Il 19 luglio 1985 la sciagura: dal 2002 la Fondazione Stava lavora per non dimenticare

19 Luglio 2014 /

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di Noemi Pulvirenti
Erano le 12.22’55” del 19 luglio 1985 quando 180.000 metri cubi di acqua e fango travolsero la valle di Stava, provocando la morte di 268 persone e consistenti danni materiali e ambientali a seguito del crollo delle discariche della miniera di fluorite di Prestavèl.
Il procedimento penale si è concluso nel maggio del 1992 con la condanna a carico di dieci imputati riconosciuti colpevoli dei reati di disastro colposo e omicidio colposo plurimo. La causa del crollo fu dovuta all’instabilità delle discariche e in particolare a quella superiore che crollò per prima. Le strutture non possedevano i requisiti di sicurezza necessari per evitare il franamento. Per più di vent’anni non furono sottoposte a nessun tipo di verifica da parte delle società minerarie o a controlli da parte degli Uffici pubblici, cui compete l’obbligo del controllo a garanzia della sicurezza delle lavorazioni minerarie e dei terzi.
La Fondazione Stava 1985 è nata nel 2002 dall’impegno dei familiari delle vittime che hanno voluto costituire una fondazione con lo scopo di contribuire ad una memoria attiva. Questo impegno si traduce non soltanto nell’annuale commemorazione, ma nell’organizzazione di laboratori didattici per le scuole, formazione per addetti ai lavori e pubblicazioni di vario genere.

Abbiamo chiesto a Michele Longo, responsabile dei progetti della Fondazione, di raccontarci qualcosa di più: “Franco De Battaglia, direttore del quotidiano Alto Adige, nella prefazione al libro “Stava perché” del 1995 scrive: Il vero monumento alle 268 vittime innocenti di Stava è l’impegno silenzioso, costante, tenace che le famiglie sopravvissute hanno sofferto e trasmesso lungo tutti questi anni per mantenere vivo il ricordo dei loro cari e soprattutto perché quelle morti si liberassero dalla loro disperazione, per tradursi in un momento di vero riscatto civile, per far capire che quella di Stava non è stata una fatalità, per gridare la necessità di rapporti nuovi fra gli uomini.
Se vogliamo queste parole potrebbero essere l’incipit di un ipotetico manifesto della Fondazione che fa della memoria, della informazione e della formazione i tre canali attraverso i quali raggiungere singoli cittadini, istituzioni, ordini professionali, istituti scolastici, università. Memoria per ricordare i 268 sfortunati che erano quel giorno in val di Stava e che, oltre a meritare il ricordo, meritano che chi è rimasto faccia il possibile perché fatti come questo non accadano più.
Informazione perché solo una puntuale ed esauriente esposizione di genesi, cause e responsabilità del disastro può prima far comprendere e poi stimolare approfondimento e ricerca di strade nuove sui temi di uso dell’acqua per uso industriale ed economico, dello sfruttamento del territorio e di attenzione alle persone che il territorio abitano.
Formazione perché i comportamenti messi in atto da professionisti, amministratori, impresari molto spesso sono dettati da una componente formativo-culturale che bada al risultato economico senza tenere conto dei costi reali che con il tempo si accumulano in termini di impoverimento territoriale e di minaccia alla sicurezza degli insediamenti umani. E la “lezione” di Stava insegna che un’attenta pianificazione, progettazione e gestione di opere simili ai bacini crollati nel 1985 costa, anche dal punto di vista economico, mille volte meno del ripristino territoriale successivo al fatto. Senza contare la perdita delle vite umane”.
La commemorazione di quest’anno non ha soltanto come focus la Val di Stava ma è dedicata alle Vittime dei disastri del Vajont, del Cermis e del Gleno. Per riassumere le vicende in breve: la frana del Vajont del 9 ottobre del 1963 provocò circa 1910 morti, il 9 marzo del 1976 la funivia del Cermis causò 42 vittime; circa 35 persone persero la vita per il crollo della diga del Gleno nel dicembre del 1923. Non è la natura a ribellarsi, non sono disastri naturali. Anche le catastrofe del Vajont, del Cermis e del Gleno sono stati causati dallo stesso disinteresse per la sicurezza dei terzi, dalla stessa leggerezza e superficialità provocate dall’incuria e dalla colpa dell’uomo.

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