Le condizioni di lavoro delle donne palestinesi

di Paolo Vernaglione Berardi /
3 Maggio 2025 /

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Il rapporto Oxfam di marzo sulla condizione di sfruttamento e di dipendenza delle donne palestinesi impiegate negli insediamenti illegali israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme est (scaricabile qui) testimonia una situazione terrificante: l’espansione degli insediamenti israeliani, la confisca di terreni e le restrizioni al commercio, alla circolazione e allo sviluppo palestinesi hanno sistematicamente creato condizioni di povertà e disoccupazione che spingono un numero sempre maggiore di palestinesi verso un lavoro di sfruttamento.

Ostacoli strutturali, le politiche israeliane di controllo delle risorse e le limitazioni al commercio e allo sviluppo economico, hanno reso molte donne incapaci di trovare un lavoro locale sicuro e dignitoso, spingendole verso impieghi di sfruttamento negli insediamenti.

Elaborato in collaborazione con i partner di Oxfam, il Palestine Economic Policy Research Institute (MAS) e la Mother School Society (MSS) hanno svolto un prezioso lavoro di ricerca che ha fornito le basi per questo report con testimonianze dirette, interviste e ricerche sul campo, compreso il caso di studio sull’impiego delle donne nella valle del Giordano.

Attualmente, oltre 6.500 donne palestinesi lavorano negli insediamenti israeliani, principalmente nel settore agricolo (65,5%) e manifatturiero (33,3%) con un numero in costante aumento negli ultimi anni. Fanno parte di una forza lavoro molto più ampia; circa 29.000 palestinesi lavorano negli insediamenti israeliani, la stragrande maggioranza dei quali sono uomini, il che riflette una estesa dipendenza economica creata dalle politiche israeliane. In totale, oltre 193.000 palestinesi lavorano in Israele e negli insediamenti israeliani e le donne ne rappresentano solo una piccola frazione, sottolineando le particolari vulnerabilità che affrontano in queste condizioni di sfruttamento.

Dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967 Israele mantiene un’occupazione militare del territorio palestinese. In oltre cinquantasette anni, Israele ha sistematicamente stabilito e espanso insediamenti in violazione del diritto internazionale. Oggi la popolazione dei coloni nella Cisgiordania occupata, inclusa Gerusalemme Est, continua a crescere e supera ormai i 700.000 coloni israeliani. Gli insediamenti e le infrastrutture a essi associate occupano ormai quasi il 35% di Gerusalemme Est e il 10% della Cisgiordania.

Il periodo successivo all’ottobre 2023 ha visto un’accelerazione allarmante dell’espansione degli insediamenti, con effetti devastanti sull’economia e l’occupazione palestinesi. Secondo Peace Now, Israele ha illegalmente sequestrato 23,7 km2 di terra palestinese nella Cisgiordania occupata solo nel 2024, più di quanto confiscato nei precedenti trent’anni insieme.

Prima dell’ottobre 2023, i tassi di disoccupazione per le donne palestinesi in tutto il territorio occupato variavano tra il 23% e il 29% con un tasso di disoccupazione cumulativo del 40%, il doppio di quello degli uomini. Tuttavia, a seguito dell’offensiva militare israeliana su Gaza nell’ottobre 2023, la situazione economica si è drasticamente deteriorata.

La Cisgiordania ha subito un declino economico senza precedenti, con una seguente perdita di 306.000 posti di lavoro dall’ottobre 2023. Tra l’inizio di ottobre 2023 e la fine di settembre 2024, il tasso di disoccupazione nella Cisgiordania ha raggiunto una media del 34,9% mentre a Gaza è triplicato, arrivando al 79,7%.

La recessione economica ha colpito sia uomini che donne. Gli uomini hanno subito un calo dell’occupazione superiore al 28% e il loro tasso di disoccupazione è triplicato. L’impatto economico della guerra è stato sostanziale con un calo del PIL reale nel territorio occupato pari in media al 32,2% nell’ultimo anno. La Cisgordania ha registrato una contrazione del 21,7%, mentre il PIL di Gaza è crollato del 84,7%.

