Gli dèi della città: l'università e le ragioni per cui il "Bologna process" ha fallito

5 Novembre 2013 /

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di Eleonora Renda
Nel 1975, di fronte ad esiti di un lungo malgoverno che ha portato le città ad una crescita senza alcun progetto sensato, davanti a città caotiche che pongono agli occhi di un qualunque osservatore una molteplicità confusa di problemi e problematiche, Calvino si rende conto che non è la critica della negatività, a poter vincere. La vitalità e disgregazione che la metà degli anni settanta propone, nel bene o nel male, non potrà che essere il punto di partenza dal quale ricominciare, ed è inutile, aggiungo io, se non controproducente, fermarsi a demolire sterilmente, a fare scetticismo o, addirittura, ad alzare le spalle schifati, davanti a un presente che, volenti o nolenti, dovrà condurci verso un futuro al quale siamo obbligati, dunque, a pensare.
Come una specie può salvarsi, scrive, traendo da suoi caratteri quasi dimenticati e in apparenza reietti la spinta vitale per un riassestamento ed un salto in avanti che la salvi dall’estinzione, anche la città può recuperare quello che Calvino definisce “l’elemento di continuità che la città ha perpetuato lungo tutta la sua storia”. È recuperando tale elemento che l’ha portata avanti e distinta dalle altre realtà cittadine, che essa potrà dunque salvarsi dal rischio di estinzione, fissando lo sguardo su quello che è sempre stato il suo programma, forse perso di vista. Secondo un’antica abitudine, si rappresentava lo spirito di una città evocando quegli dèi che avevano assistito alla sua nascita: tali dèi sarebbero rimasti la profonda vocazione, la forza vitale stessa di quella città.

Dopo la crisi, così, ci dice Calvino, una città deve, al momento giusto, sapere re-individuare ed evocare i propri dèi e, solo così, salvarsi. Non saprei quantificare il miglioramento che le nostre città possono oggi registrare rispetto al 1975. Cambiamenti positivi, certamente, evoluzioni. Ma quante cose si sono perse per strada, quanti diritti dimenticati, lati oscuri assimilati, quante rassegnate accettazioni, quante proteste cittadine ridotte in ceneri ormai appena tiepide, quante ingiustizie taciute, notizie celate, ambigui poteri?
E in questo panorama di cemento, disoccupazione e affari sottobanco, possiamo oggi cogliere il consiglio di Calvino e ritrovare il programma, il senso della nostra città per restituirle nuova energia vitale e dignità sociale? Quali gli dèi che la nostra storia può rivelarci e ai quali possiamo ancora, oggi, appellarci? Fidandoci delle fonti secolari, non credo si possa esitare nell’individuare, fra i grandi primati e vanti di Bologna, l’antichissima fondazione dell’università nel 1088 data che, per quanto convenzionale, detiene il primato in tutto il mondo occidentale. Un’università antica che è passata, con successo, attraverso tutte le epoche della storia cittadina, ospitando grandi personalità, promuovendo studi in numerose discipline, accogliendo studenti provenienti da tutta Europa (come testimoniano gli stemmi che decorano tutti gli scaloni dell’Archiginnasio). Un’università sopravvissuta al governo papale quanto a quello comunale, alle lotte interne, quanto a quelle di politica ‘estera’. Un’università che ha costruito, nei secoli, la fama di Bologna in tutto il mondo, fama di cui ancora oggi la nostra città vive.
Ebbene sarà stata la sua grande fama che avrà spinto a organizzare proprio a Bologna, nel 1999 il cosiddetto Bologna Process, incontro internazionale per la riforma delle università europee. Questo, affiancato da precise e mirate politiche nazionali, ha avviato la trasformazione delle università in aziende, controllate da complesse gerarchie di potere, che promuovono una svendita dei saperi producendo, sotto la guida del più avanzato capitalismo, studenti istruiti a suon di crediti formativi in una macedonia di esami da superare il più in fretta possibile per accedere, dopo una laurea triennale, ad ulteriori percorsi di laurea e gettarsi, poi, nel mondo dell’inesistente lavoro.
Ma il Bologna Process ha fallito: non solo non ha realizzato gli obiettivi prefissati per il miglioramento della mobilità di studenti e docenti, ma ha anche incrementato la selezione sociale nell’accesso agli studi univeristari. Il Bologna Process e i nostri governi hanno voluto modificare le fondamenta stesse del percorso universitario, trasformandolo, nel suo complesso, in un processo produttivo più che formativo, sottomesso alle leggi di mercato, sempre più elitario, soprattutto nei suoi gradini più alti, e sempre più inaccessibile economicamente.
È questo, dunque, il punto di arrivo del vanto che Bologna è riuscita a costruirsi e conservare attraverso i secoli della sua storia? L’università che si è mantenuta grazie a studenti provenienti da tutto il mondo ed è cresciuta grazie a innovative produzioni di sapere è oggi una delle prime ad appoggiare la morte dei saperi critici e l’esclusione degli studenti da quelli che dovrebbero essere i loro stessi processi formativi?
La forza dell’università, il suo stesso senso costituente, non sta nell’istituzione che la governa, ma nella voce di tutte le singole parti che la compongono. E se fra gli dèi della nostra città c’è l’università, fra gli dèi della nostra città ci sono tutti gli studenti, i ricercatori e i docenti che in essa lavorano o, almeno, tentano di farlo. Forse, dunque, cogliere l’invito di Calvino ed evocare gli dèi della città in nostro aiuto non sarà troppo difficile: i nostri dèi si incontrano tutti i giorni lungo le strade della città. I nostri dèi siamo noi, e da noi Bologna deve ripartire.
Questo articolo è uscito sulla rivista Fornofilia e Filatelia
Eleonora Renda, nata nel 1989 a Bologna, ha conseguito la laurea triennale in lettere moderne presso l’iniversità di Bologna con una tesi su Tommaso Landolfi e il mito ed è ora laureanda in italianistica presso lo stesso ateneo. Si interessa di letteratura, arte e spettacolo e fa parte della redazione della rivista Fornofilia e Filatelia, sulla quale scrive.

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