Privarsi delle private

23 Maggio 2012 /

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Non si può dire che abbiano scelto il giorno giusto per annunciarlo, ma tant’è. Lunedì 21 maggio, giorno di terremoto e di elezioni, il Comitato articolo 33 ha depositato presso il Comune di Bologna un nuovo quesito referendario. “Quale fra le seguenti proposte di utilizzo delle risorse finanziarie indicate nella PG. N. 203732/2011 ritieni più idonea per assicurare il diritto all’istruzione nella scuola d’infanzia?”. Le scelte sono due e non di più: utilizzare quei soldi per le scuole pubbliche, oppure usarli per le private paritarie. La delibera a cui si far riferimento nel quesito referendario è quella del 27 settembre 2011, che ha visto Palazzo d’Accursio finanziare con un milione di euro il sistema di scuole paritarie private bolognesi, in maggioranza di orientamento cattolico.

Se il comitato dei garanti del comune di Bologna ammetterà il quesito – il tempo di risposta non può superare i 30 giorni – allora scatterà la raccolta firme, e se ne dovranno raccogliere 9mila. Solo a quel punto il referendum potrà essere sottoposto ai cittadini bolognesi, che decideranno così cosa fare col milione di euro che ogni anno il Comune spende per sostenere le scuole private paritarie d’infanzia. Ovviamente le polemiche sono già scoppiate. Le scuole cattoliche considerano l’iniziativa fuori dal tempo e dannosa, i referendari invece ne fanno una questione di libertà e democrazia. A Bologna, e i dati sono oggettivi, ci sono oltre 400 bambini che subiranno un insegnamento confessionale. Oppure niente scuola, perché la rete comunale non ha spazio per loro. In mezzo la Giunta, che ancora non parla ma che un anno fa, in occasione della presentazione di un referendum simile (poi bocciato dai garanti), si dichiarò tutto sommato contraria. Perché? “Non vogliamo guerre tra poveri”, dichiarò all’epoca il sindaco di Bologna Virginio Merola. Peccato che le rette delle scuole d’infanzia cattoliche siano spesso di centinaia di euro al mese, e che le stesse scuole ricevano soldi da Regione e Ministero dell’Istruzione. Oltre ovviamente dai genitori che volenti o nolenti vi portano i propri figli.

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