Vasta e complessa è la materia da dipanare per una cavalcata nella pittura italiana che prende le mosse dalla Resistenza, dalle sue vicende, dalla sua gente, dai suoi ideali. Innanzitutto perché è impossibile separarla dall’enorme materia in cui affonda le radici: l’antifascismo, l’avvento dei regimi in Europa, gli orrori della guerra, la politica dello sterminio e l’esperienza dei lager nazisti. E per la molteplicità delle fonti d’ispirazione artistica che vi sono alla base, a partire dalle avanguardie storiche di inizio secolo. Cubismo, surrealismo ed espressionismo, soprattutto. Senza trascurare la matrice del vero che scaturisce nuovamente dall’impressionismo, recuperando i modelli precedenti del realismo francese (Courbet, Delacroix, Géricault). Il viaggio che proponiamo, perciò, non costituisce un saggio di storia dell’arte.
Piuttosto prende lo spunto dalla tradizione dei “Panorama” storici nei quali ci si poteva immergere fino ai primi anni del Novecento: si accedeva in apposite costruzioni, che oggi potremmo definire di realtà virtuale, e ci si ritrovava al centro di visioni di battaglie, terrestri o navali, città in fiamme, viaggi di conquista, in posizione privilegiata per osservare dal di dentro i dettagli di cronaca degli episodi, dei personaggi e delle tragedie della storia. Troverete riprodotti in queste pagine solo alcuni dei quadri citati, gli altri titoli della “lista” vanno considerati come link per la vostra personalissima e infinita ricerca.
Inquietudini, Premonizioni, Ossessioni. La forma e i contenuti pittorici nel corso degli anni ’20 e nei primi Anni 30 si sviluppano prevalentemente fra la denuncia della violenza delle classi dominanti e il presagio di una catastrofe prossima ventura. Alimentato dalla retorica guerrafondaia mai interrotta dopo la fine del Primo conflitto mondiale e nutrito dal mito della modernità che prometteva un’efficienza distruttiva mai vista nella guerra successiva che nessuno dubitava sarebbe presto arrivata. Nei quadri di questa fase è tutto un susseguirsi di apocalissi ed esecuzioni, per fucilazione o impiccagione.
In Italia, Scipione (Gino Bonichi) dipinge Apocalisse nel 1930, memore degli studi su Kokoschka, Chagall, il tardo Goya dei Disastri della guerra e del Sonno della ragione genera mostri, ma anche minato dalla tubercolosi e suggestionato da una profezia di morte ricevuta da un frate della Certosa di Trisulti conosciuto durante le estati trascorse a dipingere e a curarsi a Collepardo, nei monti Ernici. L’artista, in stretto contatto con Mafai, gli scrive: «Il corso tortuoso, un po’ disgraziato e soprattutto immerso nel bisogno e mai appagato della nostra vita è bene in vibrazione col tempo in cui viviamo». A lui si aggiungono, nella preveggenza, Afro (Basaldella) e le sue Rovine (1935), Renato Guttuso che con Fuga dall’Etna (1938) riapre la linea realista di impronta verghiana che conduce Renato Guttuso fino al neorealismo cinematografico viscontiano, la Lotta di popolane di Alberto Ziveri, Arriva l’uragano di Aldo Carpi.
I volti del potere. Intanto le raffigurazioni del duce e del führer, dalla sarcastica caricatura piegano verso il ritratto nelle vesti più truci, ino al totale mascheramento in sembianze bestiali. In Italia all’ironia di Scalarini e Galantara subentrano, sulle orme delle “strisce” Sogno e menzogna di Franco di Picasso, le oniriche visioni di Tono Zancanaro nelle illustrazioni seriali La nostra patria è in pericolo e Gibbo (1937-’45), un Mussolini deforme e maggiorato come le donne felliniane nei film e nei disegni, in certi casi protuberante e svolazzante come i due personaggi di una vignetta di ElleKappa. “Il testone pareva proprio il personaggio simbolo, squisitamente italiano, diciamo dell’Italietta, per l’occasione pure imperiale, sempre pronto a pomparsi… ad ancheggiare pettoruto, a rovesciare occhi di fuoco, e paroloni, dal fatidico balcone”, così l’autore descrive il protagonista della serie. Del 1940 è Il generale in forme canine di Nemesio Orsatti. Con la guerra ecco anche le colorate, infuocate, angosciose tavole di Mino Maccari della Raccolta Dux.
