Referendum sul divorzio, quarant'anni dopo

10 Ottobre 2014 /

Condividi su

di Pierfranco Pellizzetti
I coetanei dello scrivente ricordano di certo la tiepida sera romana in Piazza del Popolo di quel lontano 14 maggio 1974, quando si tenne lo storico comizio a cui parteciparono tutti i leader del cosiddetto arco costituzionale (Democrazia Cristiana ovviamente esclusa) attendendo i risultati del referendum abrogativo della legge Baulini – Fortuna, istitutiva del divorzio. Normativa che era stata introdotta il 1° dicembre di quattro anni prima (legge 898/1970). Ma lo scontro finale, la sfida all’OK Corral tra laici e clericali, stava svolgendosi proprio in quel momento.
Dopo una campagna al calor bianco scatenata dalle forze oscurantiste, guidate da un boss del peso di Amintore Fanfani e mettendo in campo una mastodontica opera di disinformazione terroristica; contro quello che non era soltanto un istituto del diritto di famiglia, quanto una vera e propria conquista di civiltà. Nell’Italia profonda del clericalismo a sostegno del patriarcato gerarchico, del familismo amorale.
A detta dei testimoni oculari, sul palco allestito in quell’angolo di Roma stracolmo di cittadini speranzosi, vigeva un profondo pessimismo riguardo ai risultati previsti. Ugo La Malfa fu sentito sussurrare a Pietro Nenni: «che peccato, il divorzio non passerà…». E l’altro: «i tempi non sono ancora maturi…».

Persino il solitamente fideista Marco Pannella, che arringava ininterrottamente i presenti, lasciava trapelare di essere in preda ai dubbi. Tanto da ammettere che «sarà un miracolo ottenere il 51 per cento». Anche per questo grandissimo fu lo stupore, misto a entusiasmo, quando giunsero i primi risultati: il “no” all’abrogazione della Baulini – Fortuna stravinceva quasi dappertutto; con il 59,3per cento, contro uno striminzito 40,7.
Avevano votato l’87,7 per cento degli aventi diritto. Un successo che fu raggiunto anche perché – una volta tanto – le logiche collusive dell’intesa sottobanco con l’avversario, attitudine pessima del (maldestro) opportunismo politico nazionale, non erano riuscite ad attecchire; non ce l’avevano fatta ad annegare la spinta al cambiamento nella melassa del compromesso (al ribasso).
Gli intimoriti dallo scontro con il partito della Chiesa e dei vescovi (o forse più semplicemente terrorizzati dall’idea di una società che, mostrandosi più civile del previsto, potesse sottrarsi alla tutela pedagogico-paternalistica del ceto di partito) – i machiavellici del PCI come gli Aldo Bozzi del PLI trattativista – erano stati felicemente accantonati. Appunto, per una volta. E grosso merito di questa felice operazione democraticamente terapeutica va riconosciuto alla LID, la Lega per il Divorzio fondata nel 1966 dall’entourage pannelliano.
Ora, con giovanile baldanza, ne scrive la storia Domenico Letizia (“Storia della Lega Italiana per il Divorzio”, Edizioni Europa, Roma 2013), che si definisce anarchico, liberale, libertario, liberoscambista. Pannelliano.
Un’organizzazione a cui dobbiamo riconoscenza per i grandi meriti acquisiti sul campo nella stagione che potremmo definire “dei diritti civili”. Stagione scandita dai successi non solo per l’introduzione del divorzio, ma anche nella vittoriosa campagna per l’aborto e i diritti delle donne a decidere LORO sulle scelte relative alla maternità e all’interruzione volontaria della gravidanza (legge del 22 maggio 1978, N° 194).
Felice momento, in cui erano venuti emergendo gli effetti dei processi di modernizzazione nazionali; a seguito di una vera e propria rivoluzione economica e sociale redentrice di buona parte del Paese dalla condizione di endemica arcaicità, favorendo il diffondersi di una cultura che il sociologo Ronald Inglehart definisce “postmaterialista” (il passaggio delle opzioni esistenziali dalla pura sopravvivenza materiale alla domanda di qualità della vita).
Se Domenico Letizia lo consente a un quasi settuagenario (forse reso baldanzoso dalla “sindrome di Peter Pan”?), che non è né anarchico né tanto meno liberoscambista e neppure pannelliano (considerandolo un avventuriero della politica che qualche volta è stato dalla parte giusta), verrebbe voglia di domandargli e domandarsi le ragioni per cui quella felice stagione è finita così male; ribaltata nel nuovo oscurantismo di questi ultimi decenni, non più clericali quanto economicisti.
Non sarà perché le basi materiali della laicizzazione, i cui vettori risultavano l’inclusione e i processi distributivi in chiave egualitaria, sono strate minate e poi cancellate dall’ondata liberoscambista (linea reagan-thatcher) che ha imposto l’ideologia mercatista e promosso l’assiomatica dell’interesse in quanto individualismo autoreferenziale?
L’operazione all’insegna de “la società non esiste” che ha disarticolato ogni capacità di resistenza in quei soggetti collettivi aborriti dal pannellismo (poi dall’inciucismo e oggi dal renzismo). Fermo restando i pur evidenti processi di notabilizzazione e burocratizzazione delle rappresentanze. Da contestare, non certo strumentalizzare, facendo della democrazia terra bruciata; in cui avanzavano i contractors delle forze d’occupazione sotto gli stendardi NeoLib.
Se c’è un messaggio nella vicenda gloriosa dei diritti civili conquistati, era quello di una società che si riappropria del proprio destino. Una vera epopea orientata al futuro, poi colpevolmente deviata nel presente immobile del “migliore dei mondi possibili” (la “fine della storia” culminata nelle follie di “rifare storia” esportando democrazia attraverso le guerre) grazie all’imposizione egemonica del Pensiero Unico.
Da qui gli anni tristissimi e disperati, di indignazione condannata a sfociare nella frustrazione fatalistica, in cui abbiamo vissuto. Con il cuore e la mente che si fanno sempre più freddi. Che potrebbe riscaldare il ricordo di un’antica mobilitazione divorzista del fior fiore dell’intelligenza italiana, a difesa della civiltà. Solo alcuni nomi: Eugenio Montale, Paolo Sylos Labini, Monica Vitti, Vittorio Marzotto, Cesare Zavattini, Marcello Mastroianni, Indro Montanelli, Cesare Zavattini, Urbano Rattazzi, Italo Calvino, Furio Colombo, Mario Monicelli, Federico Orlando…
Momento felice, per l’Italia civile. Di cui urge riacquistare consapevolezza. Specie ora che ce ne stiamo tutti barricati nelle nostre case, in attesa che passi “‘a nuttata”. Che non passerà senza un ricordo rivificato da rinnovata combattività. Oltre i cerchi stregati e contro tutti gli incantesimi anestetizzanti di guru e marpioni vecchi e nuovi.
Questo articolo è uscito su Micromega online il 3 ottobre 2014

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati