parere del Ministero Economia e Finanze (MEF) che nel comma 210 può addirittura “… apportare con decreto le occorrenti variazioni di bilancio.”
Se vediamo la legge nella sua complessità d’impianto abbiamo subito l’idea di un apporto non certo favorevole alla scuola della Repubblica. In molti commi, cc. 29, 34 (nei quali si fa esplicito riferimento al ricorso ai finanziamenti esterni o alle associazioni del territorio per attuare il Piano triennale di Offerta Formativa), ma specie nel comma 145, già ricordato, si può comprendere meglio. In quest’ultimo le imprese e i soggetti privati possono elargire alle scuole dell’autonomia delle erogazioni liberali fino al tetto massimo di euro 100.000, avranno un credito d’imposta del 65%. Oltre alla questione del privato/statale (già contro l’art. 34 della Costituzione) ci chiediamo: chi ricicla danaro, come sarà controllato nei vari territori?
L’autonomia scolastica potrebbe essere cosa buona, ma dovrebbe mantenersi all’interno degli artt. 3, 33, 34 della nostra Costituzione. E’ sempre più difficile per chi lavora con coscienza e principi democratici nelle scuola statali. Ci dobbiamo continuare a chiedere: come sarà possibile in un’Italia che è sempre più differenziata economicamente e socialmente? Dove andrà la nostra democrazia?