Il numero di posti di blocco in Cisgiordania è aumentato da 567 all’inizio di ottobre 2023 a 700 a febbraio 2024. Le donne palestinesi, come gli uomini, affrontano anche sfide aggiuntive attinenti al genere, tra cui un maggior rischio di molestie sessuali, violenza e l’impossibilità di accedere a terreni agricoli o mercati locali, aggravando ulteriormente la disoccupazione.

L’Autorità Palestinese, che impiega molte donne palestinesi, ha una forte dipendenza dagli aiuti e ha subito riduzioni degli aiuti e delle entrate, limitando significativamente la sua capacità di fornire servizi e di funzionare come governo. I dipendenti dell’AP hanno ricevuto solo salari parziali negli ultimi tre anni. Questi ostacoli strutturali, aggravati dalle politiche israeliane di confisca di terreni, le restrizioni alla circolazione, il controllo sulle risorse e le limitazioni al commercio e allo sviluppo economico, hanno reso molte donne incapaci di trovare un lavoro sicuro e dignitoso a livello locale, spingendole verso impieghi di sfruttamento negli insediamenti.

Sebbene gli uomini palestinesi siano stati a lungo impiegati negli insediamenti israeliani, prevalentemente nell’edilizia e l’agricoltura, il loro numero ha subito notevoli fluttuazioni, raggiungendo un picco di circa 25.000 nel 2023, per poi calare bruscamente a causa delle chiusure successive al 7 ottobre.

Le donne palestinesi sono concentrate in modo sproporzionato nei lavori agricoli e di trasformazione alimentare, a causa delle norme di genere, delle restrizioni alla mobilità e delle minori barriere all’accesso. Questi settori sono anche caratterizzati da salari più bassi, minori tutele e maggiori rischi di sfruttamento, molestie e furto salariale a causa del lavoro informale e stagionale e delle condizioni isolate. Circa il 47,6% delle donne palestinesi impiegate nella produzione agricola negli insediamenti e il 19,6% impiegate nel settore manifatturiero, lavorava in precedenza per imprese palestinesi. Sono state costrette, però, a cercare lavoro negli insediamenti israeliani illegali a causa della mancanza di alternative. Il reddito giornaliero medio delle donne che lavorano negli insediamenti ha mostrato che la maggioranza delle donne (65,5%) ha un reddito giornaliero inferiore a 100 shekel/giorno (25 euro circa), che è meno della metà del salario minimo nella stessa Israele. Questa disparità salariale è particolarmente preoccupante, dato il tasso di inflazione di Israele che, a settembre 2024, si attestava al 3,5%. La stragrande maggioranza delle donne che lavorano negli insediamenti israeliani (94%) non ha contratti scritti. Più del 71% ha segnalato le lunghe ore di lavoro. Le interviste con donne impiegate negli insediamenti hanno rivelato che una parte significativa di loro lavora su due turni (mattina e sera) per guadagnare abbastanza denaro, il che causa stress cronico mentale e fisico.

Secondo l’indagine condotta dalla Mother School Society un sorprendente 93% di donne ha riferito di lavorare in condizioni malsane e non sicure. Ad esempio, alcune lavorano nei campi con pesticidi pericolosi senza norme di sicurezza o dispositivi di protezione. Le donne hanno riferito di furto salariale e trattenuta dei benefici promessi, discriminazione razziale, nonché molestie, aggressioni sessuali e violenza fisica.

Nonostante la sua natura sfruttatrice e i salari bassi, il lavoro negli insediamenti spesso offre retribuzioni leggermente superiori a quelle disponibili nel mercato di lavoro palestinese, rendendolo una necessità per molte. Per le donne la coercizione economica è aggravata dalle pressioni sociali: spesso, esse agiscono come principali o uniche fonti di reddito nelle loro famiglie. Il 60% di loro riferisce che il proprio reddito è la principale fonte di sostentamento della famiglia.

