Giovanni Rinaldi, il ricercatore che "scoprì" i resti del murale Di Vittorio

14 Aprile 2015 /

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di Michele Fumagallo
Cominciamo la seconda parte della ricognizione sulla questione del murale Di Vittorio a Cerignola. Tre brevi interviste, per questo sito, ad altrettanti protagonisti che hanno incrociato il problema negli ultimi anni ci serviranno forse a inquadrare meglio il tutto. Incominciamo con Gianni Rinaldi, grafico, ricercatore e storico italiano. Ha al suo attivo ricerche importanti. Dopo quelle sul teatro e sui simboli politici e religiosi al Sud, ha messo mano a una vasta ricognizione sui braccianti del Tavoliere pugliese (il suo territorio, dove vive), poi pubblicate nel volume, scritto insieme a Paola Sobrero, “La memoria che resta”.
Quindi è venuta la ricerca “I treni della felicità” sui figli dei braccianti – imprigionati durante la repressione del dopoguerra – che vennero ospitati al Centro e Nord Italia (molti in Emilia Romagna). Infine ha curato la pubblicazione di “A Sud. Il racconto del lungo silenzio”, la riscoperta di un vecchio spettacolo ormai dimenticato con le canzoni di Matteo Salvatore e la voce di Riccardo Cucciolla. Ha al suo attivo anche mostre fotografiche, compartecipazione a spettacoli tratti da sue opere, laboratori nelle scuole.
Dunque, come è iniziata questa storia, quando hai scoperto i resti del Murale Di Vittorio?
“Nell’ambito del Progetto Casa Di Vittorio, che dirigevo, ritrovai nel 2008 parte dei pannelli, che si ritenevano dispersi, sparsi in più depositi del Comune. Furono provvisoriamente unificati in un deposito, con l’idea di verificarne la consistenza (l’opera era molto degradata e frantumata in decine di frammenti grandi e piccoli). Il Progetto Casa Di Vittorio, con la caduta dell’amministrazione comunale di sinistra, si arenò e nel 2009 un gruppo di giovani cerignolani appassionati di arte formarono il gruppo facebook in cui si proponeva l’idea del recupero e restauro dell’opera”.

Dopo le prime informazioni all’opinione pubblica, cosa hai cercato di fare?
“Ci sono state diverse strategie. La pressione mediatica, con articoli, interviste, servizi televisivi. Poi la raccolta di firme. Poi ancora la proposta di un progetto di base per mettere in sicurezza il manufatto (che, ricordiamolo, contiene fibre di amianto) e la sua inventariazione. Poi la proposta di un comitato di garanti scientifici per selezionare le migliori proposte di recupero”.
Quando sono iniziate le prime difficoltà di gestione della questione e del manufatto?
“Difficoltà ce ne sono state sempre. Soprattutto l’inerzia delle istituzioni, che rispondevano in modo generico solo quando un articolo di giornale lanciava le accuse più forti al loro operato (anzi al loro “non operare”). Poi il passo indietro del Comune dopo aver precedentemente accettato l’idea del comitato di garanti scientifici”.
A che punto è la situazione ora?
“Nel 2013, dopo cinque anni di attività e iniziative, la Regione Puglia presenta un bando (nell’ambito dell’assessorato al Welfare) per finanziare un progetto di iniziative sulla legalità, il lavoro agricolo, l’immigrazione in cui si inserisce la possibilità di un ‘recupero’ e ‘fruizione pubblica’ di manufatti artistici abbandonati che abbiano come tema il lavoro, lo sfruttamento e i diritti sociali. Sembrò più un escamotage per dimostrare attenzione al problema che un bando tecnico che permettesse davvero di risolverlo. Sono passati già due anni e il vincitore del bando, ovviamente il Comune di Cerignola, proprietario dell’opera, denuncia che i soldi, non sono ancora stati erogati e forse nemmeno basteranno allo scopo (75 mila euro). Siamo evidentemente allo stesso punto di tanti anni fa. Tutto fermo. Lo scorso anno, una bella esperienza con il Liceo artistico di Cerignola ha portato all’inventariazione dei frammenti residui dell’opera. La cosa ha permesso di ricostruire fotograficamente le tre facce del grande murale evidenziandone le parti sopravvissute, rispetto alla totalità dell’originale. I resti dell’opera però, nello scorso mese di febbraio, sono stati (in modo quasi clandestino) spostati ulteriormente (senza precauzioni per la sicurezza di chi ha lavorato a questo) e con molta probabilità l’opera si è ancor più frantumata.
Cosa bisognava e bisognerebbe fare, qual è la tua soluzione?
“Ho già scritto in un post sulla pagina del gruppo “Salviamo il murale G. Di Vittorio” di essermi arreso e di essere consapevole che non tutte le battaglie si vincono. Una battaglia può solo essere collettiva e un movimento di opinione ha bisogno di tante voci, altrimenti si atrofizza. Oggi ho un obiettivo molto più modesto. Sto scrivendo questa storia. Non tutto del passato rimane e si perpetua. Buona parte viene cancellato e dimenticato. Credo lo abbiano fatto con lo stesso Giuseppe Di Vittorio (sempre citato, molto meno spesso imitato) e lo hanno ripetuto con il murale a lui dedicato. Quello che si può fare è raccontare, riuscire a tramandare la bellezza di un’opera creativa riuscendo a farla ‘rivedere’, con le immagini, con i racconti di chi l’ha ideata, costruita e dipinta, con le storie di chi l’ha apprezzata e ammirata come icona di una storia più grande: quella del più amato sindacalista di tutti i tempi. Un documentario, un film, che possa andare nelle scuole e nelle piazze”.

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