Trent'anni dopo la strage di Natale: chi siamo noi?

23 Dicembre 2014 /

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di Riccardo Lenzi, presidente Associazione Piantiamolamemoria
Da sabato scorso, 20 dicembre, e fino alla Befana – per iniziativa di Piantiamolamemoria, Unione Fotografi Organizzati, Libera e Rete degli archivi per non dimenticare – la sala d’attesa della stazione centrale di Bologna ospita una mostra fotografica che documenta la strage avvenuta il 23 dicembre 1984 all’interno della galleria di 18 chilometri che separa la Toscana dall’Emilia. Lo stesso tunnel lungo la ferrovia Direttissima dove, dieci anni prima, ci fu la strage sul treno Italicus.
Per la prima volta la bomba fu fatta esplodere tramite un radiocomando, per essere certi che, scoppiando dentro la galleria, provocasse il maggior danno possibile; fino ad allora i terroristi neri avevano usato i timer. Inoltre si è recentemente provato che la miscela esplosiva, denominata Semtex (pentrite, T4, nitroglicerina e tritolo), era la stessa che Cosa nostra e i suoi complici useranno otto anni dopo per la strage di Via D’Amelio. Chi è stato? Ad oggi per questo attentato sono stati condannati il boss di Cosa nostra Giuseppe Calò e il suo sodale Guido Cercola (suicidatosi in carcere dieci anni fa), Franco Di Agostino e Friedrich Schaudinn (cittadino tedesco, esperto di elettronica); assolti per l’accusa di strage, ma condannati per detenzione illecita di esplosivo il criminale neofascista napoletano Giuseppe Misso e il parlamentare del Msi Massimo Abbatangelo.
A distanza di trent’anni rileggere in sequenza altri fatti avvenuti in quel 1984, può forse aiutarci a decifrare meglio le ragioni del recente rinvio a giudizio di Totò Riina (il processo alla Corte d’Assise di Firenze è iniziato a novembre): «la strage del Rapido 904 fu ideata e pensata al fine di distogliere momentaneamente l’impegno repressivo e investigativo dello Stato dalla lotta alla mafia verso il diverso obiettivo del terrorismo eversivo, costituendo tale strage la prima e immediata risposta dell’organizzazione mafiosa ai mandati di cattura del primo maxiprocesso a Cosa Nostra, emessi nel settembre 1984 dai giudici Falcone e Borsellino a seguito delle dichiarazioni di Tommaso Buscetta».

Uno degli antefatti della strage è, senza dubbio, la pubblicazione della relazione finale della commissione d’inchiesta sulla loggia segreta P2. Consegnata al Parlamento il 12 luglio 1984, «la relazione Anselmi è la voce di un popolo che chiede di sapere, di sapere di sé. Che oggi ci dice quello che siamo stati, quello che siamo. Mettendo in luce il progetto politico eversivo contro la democrazia messo in atto in quegli anni, quel documento svela la grande ambiguità che ha consentito, e può ancora consentire, al potere di apparati oligarchici e occulti di tenere in pugno un Paese sottraendolo alla sovranità dei cittadini»: con queste parole l’ex senatrice Albertina Soliani, amica di Tina Anselmi, ha ricordato uno dei documenti più importanti della storia politica italiana (consultabile sul sito www.fontitaliarepubblicana.it).
Tre giorni dopo, il 15 luglio, il boss pentito Tommaso Buscetta atterra a Fiumicino e inizia a parlare con i magistrati di Palermo: a settembre, sulla base delle sue dichiarazioni, partiranno 366 mandati di cattura. Altri 127 arresti per mafia arriveranno ad ottobre; stesso mese in cui viene arrestato il vicecapo dei servizi segreti militari Pietro Musumeci, accusato di aver favorito la fuga del faccendiere” Francesco Pazienza (entrambi saranno condannati in via definitiva per calunnia aggravata – ovvero per i depistaggi – nel processo per la strage alla stazione di Bologna). Il 3 novembre scattano le manette anche per Vito Ciancimino, ex sindaco democristiano (e mafioso) di Palermo. Nel frattempo il governo guidato da Bettino Craxi, che all’inizio dell’anno aveva siglato il nuovo concordato Stato-Chiesa, in quell’autunno era impegnato a salvare – a colpi di decreti – le tv di Berlusconi dalle sentenze delle “toghe rosse” (che allora erano pretori).
L’associazione Piantiamolamemoria si impegnerà affinché, come si è già fatto a Milano per il processo sull’omicidio di Lea Garofalo e come si sta facendo a Bologna per il processo Black Monkey, gruppi di cittadini si organizzino per essere presenti alle udienze del processo di Firenze. Il 13 gennaio toccherà a Giovanni Brusca parlare davanti ai giudici: sarebbe bello che alcuni cittadini di Bologna andassero a seguire quell’udienza. In treno, naturalmente. Per partecipare alla richiesta di verità e giustizia dei familiari delle vittime. Per capire meglio da dove viene l’Italia di oggi. E anche per smettere di stupirsi di quello che sta emergendo dall’inchiesta Mafia Capitale…

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