Alla guerra. Dopo l’esperienza della guerra civile spagnola, sempre i disegni di Picasso, il suo Guernica e il Goya di Los fucilamientos del tres de mayo ispirano Fucilazione nelle Asturie e Spagna 1937 di Aligi Sassu e Fucilazione in campagna di Guttuso. Con l’inizio del Secondo conflitto il martirio è trasferito sul piano spirituale e assume le sembianze tradizionali dei soggetti religiosi: crocefissione e deposizione. Tra il 1940 e il ’46 ancora Sassu e Guttuso, poi Giacomo Manzù e Franco Gentilini, riprendono il tema del supplizio di Cristo, lo stesso utilizzato da Chagall nel celeberrimo Résistance, dove su una piazza in cui va in scena l’ennesima morte in croce irrompono alla luce di una fiaccola i combattenti con le bandiere rosse. Annota Guttuso: “Un volto, uomini in guerra o in pace, angeli nei cieli, estasi di santi, massacri, dannati dell’inferno, crocefissioni… Una crocefissione che sembri una natura morta”.
E ci sono anche il Cristo percosso di Aldo Borgonzoni e il Cristo deriso di Carpi, La pietà di Bruno Cassinari e la Deposizione di Domenico Purificato. I corpi dei carnefici trasfigurano in fiere canine e feline, scattanti e mordenti, in rapaci, in caimani, in ratti, in granchi mostruosi, mentre i volti delle vittime, occhi e bocche spalancati, alla Munch, urlanti come la Testa di cavallo modello per Guernica, si pietrificano, bianchiscono in scheletri e crani: Madre e Il prigioniero di Silvio Cassinelli, Il bue squartato e Cristo percosso, Adolfo il macellaio di Pino Ponti, Colombi assassinati di Ernesto Treccani, Il massacro di Orsatti dove uccelli dal becco lungo vestono stivali militari di un plotone d’esecuzione, Natura morta con bucranio di Giuseppe Santomaso, insieme alle teste di bue di Ennio Morlotti e Guttuso, Teschio di “Ciri” Agostoni.
Alla metafora delle ossa e del guscio duro, calcificato, murato dove rintanarsi, ricorre Morandi per le sue Conchiglie, dipinte mentre è sfollato sull’Appennino emiliano, a Grizzana, nel ’43, subito dopo un arresto e l’incarcerazione per una settimana a Bologna. Di idee politiche moderate e liberali, vicino al Partito d’Azione, preoccupava la sua consuetudine con Carlo Ludovico Ragghianti, critico e storico dell’arte ed esponente di primo piano di Giustizia e Libertà. I bombardamenti e i nazifascisti portano la devastazione in nel corpo e nella struttura di città, quartieri, case: rovine di mattoni e ferri contorti in Neve e macerie di Attilio Alfieri, interni slabbrati nelle Case bombardate di Carlo Levi e Renzo Vespignani, autore anche del Porto di Napoli dopo il bombardamento e Rottami, la Barricata e Trasporto del ferito di Purificato, Bombardamento di Marino Mazzacurati e Bombardamento strategico di Renato Birolli, gli edifici distrutti a La Spezia in Via Magenta, Palazzo Doria, Piazza S. Agostino di Maria Questa.
