Scuola: è andato in scena l'ultimo atto?

15 Luglio 2015 /

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di Silvia R. Lolli
Ora non ci resta che sperare nel presidente della Repubblica, prima di ricorrere alla Corte Costituzionale e al referendum; può rifiutarsi di promulgare la legge sulla scuola e rimandarla alle Camere, art. 74 della Costituzione, con un messaggio motivato. La Camera ha approvato subito il testo che al Senato aveva almeno trovato qualche opposizione. La scuola, con gli esami di Stato, è finita, ora è più facile far passare provvedimenti; sta succedendo da anni.
Dunque, nonostante Mattarella abbia a suo tempo autorizzato la presentazione alle Camere di questo disegno di legge governativo (art. 87 della Costituzione), speriamo in un rimando. Se è vero che la Commissione Cultura del Senato ha sollevato le obiezioni di incostituzionalità al testo, poi approvato dopo uno forte scontro parlamentare, il presidente della Repubblica potrebbe rimettere nelle mani dei legislatori questa controriforma della scuola, che, nella sua immediata applicazione andrà contro gli artt. 3, 33 e 34 della Costituzione Italiana.
Piuttosto che dover attendere i tempi della Corte Costituzionale e/o quelli dei referendum consuntivi, si può, istituzionalmente, sperare nella funzione di garante della Costituzione del Presidente della Repubblica. I fautori di questo scempio invocheranno ancora una volta l’obbligo di dover legiferare per stabilizzare i docenti precari come ci ha richiesto, ormai da tempo, l’Unione Europea.

Il problema si è continuamente spostato in avanti con questi controriformisti ultra-neoliberisti, capaci solo di confondere mediaticamente le questioni; ancora una volta dobbiamo ribadire che l’assunzione a tempo indeterminato non può essere mescolata ad altri elementi che potrebbero costituire una vera riforma della nostra scuola, ma che hanno bisogno della reale discussione da parte di tutti. Discussione che non può essere intesa solo da un punto di vista economicista ed amministrativo e per di più assegnata inizialmente solo ad un sondaggio o a piccoli gruppi di potere. L’insegnamento, nonostante il ricorso sempre maggiore a tecnologie virtuali, rimane ancora legato ad una relazione sociale che si esprime attraverso la didattica anche face to face, all’interno di un micro gruppo sociale che è la classe.
Molti cambiamenti presuppongono invece l’allontanamento da questa visione pedagogica, nella quale la valutazione oggettiva diventa la panacea per tutti i mali e l’INVALSI la cartina di tornasole di questa involuzione del nostro sistema scolastico. Si abbasserà la solidarietà sociale che faticosamente la Repubblica ha cercato di promuovere e che per un breve periodo può avere promosso, visto che alcune generazioni l’hanno potuta esprimere, una certa mobilità sociale. Da tempo questa è ferma, ma, con la crisi ormai strutturale e continua del sistema economico al collasso, manifesta già segnali irreversibili di ritorno indietro a quelle che si definiscono nuove povertà.
Non crediamo che il sistema scolastico ipotizzato dagli attuali “esperti” politici, più di marketing che di scuola, sia capace di dare impulso a quella mobilità verso l’alto che dovrebbe essere soprattutto per i capaci ed i meritevoli e non per chi ha già facilitazioni di censo, oltre che di casta.
Già è stato dimostrato impossibile o poco possibile (cioè per un numero limitato di casi che spesso sono storie di film!) che in territori meno ricchi la scuola possa costituire il volano per l’ascesa sociale di ceti svantaggiati. In Italia poi il merito si scrive, ma nei fatti non è mai stato possibile metterlo in atto. Se fosse così avremmo la possibilità di uscire da questo impasse nel quale la democrazia ci ha abbandonato e non solo a causa del ventennio berlusconiano.
Ora per la scuola statale, della Repubblica e non dei pochi, possiamo dunque solo sperare nel presidente Mattarella. Alla sua elezione anche per la sua storia negli ultimi anni molto defilata, lo abbiamo ritenuto un po’ fuori dai tanti giochi di potere; potrebbe far rimeditare i parlamentari e mettere il Governo davanti alla sua primaria funzione, quella amministrativa, anche se ha firmato per la presentazione del disegno di legge governativo quando c’era già in Parlamento il ddl d’iniziativa popolare. Per un Governo un buon lavoro dovrebbe essere mettere in ruolo docenti che sono da troppi anni assunti solo per pochi mesi lavorativi e con sempre meno certezza di continuità.
Per fare questo non c’è bisogno di stravolgere la scuola contro il volere della maggior parte di addetti ai lavori e di cittadini, scegliendo poi una via anticostituzionale, valida solo per i bisogni del mondo economico-imprenditoriale-finanziario. Si dovrebbe organizzare una scuola in grado di rimettere al centro le pari opportunità, cioè, la pari dignità sociale e l’eguaglianza di tutti i cittadini (1° comma, art.3 Costituzione).
L’istituzione scuola italiana finora ha cercato di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale […] che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (2° comma, art.3 Costituzione)”. L’uguaglianza è in parte avvenuta nei confronti dei discenti, ma da molti anni non è più valida per i docenti, come succede fra l’altro ormai per tutti i lavoratori.
La legge appena votata in Parlamento ha dunque parecchie valenze che sappiamo vanno ben oltre la scuola in sé: diventano importanti aspetti sui quali passa la democrazia, non solo italiana. Il Presidente della Repubblica dovrebbe tenerne conto. Qualcuno, forse non molti purtroppo, dei suoi predecessori l’avrebbe fatto. Sull’educazione e la democrazia non possiamo dire che i tempi sono cambiati.

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