Ex Jugoslavia: la memoria collettiva negata

6 Gennaio 2014 /

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reportage di Samuel Bregolin
I Balcani producono più storia di quanta ne possono digerire, disse un giorno il primo ministro britannico Winston Churchill, ma quanta ne producono così ne dimenticano, in un eterno tentativo di far scordare ai propri figli un passato pieno di massacri e orrore, nel tentativo di dargli un futuro migliore. Così vengono inghiottite dal dimenticatoio la prima e la seconda guerra mondiale, la caduta della Jugoslavia, si cancellano e si nascondono i numeri, i nomi, i fatti.
Ma è proprio dall’aver dimenticato, confuso, mescolato i fatti che la storia può tornare a ripetersi, basata su menzogne e manipolazioni politiche semplici per chi non riconosce più la verità, anche se qui una sola verità forse non è mai esistita.

Scoprire l’arcano è relativamente più semplice di quanto si potrebbe credere, in una terra ricca di diversità, con una complessità a cui non siamo abituati e che spesso ci disorienta. Forse meglio che cercare di capire il presente partendo dal passato in queste regioni piene di contraddizioni risulta più semplice interpretare il passato partendo dalla sua immagine nel presente, invertendo una legge storica valida ovunque, cioè che ciò che viviamo oggi sia la conseguenza dei fatti di ieri. Ovunque tranne che nella penisola balcanica, dove sono i fatti attuali a decidere quelli passati.
Osservando i monumenti dell’era jugoslava ci si rende conto subito che queste strutture di cemento armato e acciaio non solo non hanno più un senso, ma neppure è possibile capire che cosa significassero ieri, più simili a relitti spaziali abbandonati da qualche sconosciuta civiltà extraterrestre, perché è questa l’impressione che lasciano: palazzi futuristi, linee rette, figure geometriche. Memoriali fino a l’altro giorno visitati da centinaia di migliaia di persone ogni giorno, e che oggi in pochi saprebbero dire cosa significano.
Come il fiore di Dogban Dogdanovic a Jasenovac nel sud della Croazia, dove durante la seconda guerra mondiale venne creato un campo di sterminio nazista, controllato dagli Ustascia croati. Il grande fiore di cemento armato doveva rappresentare la fratellanza, l’unità e la pace, ma fu subito causa di polemiche: sul numero di morti, sui nomi degli assassini. Su cosa rappresentasse veramente quel fiore.
Oppure la torre nell’area memoriale di Kozara, nel nord della repubblica Srpska. Una struttura alta 33 metri, uno dei luoghi più visitati della Jugoslavia socialista e oggi dimenticata tra le nebbie delle montagne. Una torre di cemento armato, su alte colonne che rappresentano la vittoria del bene contro il male, della vita sulla more, dei partigiani di Tito sulla rappresaglia dei tedeschi nazisti.
O lo strano memoriale di Sutjeska, dove durante la quinta offensiva nemica più di 7’800 partigiani persero la vita. Un memoriale che per costruire fu necessario scavare mezza montagna, e le cui linee rette rappresentano lo sfondamento dell’assedio da parte dei partigiani. Ma solo pochi anziani o ricercatori storici oggi saprebbero riconoscerne il significato, per molti è solo una strana figura geometrica abbandonata, risalente ad un non ben identificato paese che non esiste più.
Ma non è solo nei monumenti: sono i film, i libri, i vestiti, le industrie, le auto; tutto quanto provenga dalla Jugoslavia unita o dalle epoche passate sembra non avere più un senso, una concretezza, una memoria collettiva condivisa su cui costruire le proprie opinioni personali. E la ripetitiva cancellazione del passato, l’unica maniera per riuscire a dimenticare e vivere in pace nel presente è contemporaneamente la causa principale del ripetersi degli scontri tra i popoli della regione balcanica.
In mancanza di una storiografia ufficiale, condivisa da gente e istituzioni, il passato può continuare a essere costruito, smontato e riassemblato ogni qual volta possa essere utile. Così i settecento anni trascorsi tra la battaglia di Kossovo Polje e gli scontri di oggi tra serbi e albanesi scompaiono, come se la battaglia non si fosse mai interrotta.
Forse è solo questa incredibile fabbrica di storia ed eventi che è la penisola balcanica, questa fucina di popoli e culture, usanze e tradizioni, religioni e credi, ad aver lasciato miriadi di frammenti impossibili da identificare e collegare tra loro, ma che fino ad oggi qualcuno è sempre riuscito a riprendere in mano e a rileggere in base a nuovi interessi economici e politici.

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