La retorica della gravida: perché c'è una cosa dell'appello video dell'Unità che è davvero inaccettabile

14 Luglio 2014 /

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di Matteo Bordone

Il quotidiano l’Unità è in crisi. Non è l’unica testata che fa fatica, anzi. Ci sono molti amici e conoscenti in questi anni che sono rimasti senza lavoro, sono in cassa integrazione, hanno cambiato mestiere, oppure lavorano ancora a un giornale di qualsiasi tipo, ma stanno come d’autunno sulle rotative i fogli. Che l’Unità sia in crisi poi, nello specifico, se ci si pensa con un po’ di franchezza, non è una notizia inaspettata: anche senza seguirne le vicende da vicino, uno a occhio lo capisce da solo che quel tipo di giornale (finanziato, legato a un partito, non al centro del flusso delle notizie) non gode di salute ottima.
Questo è il video con cui i giornalisti dell’Unità chiedono, usando una formula nuova e un po’ discutibile in sé, che il quotidiano che fu del Pci venga “salvato” da Renzi e dal loro editore Matteo Fago.

Credo che questo video sia un tipico autogol: guardandolo, le persone normali, che sono fuori dalle logiche e dalle dinamiche di un quotidiano in crisi, temo abbiano proprio l’impressione che il giornale sia un accrocchio anacronistico. C’è del vittimismo, c’è un atteggiamento vagamente ricattatorio, c’è un tono astioso nei confronti di Matteo Renzi, del suo gergo, del suo modo di vedere le cose. È evidente che, agli occhi della redazione dell’Unità, Renzi considera troppo poco la redazione dell’Unità. Va detto che è un fenomeno fisiologico e tipico degli esclusi, quello di sentirsi esclusi. Ma comunque c’è chi vuole il “brand”, chi non lo vuole, chi lo deride, chi chiede a Renzi e Fago di mettersi una mano sulla coscienza perché ha famiglia, non può finire in mezzo a una strada.
Teniamo conto che, in un periodo di crisi economica che sta toccando tutti, i giornalisti sono tra le categorie più protette. Detto questo, è normale che cerchino di difendere il loro posto di lavoro; un po’ meno che lo facciano così, ma insomma. Non è di questo che voglio parlare, ma di un punto specifico. Perché c’è una cosa in questo video che è proprio inaccettabile nella forma e nella sostanza. So che è stato realizzato da Klaus Davi, dalla sua società più che da lui in persona immagino: non so se sia stata un’idea sua né mi interessa più di tanto.
È il 2014. Sei una redazione giornalistica che storicamente appartiene alla sinistra italiana, cioè il polo politico e culturale che per decenni ha guidato la lotta delle donne italiane per l’emancipazione. È una dinamica complessa e tutt’altro che risolta, una sfida un tempo visibile e militante, ora diluita nella dialettica quotidiana dei generi. Passa dalle ministre del governo ai nidi nelle grandi aziende, dalla lotta alla violenza domestica al diritto all’aborto violato quotidianamente negli ospedali di tutto il paese. È, insomma, quello delle donne e dei loro diritti, di come vengono viste nel corpo e nel ruolo, un tema importante che ti deve stare a cuore. Milioni di donne, spesso lettrici dell’Unità, hanno lottato per decenni per conquistrare per sé e per tutte le donne italiane una dignità che andasse oltre il posto di mogli, madri e fattrici che era stato riservato loro. E con cosa si apre il video dell’Unità, dico dell’Unità e non dell’Avvenire?
Come vedete qui sopra, il video si apre con la grafica del giornale che, ripresa leggermente dal basso, si accarezza la pancia mentre parla. Siccome qualcuno può non essersi accorto che è una futura madre a parlare, il che sembra dare tutto un valore più centrale e definitivo alla sua testimonianza, è lei stessa a fare riferimento alla nascita imminente di una bambina. Si capisce chiaramente dal taglio di montaggio che chi fa le riprese le chiede di parlarne, e l’ipotesi che sia proprio Klaus Davi o uno dei suoi è molto plausibile.
Però è veramente inaccettabile che qualcuno che vuole fare comunicazione in Italia nel 2014, rappresentando una testata storicamente progressista e femminista, pensi di mettere in piedi una scenetta così avvilente, gonfia di retorica agraria, da battaglia del grano. Una donna può difendere il proprio lavoro perché è lavoro e perché è una persona che ha una dignità. E se è incinta, conoscendo il nostro paese e la condizione femminile nel nostro paese, farebbe bene a evitare il pietismo iconografico classico di questa terra di grembiuli e madonne. Se lavora all’Unità, deve farlo; se non lei, qualcuno dei colleghi.
Delle due, una: o all’Unità hanno fatto apposta d’accordo con Klaus Davi, e in questo caso non si vede con quale credibilità possano avere da dire sulla visione decorativa e puttanesca della donna proposta da Berlusconi, visto che è del tutto complementare a questa da incubatrice, ma almeno ha dalla sua il libero arbitrio di gestire il corpo per i propri scopi, fuori dalla solita retorica della famiglia; oppure non se ne sono accorti, non pensano che sia una questione importante. Non so decidermi su cosa sia più grave.
Ovviamente facciamo i nostri migliori auguri: la bambina sarà bellissima come e più della sua mamma, evviva. E speriamo che le cose al giornale si sistemino per il meglio.
Però siete un giornale politico, vivete di comunicazione, siete l’Unità. Se vi basta così poco per mettere da parte le posizioni che la vostra testata ha contribuito a costruire nel corso dei decenni, in nome di un si salvi chi può che passa sopra a tutto, non capisco proprio cosa ci sia da difendere che non abbiate già dimenticato, quale principio politico o deontologico sia per voi più nobile della protezione sfrontata del vostro stipendo.
Questo articolo è stato pubblicato sul blog di Women.it il 9 luglio 2014

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