Bologna: alla Cineteca una rassegna su Patricio Guzmán, l'archeologo della memoria rimossa

23 Aprile 2016 /

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di Dario Zanuso e Aldo Zoppo
Escono finalmente nelle sale italiane gli ultimi film del regista cileno Patricio Guzmán, un grande maestro del cinema documentario, presentati in anteprima al pubblico italiano nell’ultima edizione del Biografilm Festival (Sono Nostalgia de la luz, del 2010, e El boton de nacar, del 2015, Orso d’argento per la miglior sceneggiatura a Berlino).
Per l’occasione la Cineteca di Bologna dedica un omaggio al cinema di Guzmàn (dal 25 aprile al 1° maggio). Tutto il suo cinema si sviluppa lungo il tema della memoria ed è in particolare legato alla travagliata storia del Cile, alla rivoluzione di Allende e alla sua tragica fine. Sarà possibile vedere i suoi film più noti del passato, a partire dal monumentale film d’esordio, La battaglia del Cile, il racconto in presa diretta dei fatti che portarono, nel 1973, alla dittatura dei militari. Il regista presenterà inoltre personalmente i suoi due ultimi splendidi documentari, in cui emerge un modo nuovo ed estremamente suggestivo di rievocare il passato.


All’inizio di Nostalgia de la luz, il film realizzato nel 2010, il regista così si racconta: sono nato in Cile, nella provincia più estrema del mondo, un luogo in cui nulla di rilevante sembrava potesse accadere. All’improvviso quel paese, con la rivoluzione guidata da Allende, si trovò al centro della scena, fu il simbolo di una possibilità pacifica di cambiamento. Questa rivoluzione, con il suo tragico epilogo (lui stesso fu imprigionato dal regime di Pinochet), costituisce il centro ispiratore della sua opera.
I disastri della dittatura militare sono l’ultimo episodio di una storia, quella cilena, intessuta di crimini politici e sociali, a partire da quelli perpetrati dai conquistatori spagnoli verso gli indigeni. Di fronte ad un paese proiettato in avanti, verso il futuro, sempre più immemore del suo passato, il cinema di Guzmán (come di altri registi della generazione successiva, si pensi a Pablo Larrain) riflette sul tema della memoria. “Coloro che hanno memoria sono capaci di vivere nel fragile tempo presente; coloro che non ne hanno, non vivono da nessuna parte”.

Nostalgià del la luz è il primo episodio di una trilogia. Il punto di partenza è sempre rappresentato da un luogo geografico ben preciso del Cile: qui è il deserto di Atacama, nel nord del paese (in En boton de Nacar, che nel 2015 ha vinto l’Orso d’argento al Festival di Berlino, è invece la Patagonia, mentre nel prossimo episodio sarà la cordigliere delle Ande). La voce fuori campo di Guzmán ci racconta la storia di uomini che, anche se mossi da esigenze e domande diverse, sono accomunati da una ricerca delle tracce lasciate dal passato.
Vi sono in primo luogo gli astronomi, alla ricerca delle origini dell’universo. Il deserto di Atacama è il luogo meno umido del pianeta. Qui il cielo è trasparente. Per questo è diventato il luogo privilegiato per la perlustrazione dello spazio e vi sorgono gli osservatori astronomici più potenti del pianeta. Ma cosa sono le stelle se non i riflessi di luce provenienti da un passato ancestrale? E non sono forse gli astronomi gli archeologi del cosmo?
In quello stesso deserto vediamo all’opera anche altri archeologi, che cercano nelle rocce le tracce lasciate dai nostri lontani antenati, attraverso la pittura rupestre e i resti dei loro stessi corpi.
Qui, infine, si aggirano senza pace le donne in cerca dei miseri resti dei loro uomini (figli, mariti, fratelli), i desaparecidos assassinati durante gli anni della dittatura di Pinochet. In questo deserto, le baracche di un antico villaggio di minatori vennero utilizzate come carcere per i prigionieri politici. Nelle sue profondità furono seppelliti i corpi martoriati delle tante vittime. In seguito i militari, per non lasciare le prove dei loro eccidi, disseppellirono i corpi e li gettarono nell’oceano. Queste donne cercano le poche tracce rimaste dei loro cari, per restituire dignità alle loro esistenze e per consegnare il loro corpo alla morte.
Con grande forza suggestiva e poetica Guzmán intreccia storie che gettano un ponte tra il destino umano e quello cosmico. Uno dei ricercatori del centro astronomico osserva che il calcio presente nelle ossa è lo stesso di cui sono composte le stelle.
El boton de nacar è il secondo capitolo della trilogia sul passato, sulla memoria offuscata e sui crimini dei colonizzatori del nuovo mondo e, più recentemente, della dittatura di Pinochet. Guzmán realizza un’opera dove protagonista è l’acqua quale elemento primordiale, materia fondante della vita, racchiusa in una pietra di quarzo, e base del fiorire di tutte le grandi civiltà. L’acqua è protagonista nei paesaggi estremi cileni ritratti da Guzmán.
Luoghi che sono stati teatro continuo di violenza, dai nativi sterminati dai conquistadores europei, ai desaparecidos legati a pezzi di rotaie e gettati nell’oceano all’epoca della dittatura di Pinochet; acqua, quindi come luogo di vita e luogo di morte. Il bottone di perla di ieri, merce di scambio tra i conquistatori e i nativi, e di oggi, incastrato nelle rotaie arrugginite quale ultima ed insperata testimonianza della crudeltà di una dittatura. Un passato che il popolo cileno vuole inconsciamente dimenticare, ma che Guzmán ci riporta alla memoria, con le sue immagini e la sua voce narrante, che si mescola alla voce dell’acqua.

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