Pubblichiamo la prima parte del testo di Dichiariamo Illegale la Povertà sull’impostura mondiale veicolata da rapporti e documenti di organi pubblici mondiali (ONU, Banca Mondiale, Ocse, eccetera) e privati (World Economic Forum, banche, fondazioni e altri organismi). Questi infatti tentano di veicolare la tesi che il mondo starebbe andando sulla buona strada per giungere verso il 2030 all’eliminazione totale della povertà “estrema”. Non è vero. Per leggere l’intero testo, si può scaricare il pdf.
di Riccardo Petrella, professore emerito dell’università Cattolica di Lovanio, gruppo promotore dell’iniziativa internazionale Dichiariamo Illegale la Povertà
Il contesto: dopo lo smantellamento dello Stato del welfare, il salvataggio del capitalismo allo sbando. Il grande cambio in quaranta anni
Nel secolo scorso, la lotta contro la povertà e lo sfruttamento dei lavoratori e dei contadini trovò in Occidente uno sbocco piuttosto positivo nel Welfare, il sistema di ricchezza/sicurezza sociale generalizzata fondato sulla piena occupazione ed il ruolo motore dell’investimento pubblico per la produzione e l’accesso ai beni e servizi comuni essenziali per la vita ed il vivere insieme (acqua, scuole, ospedali, trasporti pubblici, case popolari, polizia, magistratura, sicurezza energetica…).
La variante scandinava del Welfare si dimostrò la più avanzata, seguita a distanza dalle varianti olandese, tedesca, inglese, belga e francese. Nei paesi dell’Europa del Sud, il Welfare è rimasto su posizioni meno progressiste anche se ben superiori alla variante nordamericana statunitense, caratterizzata da un welfare individualista basato sull’assistenza (e non la sicurezza sociale) ed un mutualismo capitalista.
A livello mondiale, una volta ultimati (negli anni ’60) i processi di decolonizzazione, soprattutto in Africa ed in Asia, la politica di “aiuto allo sviluppo” da parte dell’Occidente auto-definitosi “sviluppato” e quindi modello da adottare per le ex-colonie, permise ai paesi “aiutanti” di “estendere” alle ristrette classi privilegiate locali il nostro modo di sviluppo facilitando così l’appropriazione/esproprio delle ricchezze prodotte dalle ex-colonie a nostro vantaggio e a quello delle “élites” locali.
A partire dagli anni ’70, le politiche dette di “aggiustamento strutturale” resero “lo sviluppo” dei paesi “aiutati” ancor più “integrato”, cioè sottomesso agli interessi dei poteri economici e finanziari forti dell’Occidente, indebolendo persino le classi privilegiate locali in un contesto di crescente e definitivo indebitamento dei paesi “in via di sviluppo” nei confronti della finanza mondiale occidentale. La liberalizzazione ineguale e sbilanciata del commercio internazionale, la generalizzazione dei diritti di proprietà intellettuale sui semi e, in generale, sul capitale biotico terrestre, in mano delle grandi imprese multinazionali occidentali, e lo spostamento della produzione “industriale” dai paesi dell’Occidente verso gli altri continenti in condizioni vantaggiose per l’Occidente, hanno completato i meccanismi di produzione ed espansione delle ineguaglianze socio-economiche e politico-culturali nel mondo.
Ciò, nel contesto di una pretesa “integrazione economica globale”. L'”emergenza” di isole forti di ricchezza in Cina, India, Russia, Brasile all’insegna dell’economia di mercato, dei consumi di massa e dell’espansione della finanza capitalista globale, in congiunzione al mantenimento e/o rafforzamento di profonde e crescenti disuguaglianze interne, rappresentano il consolidamento dell’ «integrazione» di detti paesi, anche in posizione di forza, nel sistema economico di mercato capitalista “globale”. Un sistema strutturalmente produttore d’ineguaglianze e d’ingiustizia, specie in assenza di un Welfare mondiale (all’europea). Si è trattato della concretizzazione dello scenario Arcipelago Mondo identificato come uno scenario fra i più plausibili e probabili agli inizi degli anni 60 dall’équipe FAST (Forecasting and Assessment in Science and Technology) della Commissione europea (Comunità europee) a Bruxelles, da me diretta tra il 1979 ed il 1994.
In effetti, è successo pari-tempo in Occidente, che i principi, le regole e gli strumenti del Welfare di tipo europeo sono stati, a partire dagli anni ’70, messi in discussione, poi rigettati e smantellati, anche nei paesi scandinavi. Gli anni ’90 ed il primo decennio di questo secolo sono stati gli anni della definitiva demolizione non solo dello Stato del Welfarema anche della Società del Welfare. In Occidente, la “rabbia” dei gruppi dominanti contro lo Stato del Welfare è stata e resta più grande nei paesi caratterizzati da grandi diseguaglianze sociali quali gli Stati Uniti, l’Italia, la Spagna, il Regno Unito.
Così, oggi, i costi della crisi in cui versa da un ventennio il capitalismo finanziario di mercato globale non sono stati pagati dai gruppi sociali all’origine della crisi – i proprietari e i managers mandatari del capitale finanziario (gli azionisti che contano, i grossi “shareholders”) e del capitale “industriale” e commerciale (“i portatori d’interesse”, gli “stakeholders”) – dalla frangia più bassa delle classi medie soprattutto dalla grande maggioranza dei cittadini, di coloro la cui sola ricchezza è il lavoro, il loro tempo di vita (gli operai, i contadini, gli impiegati, i pensionati). Imponendo l’imperativo “salviamo le banche” (cioè “salviamo la ricchezza dei ricchi”), i gruppi dominanti, colpevoli della crisi, non hanno nemmeno cercato di nascondersi dietro formule ipocrite quali “salviamo l’economia dei nostri paesi”.
Inoltre, l’idea “salviamo i più deboli, i più poveri non è mai passata loro per la testa. Il che è del tutto logico nell’attuale sistema dominante. Si tratta di una storia fatta paradossalmente di rotture e di continuità che mostra che i fattori all’origine dei processi di creazione della povertà possono essere eliminati (i paesi scandinavi fino agli anni ’70) ma ritornano forti e potenti in azione quando l’ineguaglianza e l’ingiustizia dominano i sistemi di valore della società (sistema economico e finanziario attuale).
Una storia che si traduce, ai giorni nostri, in tante falsità e contraddizioni che hanno avvinghiato e asfissiato le nostre coscienze e capacità di azione in una grande impostura mondiale. consistente a far credere che le nostre società sarebbero sulla buona strada verso la realizzazione dell’obiettivo dell’eliminazione della povertà nel mondo.