di Marco Palombi
Politologo no, per carità. Politologi sono un po’ tutti e Gianfranco Pasquino – professore emerito di Scienze Politiche a Bologna – ha un profondo rispetto della sua specializzazione nella più fascinosa e sfuggente delle arti sociali. Per questo – e perché è un antico uomo di sinistra, senatore per tre legislature – gli abbiamo chiesto un parere sull’ultima scissione nel campo che un tempo si disse progressista: quella di Matteo Renzi, che esce dal Pd.
Professore, come valuta la mossa dell’ex segretario?
Non lo so. La mia risposta più sincera, la prima che mi viene in mente è: sono affari suoi. Poi certo devo pensare che sono un po’ anche affari nostri, di chi pensa che la sinistra vada rafforzata e non indebolita. Ma tanto Renzi non ha niente di sinistra: insomma, se vuole andarsene se ne vada…
Ora rischia pure il governo?
Spero di no. Sarebbe curioso che l’uomo che si è speso di più per farlo nascere si preparasse a far cadere il governo dopo qualche mese. Sarebbe una scelta drammatica, un grande regalo a Salvini.
Va bene, Renzi non farà cadere Conte: che farà?
Coi suoi numeri in Parlamento potrà ricattare il governo e spingerlo ad applicare le sue politiche. Ammesso che ne abbia, certo.
E che politiche saranno? Che profilo ha il nuovo Renzi?
Non ne ho idea, anche perché non vedo grandi ideologi, né esperti di economia o di istituzioni. Immagino che da un lato Renzi dovrà accentuare gli aspetti personalistici, perché quel partito senza di lui non esiste, e dall’altro i contenuti orientati al mercato: penso che parlerà spesso di merito e cose così, ma non so con quale credibilità. Io direi poca, ma sono solo uno…
E il Pd? Che gli succede?
Ecco, il Pd. Intanto bisognerebbe rispondere, citando un libro di Antonio Floridia, alla domanda: è un partito sbagliato? La risposta è sì e sarebbe meglio costruire qualcos’altro. Nel lontano 2007 qualcuno di noi – ad esempio mi ricordo il professor Pasquino… – sostenne che fosse più sensata una federazione di centrosinistra rispetto a un nuovo partito: sarebbe bene se avessero voglia di discuterne ora, ma se ritengono di aver fatto un partito decente…
Discutere per fare cosa? Una “Ditta” socialdemocratica?
La proposta socialdemocratica aveva in sé, oltre a una forte concezione della democrazia nel senso liberale, anche i diritti sociali e il welfare. Non dico di riproporre la stessa operazione, ma il suo senso in una svolta da attuare all’interno delle istituzioni europee: adesso abbiamo una grande finestra di opportunità.
Intanto nel Pd si apre la porta al ritorno di Bersani & C.
Mi pare un’idea sensata, ma non si può parlare solo di nomi: tutto questo ha senso se accresce e migliora il Pd. Pier Luigi Bersani e gli altri di LeU avevano delle idee e non basta certo dire solo “rientrano”: quelle idee vanno tenute da conto, serve una grande discussione e a questo proposito sono curioso di sapere cosa sarà della “Costituente delle idee” affidata a Gianni Cuperlo. Anche perché non è che la questione si riduca a Bersani: la sinistra si è sfilacciata e molti altri devono essere recuperati. Ecco, spero che i democratici siano aperti e generosi: diciamo inclusivi.
Anche cambiando nome?
Non so, forse sarebbe utile anche una cosa minima come Partito “dei democratici”, a dire che il partito è di tutti, che è un processo collettivo.
Nella coalizione/federazione di centrosinistra devono starci pure i 5 Stelle?
Questo lo vedremo, anche perché io spero che il governo duri. Per ora sono alleati in Parlamento e bisogna sondare se è possibile costruire intese a livello locale: ad esempio in Umbria, mentre in Emilia-Romagna mi pare molto più difficile. Questo, però, va fatto rispettando il territorio e chi nel territorio si sbatte, senza ordini calati dall’alto.
Questo articolo è stato pubblicato dal Fatto Quotidiano il 17 settembre 2019