di Sergio Caserta
Nel ricordare Renato Zangheri che ho avuto la fortuna e l’onore di conoscere, io migrante partenopeo in terra “rossa” felsinea, un tempo quasi suolo sacro per noi comunisti meridionali, non posso non raccontare l’episodio che accadde al primo incontro. Era una festa de l’Unità verso la fine degli anni Novanta, quando al vecchio e vituperato PCI (era questa l’opinione dei “novatori” di allora), veniva a essere sostituito una forma di partito ancora in qualche modo di sinistra ma sempre più influenzato da correnti di pensiero moderato.
Ci trovavamo lì per presentare l’>ssociazione per il rinnovamento della sinistra, presieduta da Aldo Tortorella che già allora, inascoltata, metteva in allarme dalla deriva che le pratiche, ancor più delle vieppiù scarne teorie, di montante centrismo potevano determinare nel corpo già scomposto della sinistra italiana. Al dibattito prese parte Zangheri che, pur se ancora da posizioni interne e di consenso, autorevolmente esprimeva i suoi moniti e le sue preoccupazioni per il futuro politico.
Mi sembrava tra i due giganti di essere ancor più piccolo di quel che ero. Finito l’incontro. che andò molto bene anche se snobbato dai gruppi dirigenti locali, andammo a cenare come si usa fare alla festa, c’era molta folla e i ristoranti erano pieni, cosicché rimediammo alcuni tavoli di fortuna in un’osteria di non ricordo di quale stand, forse quella friulana. Ero emozionatissimo, Zangheri era molto gentile e cordiale con il suo figliolo, allora di pochi anni ma vivacissimo e la giovane moglie.
Trapelava dal confronto con Aldo Tortorella la grande convergenza di ideali, e di cultura politica, pur nelle differenze che non erano poche, mi crogiolavo di avere avuto questa grande opportunità. Ero talmente preso che inavvertitamente urtai uno dei tavoli alquanto traballanti, rovesciando un bicchiere di vino che inesorabilmente inzuppò il candido calzone di Zangheri. Sarei voluto sprofondare sotto tre metri di terra, la situazione mi pareva tragica ma Zangheri da grand’uomo qual era, resosi conto del mio stato, sfoderò un olimpico understatement e mi tranquillizzò con parole gentili. Ugo Mazza sorrideva sornione, era stata una grande serata, di quelle che non si dimenticano.