Al settimo cielo e alla nuova stagione: l'Arena del Sole di Bologna ci proietta in avanti

17 Maggio 2019 /

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di Silvia Napoli
Non si sono ancora spente le luci sulla stagione teatrale 2018-2019, anzi, dati i prossimi imperdibili spettacoli in cartellone in questi giorni, che già Arena del Sole, fondazione ERT, Teatro Nazionale, è pronta per l’annuncio di nuove avventure e il dispiegarsi di nuove esortazioni o nuove interrogazioni, con tutta l’attenzione e la cura possibili nell’offrirci un panorama esauriente di ciò che si muove sulla scena ormai globale del teatro e delle arti performative in generale.
Rientra pienamente in questo contesto, lo spettacolo in sala Interaction e visibile ancora fino a domenica 19 maggio, dal suggestivo titolo Settimo Cielo, Nine cloud, in originale, ultimo celebrato lavoro del Collettivo Blue Motion, gruppo performativo di punta a sua volta inserito in quella prismatica esperienza romana che è Angelo Mai. Spazio cosiddetto alternativo alle Terme di Caracalla sempre fisicamente sotto attacco, ma ormai quasi brand o cifra stilistica ben definita e difesa a oltranza dalle personalità piu significative del mondo intellettuale capitolino e non solo.
Difatti questo Settimo Cielo è una produzione Teatro di Roma, nata sotto l’egida del direttore Calbi e sostenuta da una quantità di realtà indipendenti e schierate in favore di una cultura a partire dai generi, che ben si attaglia per un lavoro che si pensa come tassello a sua volta di un progetto più ampio e stratificato inerente il corpus dell’opera letteraria, radiofonica e per le scene di Carlyn Churchill, autrice tanto celebrata nel vasto mondo anglofono, quanto semi-sconosciuta da noi, nonostante un impegno pluridecennale, stante le ottanta primavere raggiunte.
Non conforme, recita il titolo del progetto che si propone di tradurre e allestire almeno come mise en lecture, i principali testi di Churchill e soprattutto di renderne l’efficacia per l’oggi, sfruttando appunto un quid di possibile freschezza in più dell’occhio odierno che dispone e propone parole e situazioni con l’innocenza del principiante. E, infatti, il punto di vista privilegiato sembra essere quello di uno stupore alla Alice in Wonderland, in questo lavoro targato Giorgina Pi, regista attivista performer che ci aveva visitati già qualche tempo fa al Mast di via Speranza.
Considerato capolavoro d ella femminista Churcill il testo sprigiona malizie, battutine e doppi sensi da teatro elisabettiano, riferimento non casuale visto il programmatico travesti e scambio di ruoli dei personaggi:un caravanserraglio, è il caso di dire stante l’ambientazione esotica degna della mia Africa della prima parte, costituito da famiglia british comprensiva di amici erotomani, amiche virago imbarazzanti, giocattoli transazionali, tamburi e animali selvaggi, servitù variamente assortita per generi e razze, ma di fatto sempre “bianca” in scena, abbigliata come solo Vivienne Westwood potrebbe fare mettendo in caricatura il formalismo e contemporaneamente lo scatenamento delle libido meno accettabili e più censurabili, tuttavia in qualche modo plausibili perché agite fuori contesto, in una terra aliena.
Gli attori blue motion, riescono senza intralciarsi a far di tutto compreso ruzzolare, piroettare declamare, cantare, in uno spazio in fin dei conti ristretto dominato da una data luminosa in fluo 1879, introiettando e contempoareamente decantando una varia serie di suggestioni teatrali della nostra avanguardia piu o meno trascorsa come Elfo o Motus, purificandole quasi da scorie e sbavature perché aiutati in questo in primis dalla scrittura cruda, diretta, tagliente, impudente, ma mai gergale, ammiccante, o peggio volgare della nostra autrice, incredibilmente, per i nostri standards sociologici, moglie e madre borghese di tre figli.
In rafforzamento di questo impianto interviene anche la regia di Giorgina che ci tiene a mantenere, pur confondendo le acque con una programmatica nebbiolina e semioscurità una prospettiva storicizzante che deve indurci alla riflessione e non farci sentire parte della ronde. Insomma, siamo lontani, nonostante maschere e crinoline da Eyes wilde shut, ma anche, come si evince nella seconda parte di storia prossimo contemporanea, datata 1979, dal coattismo di Trainspotting, nonostante strade e giardinetti la facciano qui da padroni.
