La poesia di Roberto Roversi: un "falò di lotte e di speranze"

12 Aprile 2013 /

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La redazione di Officina. Da sinistra: Roberto Roversi, Angelo Romano, Pier Paolo Pasolini, Gianni Scalia e, in piedi, Francesco Leonetti e Franco Fortini. Foto di Patria Indipendente
La redazione di Officina. Da sinistra: Roberto Roversi, Angelo Romano, Pier Paolo Pasolini, Gianni Scalia e, in piedi, Francesco Leonetti e Franco Fortini. Foto di Patria Indipendente
di Roberto Dall’Olio, presidente dell’Anpi Bentivoglio e coordinatore dell’Anpi Reno-Galliera
«La poesia di Roberto Roversi tende a un realismo che, sebbene intarsiato di “fantasmi” (…) riesce a destabilizzare il luogo comune per accendere falò di lotte e di speranze: la sua opera, infatti, brucia come sigillo di un’epoca (quindi di un tempo in divenire)». Così Angelo Scandurra a proposito del testo di Roversi “L’Italia sepolta sotto la neve” da cui traggo i seguenti versi:

Brucia Sicilia Sardegna
brucia Calabria
da bosco a bosco, da uomo a uomo… fantasmi sui tetti
aspettano i secoli
toccandoli col dito… l’urlo dei maiali nel silenzio del mare
quando è l’ora di strappare le stelle prima del sonno…

Roberto Roversi, nato a Bologna nel 1923 e ivi spentosi nel 2012, ha pubblicato i libri di poesia “Dopo Campoformio”, “Le descrizioni in atto”, “L’Italia sepolta sotto la neve”, edizioni poi riprese nel volume di Luca Sossella editore insieme a una scelta di testi in prosa. Inoltre romanzi importantissimi per il secondo Novecento: “Caccia all’uomo”, “Registrazioni di eventi”, “I diecimila cavalli” tutti recentemente ripubblicati da Pendragon, Bologna. I drammi “Unterdenlinden”, “Enzo Re”, “Il crack” a cura di Armando Picchi.

Ha fondato insieme a Pasolini e Leonetti la rivista di ricerca letteraria e culturale fondata nel 1955 “Officina” con collaboratori illustri da Fortini a Calvino. Scrisse testi fondamentali per il giovane Lucio Dalla dei primi anni Settanta. Fondò poi anche “Rendiconti”, insieme a fogli militanti quali “Di spacci”, “Lo Spartivento”, “Il foglio degli eremiti” scritti in collaborazione con gli amici di sempre e poeti quali, tra gli altri, S. Jemma, M. Gervasio, G. Milli, L. Sossella, G. D’Elia, L. Egidio, M. Petazzini e anche chi scrive. Conobbi infatti Roberto Roversi verso la fine degli anni Ottanta. Parlavamo molto di storia e di politica e, anche, con discrezione, di Resistenza e antifascismo.
A vent’anni, nel ’43, partecipò alla lotta di Liberazione in Piemonte e il “marchio del fuoco” rimase sempre, in senso ovviamente figurato, nella sua poesia. Egli fu un grandissimo intellettuale antifascista, per il quale l’antifascismo, radicato nella nostra Costituzione, è stato fondativo di tutta la sua opera e del suo essere un vero maestro. L’antifascismo di Roversi, che si coglie nell’estrema ricerca della libertà, nell’adesione all’ideale del socialismo, nella passione per la giustizia sociale, nella denuncia delle storture di una società spietata e consumista, nella critica di una politica non più all’altezza del suo compito, è stato la bussola che ha diretto la sua navigazione nel mare aperto della vita.
Di Roversi ha scritto mirabilmente Franco Fortini, a proposito di “Dopo Campoformio”:

Apro qua e là que sto libro, quasi esitando sulle ultime pagine dei poemetti, le più ardue, di una deliberata architettura post-in formale; ritrovo versi, passi, che non si dimenticano. Se non è poesia questa. D’altronde, Roversi ha diritto ad altre parole che queste mie».

Di Roversi vorrei ricordare una sua frase l’ultima volta che ci siamo visti:

Sai, noi siamo una generazione che ha creduto nel socialismo, in una società più giusta e libera per la quale abbiamo combattuto. Ci vediamo presto.

Purtroppo così non è stato. Addio Roversi, sarà bene che Bologna, come l’Italia, si ricordino e conoscano, leggano e studino l’opera di un uomo così, di un genio tra i più sensibili, aperti e indomiti del nostro lungo dopoguerra.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 3/2013 del mensile dell’Anpi Patria Indipendente

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