I medici, lo sciopero e i valori

23 Maggio 2015 /

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di Maurizio Nazari, l’Altro Veneto, con la premessa di Luigi Trianni
A titolo informativo e d’esempio, mi pregio di inoltrare un appassionato, informato, giustamente anticorporativo e coraggiosamente “diretto” scritto di M. Nazari de “L’Altro Veneto, Ora possiamo”.
Preciso che non ritengo una priorità il passaggio dal rapporto convenzionale alla dipendenza pubblica dei Medici di Medicina Generale e dei Pediatri di Libera Scelta, che nell’ottica neo liberista/burocratica del governo Renzi, e delle sue appendici politiche e manageriali centrali e regionali, sarebbe realizzata unicamente come misura per “definanziare” i costi del personale sanitario nei Distretti e ridurne il numero.
Ritengo che la priorità sia quella di investire in dotazioni organiche e dotazioni strutturali anche nei servizi distrettuali, “case della salute” o “centri distrettuali comunali e/o di quartiere” che dir si voglia, nei quali i predetti medici vanno inseriti, e sviluppare una politica di “facilitazione dell’accesso alle tecnologie per la salute”, comprese quelle sofisticate e specialistiche della relazione psicologica profonda professionisti della salute / persone, dai distretti e dai “domicilii”, basata su integrazione/interazione multi professionale e polispecialistica tra Ospedali e Distretti (e servizi sociali comunali) e supportate da adeguate infrastrutture e procedure informatiche (fascicolo sanitario elettronico individuale e reti di supporto).

Su questi obbiettivi dovrebbero essere indirizzate anche le relazioni sindacali con la dipendenza e con l’ambito delle convenzioni, di un governo nazionale, e di quelli regionali, di sinistra e democratico (M5S), senza orpelli centristi e senza candidati con passato remoto e prossimo di centro e di destra e/o con potenzialmente accertate relazioni con pratiche economico politiche illegali, malavitoso-mafiose o altrimenti qualificabili).
I soldi si trovano nelle varie forme di patrimoniali possibili a livello nazionale e regionale, e nella ottimizzazione clinico-organizzativa dei percorsi assistenziali e delle strutture organizzative ed edili sanitarie, in concreto contrasto con i grumi corporativi, burocratici e “passatisti”, che costituiscono un’altra specifica forma di privatizzazione dell’interesse pubblico (= lotta agli sprechi)
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Ottenuto la garanzia da Renzi (che teme come la peste le elezioni democratiche come detta la nostra Costituzione) di restare libero professionisti e non dover passare alla dipendenza (cosa che sarebbe, almeno in termini di costi, importante per la costruzione di una moderna medicina territoriale) la FIMMG, il sindacato dei medici di famiglia con più iscritti (il 60% in Italia), ha sospeso lo sciopero programmato per oggi martedì 19 maggio.
Sabato mattina scorso l’Altro Vento ORA! POSSIAMO è andato a volantinare (vedi in basso il volantino allegato) al Plaza Hotel di Limena (Pd) dove la FIMMG (Federazione italiana dei medici di medicina generale) aveva invitati i soliti quattro fra i candidati alle elezioni regionali, non invitando, pur da noi sollecitati la candidata presidente Laura Di lucia Coletti.
Li abbiamo potuto “apprezzare la piccola perla” del loro manifesto prodotto per lo sciopero (vedi sotto il manifesto allegato) che dichiarava: “Io non vado col primo che capita. Il mio medico di famiglia lo scelgo io. Difendi la tua libertà difendendo quella del tuo medico”.
Giustamente i medici di medicina generale vedono nella possibilità di scelta (che peraltro mai nessun partito o sindacato ha messo in discussione) una delle qualità del servizio sanitario. Quello che non torna è come mai in tutti questi anni non abbiano richiesto un tale possibilità anche per i loro assistiti, pur in presenza di leggi lungimiranti che assicurano il diritto di scelta dello specialista e tempi d’attesa per usufruire di una prestazione, sempre con quella impegnativa da loro firmata, uguali a quelli a pagamento: ancora oggi i loro assistiti sono costretti, con la loro impegnativa a “farsi visitare e operare dal primo che capita”. Altrimenti pagano ancora una volta, dopo le tasse, di tasca propria.
A quando, gentili signori medici di medicina generale, uno sciopero per difender la vostra libertà professionale rivendicando quella libertà di scelta che la legge dà a voi a al vostro assistito? Il segretario nazionale della FIMMG, presente alla manifestazione, ci contestava il volantino affermando che mai lui ha pensato di limitare il SSN ai soli indigenti.
Ecco le parole della relazione di Milillo al congresso nazionale della FIMMG di ottobre 2014:

