Bologna: Bartleby e la cultura murata viva

25 Gennaio 2013 /

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Bartleby
Bartleby
di Valentina Bazzarin
Chiudere dentro a una stanza dei libri impedendo alle persone l’accesso e far invadere la zona universitaria di Bologna dalle forze dell’ordine è l’ultima infelice scelta dell’amministrazione di questa città, che ricordavamo come la rossa, la grassa e la dotta, ma ultimamente sembra solo pallida, obesa a forza di ingoiare cultura-spazzatura ed estremamente depressa.
Le immagini della porta della biblioteca Bartleby murata o delle camionette della polizia schierate in via Zamboni mi hanno fatto pensare che anch’io, come Bartleby, «preferisco di no» – come sempre più spesso accade resisto e rifiuto il ricovero coatto della mia libertà di sapere e capire con educazione e determinazione, come ho imparato dal protagonista del romanzo di Melville – ma anche che non ci fosse proprio nulla di nuovo in questa scena da carpentieri e giocolieri con manganelli. Come molti di voi, avevo visto qualcosa di tragicamente simile accadere in «Fahrenheit 451», il film del 1966 di Truffaut.
Per esempio, nel momento del discorso del capo-pompiere quando, prima di bruciare i libri, spiega al giovane sottoposto: «Sai, tutto questo – l’esistenza di una biblioteca segreta – era nota nelle alte sfere, ma non c’era modo di arrivarci» e poi ancora «Tutta questa filosofia… liberiamocene che è anche peggio dei romanzi». Se avete bisogno di un “ripassino”, ecco qui, a questo link, lo spezzone dei video in questione (al minuto 3:00 circa, ma vi consiglio di vederli tutti e 5).

Mi chiedo se nei pensieri di chi amministra Bologna e la sua università ci sia lo stesso disprezzo sia per la cultura e che per chi la sostiene e la fa crescere nei luoghi a lei tradizionalmente dedicati.
Una biblioteca murata non è accessibile tanto quanto una biblioteca bruciata. Il poeta Roversi era forse troppo filosofo per essere rispettato oltre che commemorato da Bologna e dai suoi amministratori? Ha lasciato un intero fondo bibliotecario, fatto di libri e di riviste che oggi sono murati vivi dietro alla porta del Bartleby. Libri e riviste che testimoniano la pericolosa capacità di incuriosirsi alla cultura e di ragionarla pubblicamente. Sulle tendenze riflessive di Hardt e Negri poi non ci sono dubbi: anche loro erano assidui frequentatori di quel luogo talmente osceno da dover essere oscurato.
I due autori potrebbero addirittura essersi dimenticati un paio di copie di «Questo non è un manifesto» e ovviamente gli effetti collaterali di una lettura del genere andavano contenuti con un muro capace di neutralizzare la potenziale carica virale delle alternative. Non parliamo poi dei WuMing che organizzavano al Bartleby i reading. Questi cantastorie notoriamente scrivono e traducono continuamente romanzi. Inoltre i Wu Ming si sono dati la forma di un inaccettabile collettivo, che tende a nascondere anonimi produttori di sapere dietro i numeri.
E che possiamo dire delle donne? Il Bartleby murato aveva collaborato attivamente alla divulgazione di libri scritti da mani femminili, come quelle di Simona Baldanzi, che raccontavano le azioni di mani dalla pelle indurita degli operai delle grandi opere e quelle alzate degli abitanti di montagne sventrate in nome del progresso.
Non contenti di accogliere libri, dibattiti, incontri, scontri e riflessioni di chi scrive, legge e pensa, gli studenti, i ricercatori, i cittadini, i curiosi, i filosofi e gli scrittori che hanno vissuto con Bartleby, in quella via, San Petronio Vecchio, vicina a caserme e aule universitarie, a un certo punto han deciso di organizzare molesti concerti di musica classica. Dal punto di vista dei nostri governatori evidentemente questo risulta inaccettabile e indecoroso.
La rappresaglia contro questo modo di produrre cultura e restituirla alla città gratuitamente è scattata all’alba del 23 gennaio 2013 (segnatevela per le «scor-date» dell’anno prossimo). Il pretesto ovviamente è stato un «preferisco di no» pronunciato in risposta all’offerta da parte dell’amministrazione comunale di una nuova sede con evidenti problemi di agibilità in una zona periferica di Bologna, la zona Roveri.
Chi ha scelto di murare la cultura nelle prime ore del mattino si è trincerato dietro a un (speriamo) imbarazzato silenzio, con una doppia fila di camionette a tutelare la cittadella, dimostrando netto fastidio per il rifiuto di questi giovani (veri giovani e infatti tutti studenti o precari) di non lasciare la cultura marcire dietro quel muro e di non farsi ghettizzare senza opporre resistenza. Schierando le forze dell’ordine, chi governa la pallida, obesa, depressa Bologna, forse intendeva far apparire la cultura per tutte/i una forma di protesta violenta o un problema di ordine pubblico, ma il collettivo Bartleby ha dimostrato ancora una volta come si possa «preferire di no» in modo “educato” ma determinato. Il collettivo ha occupato un altro spazio, di fronte al Rettorato, in piena zona universitaria e, ringraziando per il suggerimento l’amministrazione, lo ha denominato aula Roveri. Il nostro Bartleby anche oggi preferisce di no.
Valentina Bazzarin alias Vladimirovna Tereshkova
Questo post è stato pubblicato sul blog di Daniele Barbieri

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