di Maurizio Matteuzzi
Mario Soares, il novantenne leader socialista, è uno dei padri nobili del Portogallo democratico nato sull’onda della Rivoluzione dei garofani del 25 aprile 1974 e uno dei grandi vecchi della socialdemocrazia europea. Due volte primo ministro e due volte presidente della repubblica, ha lasciato la politica attiva e ora scrive spesso per i giornali commenti e analisi sulla politica portoghese, europea e mondiale. Il suo articolo più recente è dedicato alla crisi del Portogallo. Interessante e lucido, inoppugnabile nei dati, si presta però a una considerazione finale.
Vediamone i tratti salienti. Il governo del premier Pedro Passos Coelho “ha portato avanti delle politiche di austerità così estrema che hanno causato ai portoghesi un disastro irreparabile. La percezione dell’immensa maggioranza della popolazione è che stiamo sopportando il governo più distruttivo della storia del paese. E che ci troviamo sull’orlo di una rottura sociale”.
Con quali risultati? “L’aumento galoppante della disoccupazione e la riduzione dei salari, delle pensioni e degli indennità di licenziamento, insieme a una carica fiscale insopportabile, hanno provocato una perdita del potere dì acquisto intorno al 12% dei salari del settore privato e fra il 25 e il 30% del settore pubblico.
In poco più di un anno e mezzo di governo conservatore, la disoccupazione è cresciuta dall’11 al 17.6% della popolazione economicamente attiva, il prodotto interno lordo si è ridotto del 3.2% nel 2012 e in questo paese di 10.6 milioni di abitanti c’è circa un milione di disoccupati di cui quasi la metà (480.000) non hanno il sussidio di disoccupazione”.
Ma non basta: “L’indebitamento pubblico e privato del paese sta arrivando a livelli catastrofici. Secondo i dati di gennaio, il debito pubblico, che nel quarto trimestre del 2011 toccava al 107.8% del pil portoghese, è arrivato al 120.3%, il più alto in Europa dopo Grecia e Italia. L’indebitamento privato è ancor più allarmante, visto che fra il 2011 e il 2012 è cresciuto dal 220 al 280.3% del pil”.
Salariati sul lastrico, classe media distrutta, imprese che falliscono, cervelli in fuga forzata, università in caduta di qualità, patrimonio portoghese in vendita a prezzi all’ingrosso, fino al triste spettacolo della gente che “nelle principali città si vede oggi rovistare nei rifiuti alla ricerca di cibo”. Ma il governo conservatore non vede e non sente, dice Soares, e tira dritto per la sua strada: il ministro delle finanze Vítor Gaspar che ha appena “riconosciuto che le sue previsioni erano sbagliate, cosa aspetta a dimettersi? Questo governo, il peggior che noi portoghesi abbiamo mai dovuto sopportare, finirà molto male. Quindi è opportuno e necessario che Passos Coelho presenti quanto prima le sue dimissioni”.
Giusto. Con una considerazione finale (valida non solo per il Portogallo ma anche per la Spagna): che la brutale austerità a senso unico imposta dall’Europa (Germania in testa), dal FMI e dai “mercati” è cominciata con i governi socialisti di Zapatero e di Socrates. Che non seppero fare nulla di meglio che subirla e accettarla, spianando la strada a una destra selvaggia e vendicativa. È per questo che la credibilità della loro opposizione, a Madrid come a Lisbona, oggi appare labile e, stando ai sondaggi, non riescono a capitalizzare lo scontento, la rabbia e la disperazione di settori sempre più vasti e “indignati” della popolazione.