Storia critica del XX secolo: l'atlante di Le Monde Diplomatique e Manifesto a Bologna, chi ha vinto la battaglia delle memorie

1 Ottobre 2012 /

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L'Atlante Storico - Storia critica del XX secolodi Angelica Erta
Senza memoria non c’è futuro. Un frase dai molti padri che si attaglia perfettamente al momento presente, in cui di fronte al perdurare della crisi, siamo spersi, complice un’altra crisi, di ideali, coscienze e pensiero critico. Forse per iniziare a supplire a queste mancanze Il Manifesto – Le Monde Diplomatique hanno dato alle stampe L’Atlante Storico – Storia critica del XX secolo. Un testo dal doppio nome, e non perché pecchi di orgoglio – ma perché , come afferma Franco Farinelli, presidente del dipartimento di filosofia e scienze della comunicazione, all’università di Bologna, “la differenza fra i due non esiste, e non sono certo il numero di immagini a definirla”. Un’espressione bizzarra, se non fosse che mappare il mondo significare definirlo, dargli esistenza a immagine e somiglianza del nostro modello mentale, e non solo quando si guardano i confini tracciati a tavolino degli stati africani ma più profondamente quando s’interroga il potere della rappresentazione.
Con queste premesse nasce L’Atlante Storico, fra le cui pagine una voce pungente si fa strada nel secolo scorso, i cui grovigli irrisolti continuano a dettare le contraddizioni contemporanee. Come ricorda Tommaso di Francesco, del Manifesto:

Siamo andati incontro al XXI secolo con leggerezza, quasi bastasse cambiare una cifra, e ci siamo trovati a dover fare i conti con l’irrisolto della fase precedente, con quei detriti poi consumati l’11 settembre 2001.


Allo stesso modo l’instabilità odierna del Medio Oriente risale alla spartizione occidentale seguita alla prima guerra mondiale, con l’imperialismo, presente come uno stato invisibile, a dettarne le sorti. E le guerre nei Balcani non sono figlie della stessa storia, indietro fino ai primi decenni del secolo scorso? Un excursus storico geografico non allineato, dichiaratamente, onestamente “di parte” con le sue sezioni – “Gli anni folli”, “Gli anni neri”, “Gli anni rossi e gli anni grigi” – e i suoi capitoli poco ortodossi – “Quando l’Europa dominava il mondo e le sue ricchezze”, “Il crack del ’29 genera nazismo e Fronte popolare”, “Conquiste incompiute delle donne”, “Quando l’Occidente sosteneva l’apartheid”, “La guerra del Golfo volta la pagina del panarabismo”, “1998, crisi asiatica”, “2008, crisi planetaria” – per citarne solo alcuni.
Esordisce Di Francesco:

Questo testo è una dichiarazione di volontà che decide di darsi come Atlante, una presa di parola per arrogarsi il diritto di sistematizzare il passato, e il futuro, interrogandosi su alcuni temi chiave. Un’operazione che parla dell’empasse attuale in cui un governo tecnico assomma dentro di sé passato e futuro, nel silenzio del pensiero critico. Di qui l’urgenza di restituire al grande pubblico un codice di interpretazione del reale, aperto e arbitrario – e in questa ammissione si ritrova il senso della democrazia avvilita nel tecnicismo imperante, in cui seguire gli strappi della Storia.

In esergo alla versione francese – ricorda Raffaele Salinari, docente d’economia e firma del Manifesto – vi è una citazione dallo storico britannico Eric Hobsbawn: la memoria non è tanto un meccanismo di registrazione quanto un meccanismo di selezione che consente di leggere i desideri del presente nel passato, a dimostrazione del legame fra storia e potere. Gli fa eco Di Francesco:

Chi ha vinto la Guerra fredda ha vinto la battaglia per le memorie. La caduta del muro di Berlino, fatto geografico-storico, è stato riscritto come ‘fine della Storia’ in un presente svuotato conflittualità legittima, il racconto della vittoria del sistema capitalistico, una vittoria per tanti versi giusta, e forse anche necessaria, ma pur sempre per implosione dell’avversario che ha lasciato sul tavolo tutte le domande inevase.

Per questo, consci che memoria e storia continuano a divergere L’Atlante storico, nel momento in cui traccia le sue mappe in divenire, compie un atto politico. Gli anni folli, gli anni neri, gli anni rossi e gli anni grigi sono gli spaccati visivi del nostro passato, una segmentazione arbitraria in cui l’onestà intellettuale ha sostituito la linearità pacificata della Storia con il ricordo delle resistenze, ha interrogato le mappe restituendoci la responsabilità del passato e del futuro dove non vi è nulla di ineludibile, nemmeno l’austerity delle direttive europee. Il Manifesto, con la sua “Storia critica del XX secolo” gioca a carte scoperte, ogni mappa porta con sé un titolo ‘eretico’, una bibliografia e se vogliamo un’ideologia, a differenza delle votazioni asettiche delle agenzie di rating a cui i governi si sottomettono, senza mai interrogarsi sugli autori.

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