Purtroppo, data una giusta collocazione agli ideali, se accettiamo un bagno di realtà, dobbiamo prendere atto che non è mai stata realizzata, e tanto meno potrà esserlo in futuro, la sostenibilità di un Servizio Sanitario Nazionale che fornisca tutte le prestazioni di assistenza sanitaria necessarie alla tutela della salute ponendole a esclusivo carico della fiscalità generale, cui tutti, in teoria, dovrebbero contribuire in proporzione al loro reddito.
Già oggi il cittadino vede sempre più prestazioni a proprio totale carico e per l’assistenza sanitaria ora erogata dal SSN è necessario prevedere un concreto contributo dell’assistito nel momento in cui usufruisce della prestazione. La sfida non è più evitare questa contribuzione, ma renderla il più equa possibile, rispettando comunque il dettato costituzionale della gratuità agli indigenti.
Attraverso la ricerca dell’appropriatezza e la lotta agli sprechi, come richiamato anche nel Patto per la Salute, il SSN deve cercare di offrire il maggior numero possibile di prestazioni appropriate, ma deve prendere atto che dovrà anche svolgere una funzione di regolamentazione capace di condizionare l’appropriatezza, e quindi rendere sinergico, l’uso delle risorse che possono provenire dalla volontaria contribuzione degli individui a Mutue o a Società di mutuo soccorso o a Fondi integrativi alimentati da meccanismi di welfare contrattuale.

A tal fine torniamo a proporre l’individuazione, da parte del Governo, di Livelli Integrativi di Assistenza, oltre agli attuali Livelli Essenziali di Assistenza, in continuum fra loro, affinché i cittadini possano responsabilmente provvedervi attraverso le forme previste e regolamentate dalla legge.” I livelli Integrativi di Assistenza, pur con nuovo nome mimetizzante, non sono una novità partorita dalla mente del dott. Milillo: sono un rimasticatura di quanto già proposto da Amato e Confindustria, 17-18 anni fa: “Il Welfare se cambia, tre benefici”: con questo titolo, sul Corriere della Sera, il 27 agosto 1997, Amato affrontava la questione della sostenibilità finanziaria dello stato sociale italiano e proponeva la sua visione “economicamente sostenibile” del Welfare.
Per Amato bisognava “rendere coerenti le istituzioni sociali con l’economia reale di oggi e di domani, senza abbandonare né i fini né i principi”. Pertanto è necessario “che le due principali coperture, quella previdenziale e quella sanitaria, si spostino, almeno pro quota, dalla contribuzione a carico delle imprese al risparmio di chi è in grado di accumulare risparmio; e che questa seconda quota venga affidata a fondi integrativi privati, che si remunerano sul mercato finanziario… da un lato lo Stato dovrebbe ridurre le sue dirette erogazioni alla sola copertura dei bisognosi, eliminando quelle che oggi alimentano protezioni categoriali estese a favore di redditi superiori. Dall’altro, le fasce di reddito in grado di accantonare risparmio e costrette dal nuovo assetto a destinare una quota per coprire, al di là della copertura obbligatoria, i propri bisogni previdenziali e sanitari, dovrebbero rinunciare ad appagare altri meno essenziali bisogni”. (La sottolineatura è mia).
Commenta Rosy Bindi nel suo libro “La salute Impaziente”: “In molti nel centro sinistra erano convinti, e in parte lo sono tuttora, che la diffusione di forme di finanziamento privato, in sostituzione della fiscalità generale, possa risolvere il dilemma scarsità delle risorse/tutela della salute senza compromettere la coesione sociale e i principi della solidarietà.”
“Nel dibattito teorico,” ricorda il ministro Bindi, “suscitava grande interesse l’esperienza olandese, collocata a cavallo tra le due opzioni antitetiche del sistema assicurativo e quello universalistico.”
“Il ragionamento di Amato,” chiarisce il ministro, “ha il merito di esplicitare – da sinistra – una visione “residuale” delle politiche pubbliche e un’idea di società più vicina al modello neoliberale che esalta prima di tutto la competizione frutto delle differenze e delle libertà dell’individuo, anziché al modello sociale democratico, che invece mette in relazione la libertà del singolo con la responsabilità pubblica in cui l’accento si sposta dalle pari opportunità di partenza alle pari opportunità di arrivo.” La Bindi prosegue la sua analisi ricordando che “le resistenze più esplicite venivano da Confindustria e dal Polo uniti in un asse politico che faceva leva sul sostegno, istituzionalmente rilevante, della Regione Lombardia. Confindustria si presentò al tavolo della riforma dello Stato Sociale con un documento, <>, in cui di fatto sposava il modello olandese…
Confindustria chiedeva di “spezzare il monopolio pubblico nella gestione dei fondi raccolti attraverso la fiscalità generale” e di introdurre “una pluralità di enti gestori del servizio sanitario pubblici e privati” con il compito di gestire le risorse destinate alla copertura sanitaria obbligatoria. Anche le compagnie assicuratrici e i fondi privati, non solo quindi le Regioni, avrebbero potuto contrattare con i produttori, pubblici e privati pacchetti di servizi sanitari da offrire ai propri clienti. La copertura a carico dello Stato sarebbe stata garantita solo ai più poveri e ai malati più gravi… L’assistenza specialistica, i ricoveri ordinari, la riabilitazione – il grosso della sicurezza sanitaria attuale – sarebbero stati forniti dalle assicurazioni private.”
Non sfuggì allora all’osservazione del ministro Bindi che “la preoccupazione principale” di Confindustria “era quella di neutralizzare l’ipotesi dell’Irap, la nuova imposta regionale che, una volta aboliti i vecchi contributi sanitari servirà a finanziare la sanità”.
OGGI IL TAGLIO PROGRESSIVO DELL’IRAP E’ SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI (l’Irap fornisce il 30% del bilancio sanitario), il dott. Trianni, al nostro convegno di sabato pomeriggio scorso, riprendendo un suo lavoro pubblicato di recente, ha spiegato come sia iniziata attraverso le COOP in Emilia Romagna e Toscana, e l’UNIPOL (loro assicurazione di riferimento) una intensa campagna per l’assicurazione sanitaria integrativa, mentre il loro partito di riferimento procede sulla riduzione finanziaria del SSN. Sempre al convegno di sabato pomeriggio sulla sanità il nostro candidato alla regione e sindacalista dell’USB Gabriele Raise ci ha reso noto che nel nuovo ospedale di Schiavonia è già iniziata la sperimentazione pratica del passaggio alla sanità privata con l’appalto a cooperative private del personale sanitario delle sale operatorie. Guglielmo Brusco assessore alla salute della provincia di Rovigo ci ha ricordo la sua battaglia nelle istituzioni con ricca documentazione per recuperare le centina di milioni regalate negli ultimi anni, con vari artifici, da Zaia e Tosi alle case di cura private.
Quello che sfugge ai più e che tutti sistemi sanitari diversi dal nostro costano 1,5-2 punti di PIL in più e fino ai 2,3 in più dell sistema Olandese: allora non è questione di risorse che non ci sono, di sprechi o corruttele varie, ma come sa o dovrebbe sapere la mosca cocchiera Milillo, di una precisa volontà politica di smantellare la più grande conquista dei lavoratori del secolo scorso: il SSN, per tornare a profittare anche sulla malattia.
“E’ necessaria una complessa, radicale e credibile strategia di riforme inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e professionali… attraverso privatizzazioni su larga scala”. Scrivevano M. Draghi e J.C. Trichet, nella ormai famosa lettera concordata con Berlusconi e inviata al governo italiano dalla Banca Centrale Europea il 5 agosto 2011.
Da alcuni anni iI Milillo di turno hanno ripreso a cantare il ritornello che non si può dare tutto a tutti e che è inevitabile la drastica riduzione dello Stato sociale perché “tutto deve diventare merce, perché solo il libero mercato è in grado di assicurare la produzione di beni e servizi in condizioni ottimali… Ci saranno una domanda e un’offerta di sanità e le forze invisibili del mercato provvederanno a trovare il punto di equilibrio. Cosa significa questo? Semplicemente che chi non può permettersi di pagare il prezzo ottimale verrà escluso dal “mercato” della sanità. Se rimane in piedi un sistema di sanità pubblico, questo è visto come un costo da limitare il più possibile” Andrea Baranes, “Finanza per Indignati,” Ed. Ponte alle Grazie, 2012.
Nella sua agenda di agosto 2012 il Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Monti scriveva, riferendosi alle liberalizzazioni: “Vanno coerentemente attuate quelle già avviate e ne devono essere promosse altre in altri settori. Occorre creare spazi nuovi per la crescita di autonomie private, attualmente bloccate o rese interstiziali da una presenza pubblica invadente e spesso inefficiente (si pensi, a esempio, al settore postale; ai beni culturali e alla sanità).” riportato in Quotidianosanità.it, 27 novembre 2012.
Per i più indifferenti ricorda alcuni anni fa il geografo e politologo inglese David Harvey:

