di Francesca Mezzadri
Per il Movimento 5 Stelle non ti candidi, ma ti candidano. Basta presentare un CV, una fedina penale pulita e non avere tessere di partito. È andata così nelle candidature per le imminenti elezioni della Regione Sicilia, si stanno scegliendo ora i candidati per le future elezioni del Lazio. E proprio in questi giorni su un portale è uscita la notizia di una prima candidatura: una donna sorridente a rappresentare i grillini per il Lazio, con link a profilo facebook del Movimento 5 Stelle dei Castelli Romani. Peccato che il profilo Facebook sia falso (ora è stato cancellato) e la notizia una bufala. Sul web succede.
Del resto, da sempre, uno dei pilastri del Movimento 5 Stelle, è stata l’informazione libera sul web. L’informazione è “uno dei fondamenti della democrazia e della sopravvivenza individuale” recita il blog (o sito ufficiale) del movimento elencando proposte che così, nero su bianco, sembrano meravigliose e moderne come: la cittadinanza digitale dalla nascita, copertura completa nazionale dell’ADSL, abolizione della legge sul copyright e dell’ordine dei giornalisti e così via. Però a Beppe Grillo e, in generale, al Movimento 5 Stelle, i giornalisti non piacciono. Non è una notizia, non è una novità. Il leader del movimento li definisce sul suo profilo Twitter – nel migliore dei casi – “venduti”, “macchina del fango”, “cancro del paese” e non si conta il numero di minacce di querele rivolte ai quotidiani colpevoli di scrivere falsità e di rendere “la verità menzogna e le menzogne verità”.
È possibile. Anzi, è vero che spesso le notizie pubblicate sui quotidiani e sui giornali sono superficiali e non del tutto corrette. Come sul web, dove non scrivono solo giornalisti ma anche redattori e cittadini che spesso esprimono le loro opinioni, condividono idee e qualche volta anche bufale. Ma per seguire la linea di pensiero di Grillo, qualsiasi cittadino dovrebbe sentirsi libero (dalla nascita) di scrivere e pubblicare quello che vuole perché l’informazione è libera e sacrosanta. Ed è giusto.
Il popolo a cui si rivolge Grillo e i suoi grillini è proprio quello della rete. Anche Beppe Grillo, appena uscito vittorioso dalla traversata a nuoto dello Stretto di Messina, deve sentirsi libero di urlare la sua rabbia verso la politica italiana, “le merde di giornalisti”, urlare insulti ai “morti” della politica italiana, e desiderare che tutti i partiti vengano “spazzati via da un peto” e, comunque, “vaffanculo” a tutti. È molto divertente, in effetti, questa immagine che ci regala, e urlandola così forte, forse anche a chi lo sostiene sembrerà di scacciare via con una risata tutto quello che non va nel nostro paese. Ovvero l’informazione superficiale, la politica corrotta, il malcontento generale che c’è e non si può negare.
Ma queste possono sembrare parole vuote perché dietro la forte connotazione colorita non ci sta nulla, se non il fatto che “il popolo”, o meglio i cittadini, sono arrabbiati e delusi, stanchi di farsi fregare. E Grillo urla alimentando questa rabbia: dividendo il mondo tra politica e giornalisti “cattivi e corrotti” e popolo della rete “buono e giusto”. Ai giornalisti, al massimo, si rilasciano comunicati stampa pieni di lustrini, e se fanno domande scomode si risponde con un insulto e poi si dichiara che “gettano letame”. In effetti, la questione di Giovanni Favia, consigliere regionale dell’Emilia-Romagna, colpevole di aver rilasciato dichiarazioni fuori onda ha mandato un po’ in confusione il movimento. Favia è un povero ingenuo manovrato dal giornalista cattivo, o Favia con le sue critiche è anch’esso un “venduto, corrotto” – per non riportare le affermazioni ben peggiori che viaggiano sul web?
Sorgono a questo punto due domande. La prima, sollevata anche da Michele Di Salvo nel suo e-book Chi e cosa c’è dietro Grillo e al Movimento 5 Stelle riguarda proprio il web: fermo restando che molti cittadini italiani non sono informaticamente alfabetizzati, il popolo della rete rappresenta solo una piccola fetta dell’Italia. Siamo sicuri che basta a dare voce a tutti? Siamo sicuri che il web sia l’unico mezzo con il quale fare democrazia, o si tratta semplicemente di un normale “mezzo di comunicazione” e, come tale anch’esso soggetto a errori, sbagli, imprecisioni e non verità assolute e inconfutabili come quelle che teoricamente uscirebbero dalla bocca di Grillo?
Recentemente è sorta una polemica proprio perché, secondo uno studio condotto da un docente di linguaggi digitali allo Iulm di Milano, il 48% dei followers che segue il profilo Twitter di Beppe Grillo è falso, ovvero non corrisponde a nessuna persona reale. Ovviamente, se questo studio fosse vero – e c’è chi sostiene che non lo sia- il motivo della creazione di follower falsi è palese a chi capisce l’importanza del consenso della rete. Quello che è certo è che lo studio è stato davvero pubblicato e questa è una notizia. Altra cosa certa è che Grillo ha dato del “venduto” al professore, e minacciato querele e varie. Ma come, l’informazione non dovrebbe essere libera? Per dimostrare la falsità dello studio, invece che urlare sul web – con tutti i punti esclamativi che ne conseguono – varrebbe la pena leggere la ricerca e usare parole che non siano esclamative per dimostrare che è confutabile. Oppure si può sempre scegliere di non rispondere, senza fare polemiche.
E qua veniamo alla seconda questione: Grillo cade in un pesante controsenso. Se ognuno è libero di dire quello che vuole, dovrebbe anche essere vero che tutti hanno diritto di esprimersi, specialmente in un contesto “libero” come quello dei blog. È evidente che in rete – e non solo – ci sono più voci. Eppure, il Movimento 5 Stelle ha chiesto l’obbligo di rettifica anche sul web (comma 29 dell’articolo 1 del decreto anti-intercettazioni) – vale a dire sui blog, su quegli spazi liberi che appartengono proprio al “popolo della rete” dove l’informazione dovrebbe scorrere fluida. Attualmente l’obbligo di rettifica esiste (giustamente) solo sulle testate legalmente riconosciute e dovrebbe essere uno dei principi cardine dell’ordine dei giornalisti, ordine che Grillo vuole abolire.
È davvero singolare che un movimento adotti tra i suoi pilastri la libertà di informazione e che sbandieri sul web la veridicità sacrosanta del web contro quella del resto del mondo malvagio e poi – quando le critiche lo investono, quando lo stesso diritto lo investe – urli allo scandalo e al “vaffanculo”. La libertà di informazione finisce dove iniziano le punte delle 5 stelle? Non sembra molto democratico che i diritti siano solo per alcuni e non per tutti. Ma forse anche queste sono solo parole vuote.