di Sergio Caserta
È sciopero generale, oggi, ed è anche il momento, forse uno dei principali, in cui fermarsi e riflettere su tempi, modi e prospettive di lavoro, mercato e crisi economica. Per questo abbiamo posto alcune domande al sociologico Francesco Garibaldo, gà direttore della Fondazione Istituto per il Lavoro e dal 2006 vicepresidente del “Research Committee on Participation, organizational Democracy”. Con un percorso professionale nella Fiom Cgil e poi all’Ires (Associazione Internazionale di Sociologia), ecco quali considerazione formula.
Mercoledì 14 novembre, è il primo sciopero unitario dei sindacati in Europa che viene proclamato da quando è esplosa la crisi economica e sociale, secondo te non è fuori tempo massimo e perchè ci sono tante differenze nel movimento dei lavoratori europeo di fronte alla crisi ed alle politiche della “troika”?
Sì, è molto fuori tempo ma almeno un segno si è prodotto. La difficoltà nasce dal totale spiazzamento del movimento sindacale europeo di fronte ai processi di globalizzazione ed in specifico alla nascita della Unione Europea(UE) come are economico-produttiva integrata. da un lato infatti vi è la più assoluta libertà di movimento dei capitale e la possibilità per le imprese di sfruttare legalmente tutte le differenze legali,sociali ed economiche interne alla UE; dall’altra i sindacati sono rimasti prigionieri di uno schema nazionale, schema che prima garantiva forme più avanzate di regolazione sociale che oggi vengono messe in discussione proprio dal modo con il quale si è costruita la UE: una asimmetria costituzionale tra misure correttive del mercato, cioè quelle che promuovono la protezione sociale, l’eguaglianza e la partecipazione sociale e quelle di costruzione del mercato, cioè quelle pro-business.
Oggi ci si rifugia nella singola impresa, quelle dove si è ancora forti, nel tentativo di resistere. Il problema è che se non si affronta la dimensione europea si declina senza mai trovare un terreno solido. Le alternative sono tra una tecnocrazie europea ed una democrazia europea; ciò richiede un ripensamento del sindacato sia in termini organizzativi che di modalità di rappresentanza e di contenuti delle politiche, un ripensamento che abbia al fondo una forte carica di democrazia partecipativa.
In italia CGIL_CISL UIL, con qualche differenza ma non tantissime, hanno finora dato quasi “carta bianca” credito al governo Monti, ora sembra che ci si accorga che era un credito eccessivo, esiste una specificità italiana nel rapporto tra forze sociali e “governo dei tecnici”?
Sì, c’è una minor combattività verso le misure “dettate dall’Europa”, come si usa dire. Ciò discende dall’illusione, che non è solo italiana, di potere scampare al cosiddetto contagio; non ci si rende conto, se non che quando si cade nella disperazione, che tale prospettiva è illusoria. Illusoria in due sensi. In primo luogo economicamente perché le misure restrittive, in un paese con un debito come l’Italia, portano inevitabilmente, via recessione, ad una trappola senza via di uscita, un lungo doloroso declino degli standard sociali. In secondo luogo perché la crisi non è solo distruzione ma anche ristrutturazione e la demolizione del potere negoziale del sindacato è una necessità, o quantomeno, un forte aiuto a potere procedere ad una ristrutturazione radicale sia dell’economia che della società.
Il 23 novembre partecipi (organizzi) al seminario “Lavoro e cittadinanza nell’Europa della crisi” alla Fondazione Collegio europeo di Parma, come si colloca questa discussione rispetto alla piattaforma delle lotte in corso in tanti paesi d’Europa, ci riferiamo, soprattutto la Grecia e alla Spagna.
Cercheremo di spiegare, a partire da un libro collettaneo scritto da diversi ricercatori europei, come il problema non siano i singoli paesi ma il modo con il quale l’Europa è stata costruita e che da lì bisogna ripartire. Occorre una grande capacità di innovazione da parte dei sindacati e di qualunque forza sociale e politica che voglia effettivamente schierarsi dalla parte di chi lotta.