La Corte costituzionale chiarisce nel comunicato – che precede il deposito della sentenza sulla legge sull’autonomia regionale differenziata – che non ritiene questa legge (86/24 Calderoli) del tutto incompatibile con la Costituzione ma ne sanziona pesantemente 7 punti giudicati incostituzionali e ricorda dei principi fondamentali a cui le correzioni e l’attuazione della legge dovranno uniformarsi, ad esempio il ruolo del parlamento che potrà cambiare il merito di eventuali intese governo/regioni.
Le censure della Corte sono pesanti, aprono vuoti importanti nella legge voluta dal governo, ma targata Lega, e approvata senza ascoltare critiche e osservazioni. Al punto – va ricordato – che il testo uscito dal Senato è stato confermato dalla Camera senza cambiare un virgola, un’imposizione che colpisce seriamente il ruolo del parlamento.
Quindi la legge è monca ma tuttora in vita, anche se sostanzialmente inapplicabile senza le modifiche che la Corte ha chiesto. Calderoli e la maggioranza hanno scelto di sminuire (inutilmente) la gravità delle censure della Corte, vantando una sostanziale approvazione e così confermando che la legge vive.
Perché mai dalla sentenza dovrebbe conseguire l’impossibilità di effettuare il referendum interamente abrogativo?
I ricorsi delle regioni
La Corte deve giudicare sulla base dei ricorsi di 4 regioni (ben argomentati) sull’incostituzionalità della legge 86/24 e lo ha fatto eliminando 7 punti chiaramente incostituzionali e aggiungendo che si riserva di giudicare sulla base dei principi fondamentali della Costituzione le modifiche alla l. 86/24 che verranno approvate dal parlamento e gli atti che ne conseguiranno, ad esempio sui Livelli essenziali di prestazione.
Questo conferma che la legge in sé continua a vivere, seppure fortemente colpita dalle censure della Corte, quindi resta impregiudicata la possibilità di sottoporla al giudizio di elettrici ed elettori.
Potrebbero esserci nuove ragioni per respingere la richiesta di referendum interamente abrogativo? Non si vede quali e comunque sarebbero le stesse che c’erano prima della sentenza perché il quesito abrogativo riguarda le scelte politiche e istituzionali contenute nella legge non la sua costituzionalità, che era l’oggetto dei ricorsi delle 4 regioni alla Corte.
Qualche esempio: il rischio concreto che la legge Calderoli provochi una frattura dell’unità nazionale, affidando ad alcune regioni funzioni che aprirebbero una fase di competitività/concorrenza tra le regioni che provocherebbe rincorse ed esclusioni sulla base della maggiore o minore capacità economica e di governo. Per di più ci sarebbero conseguenze, ne ha parlato anche il Presidente della Calabria Occhiuto, nei rapporti europei e internazionali, con conseguenti divaricazioni sociali, economiche, anche tra le imprese.
Altro aspetto grave è la contraddizione tra il vincolo previsto dalla legge 86/24 di non produrre maggiori oneri per la finanza pubblica e la possibilità per le regioni che ottenessero maggiori funzioni di avere contestualmente maggiori risorse. Non a caso la Corte ha sanzionato il pericolo che le regioni che ottenessero più risorse per le funzioni trasferite possano essere anche quelle meno in grado di garantire le funzioni attribuite, con la conseguenza che per garantire i diritti dei cittadini dovrebbe intervenire lo stato, in altre parole con oneri caricati sulle altre regioni. Quando Viesti ha sintetizzato la legge Calderoli come la “secessione dei ricchi” qualcuno ha storto il naso, eppure ora la Corte gli ha dato ragione, anche se con motivazione rovesciata.
Il referendum abrogativo
Il referendum limitato ai Lep proposto dalle regioni potrebbe avere problemi di ammissibilità, giudicherà la Cassazione visto che la Corte costituzionale ha censurato pesantemente le norme sui Lep. Vedremo. Mentre il referendum interamente abrogativo della legge Calderoli, su cui si è formato un largo e unitario comitato promotore, non corre questo rischio. Certamente non ha oggi più rischi di quelli che aveva prima della sentenza.
Forte di 1.291.000 firme, superando il quorum richiesto per la presentazione sia nel telematico che nel cartaceo, il quesito del referendum interamente abrogativo (volete voi abrogare la legge 86/24…) punta a cancellare tutta la legge Calderoli, che è una bandiera della Lega, sopportata dal resto della destra solo perché parte del patto di potere che regge il governo.
Qualcuno/a ha sbagliato a sottovalutare la pretesa della Lega e ora forse spera che altri risolvano il problema.
Il prof Silvestri (emerito della Corte) nell’iniziativa dei costituzionalisti alla Sapienza il 14 novembre ha riassunto bene la risposta a quanti sperano che il quesito interamente abrogativo non passi il vaglio della Corte. Infatti non c’è ragione per bocciare il referendum abrogativo per il collegamento con la legge di bilancio, che è del tutto posticcio, strumentale e furbesco come afferma la legge stessa (in più punti) quando afferma che non ci saranno aumenti di spesa pubblica, quindi è una finzione.
Non è una legge obbligata per attuare la Costituzione, tanto è vero che negli ultimi giorni del governo Gentiloni furono firmati protocolli di accordo con 3 regioni, 2 sono tra quelle che strillano oggi. E’ una legge non necessaria per attuare la Costituzione, naturalmente nei limiti e nelle forme indicate dalla sentenza della Corte costituzionale.
Per di più il referendum chiede di abrogare tutta la legge, quindi non manomette il testo, ma chiede agli elettori di abrogarlo come scelta politica perché è sbagliato e pericoloso per l’Italia. Questo consentirebbe di ripartire da capo. Tutto sommato questo risultato converrebbe anche agli imprudenti del governo attuale che hanno appaltato a Calderoli la conduzione della partita. L’abrogazione converrebbe perfino a quella parte della destra che faticherà non poco a chiedere ad elettrici ed elettori di andare al mare nel momento del voto, quando sarà in gioco il futuro dell’Italia.
Terapia anti-astensionista
L’interrogativo riguarda semmai il raggiungimento della maggioranza degli elettori nel referendum, quindi come arrivare ad almeno 25 milioni di votanti. Sarebbe anche una buona terapia anti astensionista.
E’ vero cresce il non voto, i segnali sono tanti e preoccupanti. Tuttavia la novità è che la richiesta del referendum abrogativo è fortemente sostenuta dalla società (organizzazioni, e persone) ed è una battaglia che può ridare slancio alla partecipazione democratica nel momento in cui la politica fa fatica ad attrarre. Anche nei referendum del 2011 c’erano dubbi e timori sul raggiungimento del quorum, ma è andata bene. Aggiungo per gli smemorati che Di Pietro insistette per riproporre l’abrogazione della legge sul legittimo impedimento, in gran parte risolto dalla Corte, ed ebbe ragione e così il voto cancellò del tutto il legittimo impedimento dalla legislazione italiana.
Meglio iniziare la campagna referendaria, senza farsi distrarre dai contorsionismi di Calderoli e compagnia e chiedere a chi ha firmato la richiesta, alle energie personali e sociali disponibili di impegnarsi a fare conoscere le ragioni che portano a chiedere l’abrogazione di tutta la legge, costituendo i comitati referendari, meglio se partendo da seminari aperti per approfondire le ragioni che spingono ad insistere con il referendum interamente abrogativo della legge Calderoli 86/24.
Questo articolo è stato pubblicato su Striscia rossa il 27 nomvebre 2024