Occupazione e lotta partigiana. Nei venti mesi dal ’43 al ’45 i soggetti si fanno espliciti ino a mostrare tutto il campionario di violenze che la guerra porta sempre, inevitabilmente, con sé. Gli artisti stessi sono testimoni di violenze. Alcuni partecipano in prima persona alla lotta di Liberazione, documentando la cronaca in quello che potremmo definire un cinegiornale per fotogrammi. Armando Pizzinato partecipa alla Resistenza e schizza a matita grassa Interrogatorio numero 1 e 2, Disarmo di un tedesco, Strage degli innocenti. Borgonzoni è nel movimento partigiano emiliano e ritrae un Impiccato in piazza, come il bolognese Luciano Minguzzi con Gli impiccati. Gian Carozzi opera nella Quarta zona ligure con le formazioni di GL e sbozza un ritratto surreale del Soldato nazista. All’insurrezione fiorentina prende parte Renzo Grazzini, autore di un ampio ciclo sulla Lotta di liberazione a Firenze. Alfredo Agostoni “Ciri”, giovane artista del gruppo di “Corrente”, muore nel suo studio divenuto centro delle attività dei Gap nella preparazione di un’azione.
È ancora Goya, insieme a El Greco, la fonte da cui partire per descrivere l’origine delle Fantasie di Mario Mafai che immortalano varie scene: Truppe di occupazione, Massacri, Fucilati, Orgia, Le truppe si divertono, Disperazione. In una lettera alla moglie Antonietta Raphaël, scultrice ebrea, autrice del Toro morente e del Tirannicida, scrive: “In questo momento non sono in grado di rispondere perché non sono nulla, né Mario né non Mario ma un soldato qualunque… Nessuno capisce niente in questo momento. Ci sono stati 70 tedeschi di Bolzano ai quali hanno chiesto se volevano andare in Germania a combattere e sono andati tutti. Uno di questi, parlando in trattoria assieme a un militare, gli diceva che l’Italia deve diventare una provincia della Germania… Peccato che non c’ero io, qualcosa gli avrei tirato addosso”.
Del Sud Tirolo erano anche le 33 perdite subite (tre anni dopo l’episodio descritto da Mafai) dal 3° battaglione del Polizeiregiment “Bozen” nell’azione di via Rasella condotta dai gappisti romani. E 335 (33×10+5) furono le vittime della rappresaglia e dell’oltranzista contabilità germanica di Kappler e Priebke.
La raccolta Gott mit uns di Guttuso rende omaggio alle vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine e degli interrogatori nel carcere di via Tasso. Nell’introduzione di Giacomo Noventa alla seconda edizione (la prima è dei primi mesi del ’45, prefazione di Antonello Trombadori) si legge: “Forse Goethe ha ragione. Forse neppure l’individuo più solo – più mostruosamente solo – parla soltanto con le bestie e con le cose… se ogni individuo appartiene almeno a due anime… queste due anime parleranno tra loro: e anche quello che noi chiamiamo di solito un individuo sarà una piccola società umana.
E capiremo perché l’individualismo assoluto non possa fermarsi neppure alla soglia dell’individuo: ma debba aggredirlo, penetrare nell’intimità stessa, dissociare quelle due anime Mirko Basaldella, Furore (1944) Aligi Sassu, I martiri di piazzale Loreto (1944), distruggere anche quest’ultima società per quanto piccola sia”. Capostipite della raffigurazione dei resistenti in azione si può considerare la scultura-mosaico con vetro veneziano del fratello di Afro, Mirko (Basaldella, autore nel dopoguerra del cancello del sacrario delle Ardeatine): il volto, gli occhi, la bocca di Furore esprimono la sintesi dell’orrore visto e subito e del grido di battaglia del partigiano all’attacco. Altri esempi: Contadini e falci (Insurrezione in campagna) di Birolli, Assalto alle prigioni di Emilio Vedova, Allarme di partigiani all’alba in una casa abbandonata nei dintorni di Forlì di Gabriele Mucchi, Resistenti rifugiati nel bosco di Tofolo Anzil, Disarmo di un tedesco di Pizzinato, Sciopero di Sassu. Renato Cenni è attivo nella Sesta zona ligure col nome di battaglia “Neri”, che è pure il nom de plume col quale firma i suoi disegni di Partigiani in azione. Ampelio Tettamanti schizza parecchi bozzetti a inchiostro o china con i Gappisti di sentinella alla fabbrica, Il gappista vigila, Scatta l’insurrezione. E così Vittorio Magnani “Marcello”: Partigiano, Partigiano seduto e Con quale piacere e con quale gioia ci manderebbero dal boia.