“Una vasta ondata di privatizzazioni è dilagata nel mondo, giustificata dal dogma che le imprese gestite dallo stato sono per definizione inefficienti e lassiste, e che l’unico modo di migliorare i loro risultati è quello di trasferirle al settore privato… E’ un dogma che ad un attento esame non regge. E’ vero che alcune imprese statali sono inefficienti, ma altre non lo sono; per rendersene conto, basta viaggiare sulle ferrovie francesi e metterle a confronto con quelle pietosamente privatizzate degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. E non c’è nulla di più inefficiente e scialacquatore del sistema sanitario statunitense, basato sulle assicurazioni private. Non importa. A sentire il mantra, bisognava aprire le imprese gestite dallo stato al capitale privato, che non aveva altro posto dove andare; e così servizi pubblici come l’acqua, l’elettricità, le telecomunicazioni e i trasporti – per non parlare dell’edilizia, dell’istruzione e delle sanità pubbliche – sono stati spalancati alla benedizione dell’impresa privata e dell’economia di mercato.” David Harvey, “L’enigma del capitale”, Feltrinelli, 2011.

E questo perché “il pensiero unico” una ideologia che mostra da 8 anni il suo totale e più brutale fallimento continua ad operare alla luce del sole indisturbata:

“Cittadini liberi che si sentono invischiati, impagnati da una specie di dottrina gelatinosa che insensibilmente avviluppa qualsiasi ragionamento ribelle, lo inibisce, lo confonde, lo paralizza fino a soffocarlo: il pensiero unico, il solo autorizzato da un’invisibile e onnipresente polizia dell’opinione. Dopo la caduta del muro di Berlino, il crollo dei regimi comunisti e la demoralizzazione del socialismo, il nuovo vangelo ha raggiunto un tale grado di arroganza di boria e di insolenza che di fronte ad un simile furrore ideologico non è esagerato parlare di dogmatismo moderno… Che cosa è il pensiero unico? E’ la trasposizione in termini ideologici, che si pretendono universali, degli interessi di un insieme di forze economiche, e specificamente di quelle del capitale internazionale…” Ignacio Ramonet, in “Le Monde Diplomatique”, inserto mensile de “il manifesto”, gennaio 1995.

Anche in Italia oggi c’è una nuova ripresa del ritornello che non si può dare tutto a tutti e che prevede la drastica riduzione dello Stato sociale perché “tutto deve diventare merce, perché solo il libero mercato è in grado di assicurare la produzione di beni e servizi in condizioni ottimali. Ci saranno una domanda e un’offerta di sanità e le forze invisibili del mercato provvederanno a trovare il punto di equilibrio. Cosa significa questo? Semplicemente che chi non può permettersi di pagare il prezzo ottimale verrà escluso dal “mercato” della sanità. Se rimane in piedi un sistema di sanità pubblico, questo è visto come un costo da limitare il più possibile” Andrea Baranes, “Finanza per Indignati,” Ed. Ponte alle Grazie, 2012.
Qui da noi, e questa e l’aggravante, si procede come se questo percorso, già avvenuto in altre nazioni, non avesse mostrato i suoi nefasti effetti. Scriveva sul Corriere della Sera, al tempo delle proposte di privatizzazione degli ospedali pubblici avanzate da Berlusconi, il prof Giuseppe Remuzzi, nefrologo e ricercatore all’Istituto Mario Negri di fama internazionale:

“Negli Stati Uniti una scelta così era stata fatta piu di 90 anni fa. “Project financing” prima, poi unità private negli ospedali fino ad arrivare a grandi catene di ospedali del tutto privati. E nel ’54 Eisenhower aprì, quello che è davvero un libero mercato della salute, alle assicurazioni private. Negli Stati Uniti c’era l’idea che privato in sanità equivalesse a buone cure ed efficienza: E’ successo tutto il contrario”. Un esempio “Se si fa dialisi nei centri “for profit”, si muore di più che nei centri “non profit”. Corriere della Sera, 26 ottobre 2008.

Il tempo delle discussioni è finito, tutto è stato detto negli ultimi venti anni, il 31 maggio si vota.

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