di Andrea Nicastro
Mercati e guardiani dell’euro hanno a lungo pensato che Alexis Tsipras fosse il diavolo pronto a ricattare l’Europa: o cancelli il debito greco o l’euro si sgretola. Poi però messaggi e messaggeri che il quarantenne nuovo leader greco ha fatto arrivare a Berlino e a Bruxelles hanno fatto pensare a molti che un compromesso fosse possibile.
Ora che da Atene arriveranno delegazioni ufficiali con in tasca la stessa agenda, però, i fautori delle ricette lacrime e sangue dovrebbero ascoltare anche cosa dice Costas Lapavitsas, uno degli economisti di punta del partito di Tsipras. Uno che per cinque anni ha studiato, calcolato e predicato che uscire dalla moneta unica sarebbe stato un affare migliore della purga chiamata austerity. Lapavitsas guiderà l’ala oltranzista che potrebbe puntare i piedi e imporre al tenero Tsipras un approccio da scatenato Robin Hood. «Nel 2010 non avevo dubbi. Molto meglio lasciare l’euro. Oggi è diverso. La catastrofe è già avvenuta, l’economia greca è già distrutta».
Ma come? Il tasso di crescita dello 0,7%, l’avanzo nella raccolta fiscale, il bilancio in equilibrio.
«Vero, l’economia si è stabilizzata, ma è la stabilità del cimitero che, in genere, è un posto molto tranquillo. Ora bisogna riaccendere l’economia. Mettere al lavoro il 26% di disoccupati e recuperare salari crollati del 40%».
È quello che dice anche l’Europa.
«Il programma della troika è una via senza uscita. La Grecia è fallita. Le imprese pubbliche e private non possono lavorare solo per pagare gli interessi. Non si permettono investimenti, ricerca, sviluppo, solo un lento declino. Unica soluzione è tagliare il debito».
L’obiezione la conosce: se perdoniamo ora, fra due anni gli spendaccioni del Sud torneranno a battere cassa.
«In un’economia capitalistica è normale fallire. Perché se tocca ad uno Stato si aggiunge un giudizio morale? La realtà è che se non si permette che chi ha investito e magari speculato possa anche perdere denaro, tutto il sistema capitalistico perde di significato. È dall’antichità che i poveri diventano schiavi per debiti. Ora basta».
Ammettiamo che venga cancellato il vostro debito che in fondo è poca cosa sul bilancio complessivo. Perché il giorno dopo non dovrebbe chiederlo anche l’Italia?
«Perché la Grecia è un caso speciale. Basta guardare alla proporzione del debito, all’estensione della depressione e allo stato dell’economia. E in più perché il debito greco è posseduto da istituzioni e dimenticarlo non farebbe crollare il mercato. Concordo, però, che sarebbe un trattamento privilegiato. Ci vorrebbe in parallelo una soluzione generale europea. Che però può avere tempi leggermente più lunghi che per la soluzione greca».
Lei insegna economia a Londra e fa parte del gruppo dei professori emigranti che Syriza ha richiamato per trovare alternative all’austerità. Siete tutti d’accordo?
«Negli ultimi anni sono stati molti gli accademici, non solo greci, che da sinistra hanno criticato l’austerità. Grosso modo siamo divisi in due correnti. La prima, maggioritaria, ritiene che l’eurozona possa migliorare dall’interno, avendo una buona gestione dei cambi, un allentamento fiscale e la cancellazione dei debiti con contemporaneo incremento degli investimenti pubblici».
La seconda?
«Pensa sia più conveniente lo smantellamento dell’euro con default dei Paesi più indebitati. Un po’ sul modello argentino. Io mi riconosco più in questa linea».
Sulle altre misure siete d’accordo?
«Il programma di Syriza è scritto, non ammette ripensamenti. Aumento dello stipendio minimo, abolizione della tassa immobiliare, aiuti sull’elettricità e il cibo per fermare l’emergenza umanitaria. E allo stesso tempo trattare sul debito. Ci sarà di certo una forte opposizione, ma la Grecia ha armi a disposizione e credo che altri europei aiuteranno».
Dove prenderete i soldi se l’Europa smetterà di versare le rate dei prestiti?
«I soldi in arrivo servono solo a pagare gli interessi. Non ce li daranno? Peggio per i creditori. Noi potremmo finanziarci in vari modi fino a giugno, luglio. Poi se non ci sarà ancora accordo sul debito, ognuno andrà per la sua strada. E addio euro».
Questo articolo è stato ripreso da Dagospia e pubblicato sul Corriere della Sera