Senza dubbio più numerosi sono i soggetti che vedono resistenti e popolazione come vittime dei rastrellamenti e delle rappresaglie nazifasciste. E praticamente tutti gli artisti immortalano queste scene, come pure l’ultimo atto del conflitto, quella che è stata definita “guerra ai civili” da parte dei tedeschi sulla via della ritirata verso le Alpi. Scorrono le immagini di Tortura di Vespignani, Partigiano ucciso e Il fucilato di Mucchi, La strage degli innocenti e gli Impiccati di Agenore Fabbri, con quelli di Franco Garelli e la sua Fucilazione, il Partigiano impiccato di Luigi Spazzapan. Anche Pericle Fazzini scolpisce Il fucilato. Emilio Vedova, superato il figurativo, suggerisce a modo suo l’idea di Incendio nel villaggio, mentre Borgonzoni dipinge il Riconoscimento del partigiano morto e La tragedia di Marzabotto, Giuseppe Migneco i Martiri partigiani, cioè un altro impiccato che penzola e dondola davanti ai repubblichini che giocano a carte. Sassu firma I martiri di Piazzale Loreto, non il duce e i suoi gerarchi, beninteso, ma i 15 resistenti passati per le armi nello stesso luogo, il 10 agosto ’44, dai militi fascisti della legione “Ettore Muti”, e per monito lasciati esposti sotto al solleone. I martiri di Loreto attendono! iscrive sul suo encausto monocromo Giandante X (al secolo, Dante Pescò). Ancora: Partigiano appeso e Sono passati i nazisti di Quinto Martini, Martiri di Forlì di Mucchi, Razzia alla cascina e Quelli di Bevilacqua di Eugenio Tomiolo.
Anche le donne irrompono sulla scena come soggetto. Prima fra tutte quella in porcellana policroma di Leoncillo (Leonardi), Madre romana assassinata dai fascisti (1944), prototipo nella posa di morte della Anna Magnani-Teresa Gullace del film Roma città aperta di Rossellini. Pippo Pozzi disegna “Nella” partigiana fucilata, Morlotti le Donne fucilate, Giovanni Paganin Disperazione, Ibrahim Kodra, originario di Tirana, divide lo studio con “Ciri” Agostoni, e predilige il femminile con Madre uccisa e Le nostre madri.
Immagini dai campi. L’universo concentrazionario, l’annientamento e lo sterminio dei lager nazisti costituisce un capitolo a parte e l’ultimo anello nella catena della distruzione dell’intimo nocciolo dell’umanità. Carlo Levi, antifascista vicino a Piero Gobetti, fondatore di GL con i fratelli Rosselli e militante del Pd’A, dallo stile del suo maestro Casorati matura nel tempo un forte realismo sociale, fino agli anni del conino e del libro Cristo si è fermato a Eboli. Sono del 1942 (ben prima quindi del Carnaio picassiano, addirittura del 1940-’41 secondo alcune fonti) il mucchio di cadaveri di Donne morte (Il lager presentito) e queste sue parole: “Il domani non si prepara con i pennelli, ma nel cuore degli uomini e gli uomini, che hanno seguito i loro dei al fondo dell’inferno, anelano di tornare alla luce… Dal sommo della paura nasce una speranza, un lume di consenso… Muoiono gli dei, si ricrea la persona umana”. Ecco gli uomini ridotti a figure dalla vita del campo, dalla disciplina, dalla fame nei quadri di Aldo Carpi, deportato a Mauthausen e a Gusen. Simbolico è L’arresto degli arlecchini, una danza tragica e grottesca Sarabanda, inaudito L’ultimo compagno nel forno crematorio di Gusen. Liberato, rientra a Milano nel 1945 e appunta: “Attraverso questo passaggio oscuro, attraverso questa atmosfera di dolore e di terrore, ora guardo alla vita come a una nuova primavera”.
E lo sguardo dei prigionieri/artisti cade anche al di fuori del campo, verso la natura e la vita intravista e irraggiungibile: i paesaggi di Alberto Ferroni sono a colori, realizzati spremendo sulla carta ciui d’erba cresciuti negli angoli delle baracche per ricavare il verde, il rosso con polvere di mattoni mischiata alla “sbobba”, il blu con mozziconi di matita copiativa. Delfo Previtali invece faceva ritratti e per ognuno otteneva una sigaretta. Corrado Cagli ritrae un Bambino nel campo di concentramento. Sembra incredibile ma c’è spazio pure per le vignette satiriche di Arturo Coppola sulla tenuta autunnale e il completo invernale alla moda degli internati, con didascalie del compagno di prigionia Giovanni Guareschi. Numerosi gli scorci di baracca dove si cerca un po’ di riposo in mancanza del sonno. Un bellissimo passo di Primo Levi racconta la prima cosa fatta da un prigioniero dopo l’apertura del campo: se ne andò verso un boschetto lì vicino e s’addormentò sotto una pianta.
La Liberazione. Ancor prima di giungere al 25 aprile, nei territori della Repubblica di Torriglia, fra le montagne di Liguria, Piemonte ed Emilia, il giornale Il Partigiano (numero 14 dell’8/4/45), organo della III Divisione garibaldina “Cichero”, diretto da Giovanni Serbandini “Bini”, dà notizia di una mostra di 54 disegni itinerante nelle contrade della zona. Molti di essi sono andati perduti, alcuni si trovano in collezioni familiari, una buona parte è stata acquistata dal Comune di Genova ed è conservata al Museo del Risorgimento. Gli autori sono tre artisti/resistenti che hanno ripreso scene di vita di Partigiani in riposo e di Prigionieri tedeschi: i già citati “Neri” e “Marcello” insieme a Nicola Neonato “Pollaiolo”. L’ultimo passaggio nella nostra carrellata è l’archivio di raffigurazioni della Liberazione. Ne sono esempio La mattina del 25 aprile in Piazza Susa a Milano e 25 aprile 1945 di Alfredo Mantica, insieme a Insurrezione a Venezia di Pizzinato (conservato alla Direzione nazionale della CGIL), il ciclo Biciclette di Giuseppe Zigaina, omaggio all’epopea delle staffette, del quale un enorme bozzetto occupa un’intera parete della sede nazionale dell’ANPI. I partigiani reggono la Costituzione repubblicana di Guido Tavagnacco, poi, simboleggia la celebrazione della Resistenza e dei partigiani che proseguirà nei decenni successivi con concorsi di pittura e mostre dedicate: “Arte contro la barbarie” a Roma nel 1944 (ancor prima della fine della guerra), “Non dimenticare” a Milano nel 1962, quella di Bologna nel 1965, “Arte della Libertà” al Palazzo Ducale di Genova nel 1995.
Una bellissima raccolta di sonetti di Renata Viganò, pubblicata in soli 99 esemplari e conservata nella biblioteca dell’ANPI Nazionale a Roma, è illustrata con 16 acqueforti di vari autori tra i quali spicca Gino Covili, operaio e bidello che proprio alla Resistenza deve la scoperta del suo talento artistico e di uno stile agreste tra Van Gogh e Ligabue. Il suo Partigiano dorme sotto al castagno riprende il tema del riposo: il corpetto di pelo d’animale ne fa una sorta di San Giovannino addormentato, con la mitraglia al posto della croce fatta di canne. La barba incolta è ancora traccia della dura vita partigiana nei boschi e sulle montagne. Il viso rilassato nel sonno in mezzo ai fiori, però, è l’immagine finale dei sogni che hanno finalmente riconquistato il loro posto agli incubi.
Questo articolo è stato pubblicato su Patria Indipendente