Internet, l'illusione della libertà secondo il collettivo Ippolita

1 Luglio 2014 /

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La Rete è libera e democratica. Falso
La Rete è libera e democratica. Falso
di Carlo Formenti
Già autori di feroci quanto argomentate requisitorie contro i “signori del Web” (memorabili le dissacrazioni di Google e Facebook), nonché di puntuali ridimensionamenti di altri miti cari al “Popolo della Rete” (vedi la disincantata analisi dei limiti dell’ideologia dell’open e del free) i ragazzi e le ragazze del collettivo Ippolita (una comunità di hacker libertari) tornano a colpire con un nuovo pamphlet (“La Rete è libera e democratica”. FALSO!) appena uscito per i tipi di Laterza (nella collana Idòla).
In questo caso, tuttavia, il bersaglio non è solo un’applicazione, come un motore di ricerca o un social network, né una comunità di prosumer, come gli sviluppatori di software open source, bensì la Rete in quanto tale che, come ricordano opportunamente gli autori, non si riduce al Web o ad altre piattaforme informatiche, ma è fatta dell’insieme di tecnologie “hard” (computer, cavi, satelliti, router, ecc.), “soft” (protocolli, programmi, codici, ecc.) e “bio” (programmatori, utenti, imprese, ecc.) che convergono in quell’immane e supercomplesso ambiente di relazioni umane e macchiniche che è Internet.
In altre parole, con questo intervento, Ippolita alza decisamente il tiro, con l’obiettivo di smontare due luoghi comuni che per la stragrande maggioranza sono divenute veri e propri dogmi: 1) la Rete è uno strumento intrinsecamente (cioè per natura) democratico; 2) disporre di più informazione significa automaticamente essere più liberi. A tale scopo gli autori ricorrono a tre argomenti (che corrispondono ad altrettanti capitoli del libro) che definiscono, rispettivamente, ontologico, epistemologico e storico geopolitico (implicita confessione del fatto che i loro percorsi formativi hanno seguito piste accademiche oltre che tecnopolitiche).

L’argomento ontologico si propone di mettere a confronto l’immaginario (o, se si preferisce, l’ideologia) che si è venuto costruendo nei primi decenni di vita di questo medium, con ciò che la Rete effettivamente è. L’ideologia è quella del cosiddetto Web 2.0, che descrive Internet come un ambiente tecnoculturale aperto, “orizzontale”, in cui tutti possono attingere liberamente a ogni genere di conoscenze, notizie e informazioni, e dove tutti possono altrettanto liberamente comunicare, esprimere le proprie opinioni, idee ed emozioni, costruire comunità, ecc. Viceversa la realtà, l’ontologia, della Rete è quella di un ambiente tecnoculturale che ha dei padroni, in cui un pugno di imprese controlla algoritmi e procedure che definiscono apriori che cosa possiamo conoscere e cosa “vogliamo” comunicare. Si tratta, dunque, di un livello di manipolazione ben più radicale e profondo di quello della vecchia comunicazione pubblicitaria, perché il controllo viene esercitato apriori e non a posteriori. Non si tratta, cioè, di orientare l’intenzionalità dell’utente-cittadino-consumatore (o netizen come si preferisce definirlo nell’era digitale) bensì letteralmente di produrla.
Passiamo all’argomento epistemologico. Qui il bersaglio polemico sono gli slittamenti semantici che fanno sì che il concetto di libertà finisca per essere identificato con il concetto di trasparenza, e che l’opinione maggioritaria finisca per divenire sinonimo di qualità, o addirittura di verità. Esaminando criticamente l’ossessione della trasparenza di Wikileaks, la mania del Movimento 5Stelle per le votazioni online e il funzionamento dell’algoritmo Page Rank che ispira le risposte di Google alle domande dei propri utenti (fondato sull’assunto che quanto più è elevato il numero di link che “puntano” su una pagina tanto più debba essere considerato “vero”, o almeno attendibile, il suo contenuto), gli autori fanno capire come queste semplificazioni finiscano per appiattire la realtà, neutralizzandone le stratificazioni e le contraddizioni e quindi riducendo drasticamente, invece di aumentare, la nostra capacità di comprenderla.
Infine l’argomento storico-geopolitico. Tornando alle radici della democrazia, cioè alle idee, alle pratiche e alle istituzioni che la Grecia classica associava a tale concetto, Ippolita dimostra come il principio di isonomia (cioè la distribuzione egualitaria di risorse, opportunità, diritti e doveri fra cittadini) su cui tutto ciò si fondava abbia ben poco da spartire con il mondo dei Big Data in cui viviamo, un mondo in cui gli stati nazione hanno consegnato il bastone del comando nelle mani dei signori del codice, siano essi multinazionali informatiche, governi dispotici o altro. Un mondo in cui siamo sì tutti “uguali”, ma solo perché sottoposti al medesimo “stato di eccezione di massa”. “La tensione suicida a contribuire alla Rete” concludono pessimisticamente gli autori, “suona quindi come la campana a morto dell’autonomia individuale e collettiva, come la resa totale alla tecnocrazia… costituitevi ed entrate nella Democrazia Digitale, è la Rete che ve lo chiede”.
Questo articolo è stato pubblicato su Micromega online il 25 giugno 2014

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