Tra piazza Fontana (1969) e la strage di Natale (1984): ciò che Pasolini aveva previsto, anzi sapeva

12 Dicembre 2018 /

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Questo testo è stato pubblicato in vista dell’anniversario della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Si lega al famoso articolo di Pier Paolo Pasolini “Io so” e lo riproponiamo qui, a cavallo tra il ricordo della bomba esplosa a Milano alla Banca Nazionale dell’Agricoltura e la strage di Natale, avvenuta a San Benedetto Val di Sambro, a poca distanza da Bologna, il 23 dicembre 1984.
di Daniele Barbieri
È di nuovo 12 dicembre: dal 1969 a oggi la strage di piazza Fontana – e non è l’unica – rimane impunita. Questo articolo di Pasolini uscì il 14 novembre 1974 sul «Corriere della sera». Fu uno choc. Ma anche a rileggerlo dopo tanti anni lo choc resta e per certi versi è persino più grande. Dal 1974 a oggi moltissimo in Italia è cambiato: per esempio anche i giudici non compromessi oggi sanno (perché hanno cercato e trovato le prove) chi ha messo le bombe in piazza Fontana e i nomi degli esecutori e di alcuni dei “capi” dietro le altre stragi e i tentativi di golpe; eppure non sono riusciti a condannarne uno.
Altre notizie – sulla mano “americana” dietro lo stragismo, come Pasolini ripeteva più volte in quell’articolo – sono uscite confermate dai documenti statunitensi decodificati (cioè non più segreti): ma i media e la “classe dirigente” fingono di non averli letti. Due clamorose conferme all’«io so» di Pasolini dunque ma anche a un passaggio decisivo (che viene spesso omesso quando lo si cita) di questo articolo: «Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia».

C’è poi il discorso sul Pci, «un Paese pulito in un Paese sporco». Qui il mio punto di vista non coincide con quello di Pier Paolo Pasolini. Se è verissimo che allora il Partito comunista non era l’indecenza dei suoi attuali eredi e rappresentava gran parte dell’Italia migliore, è anche vero che non era del tutto limpido (e anche le sue “incertezze” sulle stragi lo confermavano) e con ogni evidenza si accingeva – se qualcuno aveva dubbi era stato Enrico Berlinguer a scrivere pochi mesi prima di un «compromesso storico» con la Dc (palesemente implicata nei golpe e nello stragismo, visto che i mandanti erano alcuni suoi uomini di punta) – a entrare nelle stanze del potere in coabitazione con l’Italia peggiore e non in opposizione a essa.
In quell’articolo Pasolini dimenticò che i quegli anni (meravigliosi e terribili) c’era un’altra Italia “bella”: quella che fra il ’68 e il ’74 aveva sfidato padroni e Vaticano, fascisti vecchi e nuovi, Dc e altri servi dell’Amerika (con il K in contrapposizione all’altra America quella che era contro Nixon e contro la guerra in Vietnam): l’Italia dei giornalisti e intellettuali – pochi ma vi furono – che dissero subito «Pinelli è stato assassinato, Valpreda è innocente» ma ancor più l’Italia dei tantissimi militanti della sinistra che allora era definita extraparlamentare i quali urlarono in una contro-inchiesta diventata famosa («La strage di Stato») nelle piazze e nei luoghi di lavoro un collettivo: «noi sappiamo».
La frase finale dell’articolo è profetica: a dire i nomi dei colpevoli «saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato». E fu infatti Andreotti – non il minore, non il migliore – a fare i nomi (alcuni per lo meno) dei militari, della P2, di Gladio. Proprio il Giulio Andreotti amico di fascisti vecchi e nuovi, legato alla mafia e agli Usa. Ed è sempre lo stesso Andreotti che poi farà un governo con le astensioni del Pci. Fu quello «in definitiva» il vero golpe, proprio come Pasolini aveva intuito. E ancor oggi tutte/ noi ne paghiamo le conseguenze.

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