La situazione nella Valle del Giordano è emblematica di come l’espansione degli insediamenti israeliani e la repressione economica costringano le donne palestinesi al lavoro di sfruttamento. Oggi, una piccola minoranza di coloni israeliani (circa 12.788) controlla circa il 95% della Valle del Giordano, mentre la maggioranza palestinese si ritrova confinata in un misero 5%. Durante la Guerra dei Sei Giorni circa l’88% della popolazione palestinese nella Valle del Giordano è stata sfollata con la forza. Le conseguenti ondate di confisca di terre da parte del governo israeliano e dei coloni hanno lasciato i restanti 60.000 palestinesi in uno stato sempre più isolato e precario. Le comunità palestinesi nella Valle del Giordano soffrono una grave carenza idrica dovuta a queste restrizioni a politiche che impediscono alle comunità di costruire infrastrutture legate all’acqua. Questa privazione sistematica costringe le famiglie palestinesi nella Valle del Giordano a spendere una gran parte del loro reddito per l’acqua, erodendo le basi dei loro mezzi di sussistenza e, in violazione anche dei diritti più elementari, impedendo loro l’attuazione di pratiche agricole sostenibili.

Nei villaggi di Al-Jiftlik e Al Zubeidat, più della metà della forza lavoro femminile è impiegata negli insediamenti israeliani invece che nell’economia locale: il 63% e il 50% delle lavoratrici di Al-Zubeidat e di Aljiftlik rispettivamente lavorano in questi ambienti di sfruttamento. Nell’ottobre 2023, circa il 26% delle donne impiegate in questi insediamenti ha perso il lavoro.

Rompere questo ciclo di dipendenza richiede lo smantellamento dei sistemi di occupazione e di repressione imposti da Israele. Ciò significa affrontare le barriere strutturali che perpetuano la povertà e lo sfruttamento, creando al contempo opportunità per potenziare le donne palestinesi e fortificare le comunità. Rivitalizzare l’economia palestinese non è solo necessario, ma urgente. Richiede di garantire l’accesso dei palestinesi alla terra e alle risorse, porre fine allo sfruttamento del loro lavoro e consentire loro di costruire economie locali resilienti.

Per questo le raccomandazioni fornite da Oxfam agli stati terzi e alla comunità internazionale sono importanti. Ne citiamo alcune: esercitare pressione sul governo di Israele affinché rispetti il diritto internazionale, smantellando gli insediamenti illegali, cessando le violazioni dei diritti e ponendo fine alla sua occupazione illegale e rispettando le misure delineate nel Parere Consultivo della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) sull’illegalità delle politiche e pratiche israeliane nei territori occupati. Interrompere i trasferimenti di armi e l’assistenza militare a Israele che consentono l’espansione dell’insediamento e la violazione dei diritti. L’UE dovrebbe sospendere il suo accordo di associazione con Israele ai sensi dell’articolo 2, fino a quando Israele non interromperà le attività di insediamento e rispetterà il diritto internazionale. L’ANP e i suoi ministri dovrebbero: sviluppare e attuare politiche che creino opportunità di lavoro per le donne nelle industrie locali, al fine di ridurre la loro dipendenza dall’impiego negli insediamenti. E ancora: istituire centri di sviluppo aziendale nelle zone rurali per sostenere le donne imprenditrici e fornire loro una formazione professionale mirata alle esigenze del mercato. Ampliare i programmi di protezione sociale al fine di assistere le donne che abbandonano il lavoro negli insediamenti e offrire sostegno finanziario per opportunità di lavoro alternative. Rafforzare i programmi di lavoro che offrono alle donne opportunità di lavoro alternative, in particolare in settori quali l’agricoltura, l’artigianato, e la trasformazione alimentare. Sviluppare iniziative economiche rurali al fine di promuovere la crescita del lavoro locale e i mezzi di sostentamento sostenibili per le donne palestinesi. Sviluppare e attuare politiche che creino opportunità di lavoro per le donne nelle industrie locali. Istituire centri di sviluppo aziendale nelle zone rurali al fine di sostenere le donne imprenditrici. Ampliare i programmi di protezione sociale al fine di assistere le donne che abbandonano il lavoro negli insediamenti. Rafforzare i programmi di lavoro che offrono alle donne opportunità di lavoro alternative. Sviluppare iniziative economiche rurali al fine di promuovere la crescita del lavoro locale.

É poi urgente estendere la platea dei donatori e istituire fondi di emergenza al fine di fornire sostegno finanziario o in natura temporaneo alle donne che abbandonano il lavoro negli insediamenti. Ciò contribuirebbe a coprire i loro bisogni di base mentre cercano un impiego alternativo.

Questo articolo è stato pubblicato su Comune il 30 aprile 2025

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