Cento anni di civiltà sono trascorsi per i “caratteri”, le maschere in scena e 25 invece per i personaggi che ivi si riassortiscono e ricombinano, ma sempre portano il fardello di una acuta insoddisfazione esistenziale esacerbata dalle nuove libertà o libertinismi acquisiti : insoddisfazione cui non riescono a dare una definizione ed esattamente come potrebbe accadere in un romanzo di Tondelli essi la rovesciano addosso gli uni con gli altri insieme a lancinanti barlumi di tenerezza disorientata che mi ha ricordato per altri versi un’altra straordinaria scrittrice british prematuramente scomparsa quale Angela Carter.
La pièce sembra indicarci che la strada della lotta a tutte le discriminazioni e anche un discorso approfondito sui generi e le differenze siano tuttora i sentieri percorribili per uscire da tanta infelicità, ma probabilmente molto è ancora da fare e soprattutto da saper connettere alla Storia e alla Politica maiuscole, come sembra suggerirci l’incombere del faccione di Margaret Thatcher, vera antinomia femminista. Il taglio dell’opera di Churcill è di genere, in fondo neppure politicamente scorretto eppure tutte le impersonificazioni del male femminino sono rappresentate in scena: la lagna, l’erinni, la capricciosa, la suocera, la succube e molto se ne ride da parte del pubblico femminile in sala. Caloroso il successo tributato da un pubblico composito e probabilmente assai speranzoso di poter vedere ancora macchine di scrittura cosi funzionanti al di là dei contenuti “sfacciati” per questa ennesima temperie di vecchi e nuovi conformismi in cui siamo calati.
Come dicevamo, proprio alla luce di queste aperture e di questo intenso e innovativo abitare la interaction, siamo piu che mai incuriositi arrivando alla conferenza stampa di Arena del Sole ERT. Anzitutto, dobbiamo rammentare a noi stessi che la caratura di questo grande progetto teatrale, che si vuole molto aperto in direzioni diverse che ci portano alla definizione di un vero sistema culturale complessivo, è regionale e non vuole assolutamente, nello stesso tempo, essere definito carrozzone, quanto piuttosto una imbarcazione accogliente, pronta a solcare mari perigliosi se non ignoti, cui allude il presidente di ERT, chiamando in causa legislazioni carenti o restrittive e vincoli di bilancio che rendono complesso un lavoro che lo è già di per sé.
Per ragionare su questa complessità che si traduce anche banalmente nello scegliere le proposte con un criterio, anche questa stagione sceglie un titolo tematico, che questa volta è una domanda, che forse dobbiamo tutti, seriamente porci, anche fuori dalle sale:bye bye, 9oo? Siamo dunque pronti a riflettere su di noi, sui nostri principi etici e culturali fondanti e a lasciar andare davvero il secolo breve?
Come viatico per questo viaggio difficile, Ert confeziona una ricca cartella stampa che declina in libretti e fascicoli le 5 programmazioni di Ert allegando 5 iconiche cartoline, rappresentative di quando il 900 fu innovativo, e segno un punto di non ritorno, nel bene e nel male.
Dunque, la tour Eiffel dei primi del 900, ma anche la bomba di Hiroshima, lo sbarco sulla luna, la caduta del muro di Berlino e la Statua della Libertà: è evidente da quanto viene detto in sala dai responsabili di stagione e dalle varie personalità del mondo economico e amministrativo che si avverte la grande responsabilità di essere oggi i teatri un luogo, un po’ tornato piazza di civiltà, l’unico dove non sembri fuori luogo porsi domande molto serie sul nostro stare e dove confluiscano di nuovo tanti giovani a quel che vedo. E non perché trascinati dall’insegnante di turno al fatidico matinée per le scuole. Luogo di potenziale Libertà, insomma, luogo di pratica democratica aggiungo e di non violenza rispetto a ciò che si vede in tanti altri spazi pubblici e luoghi aggreganti fisici o virtuali che siano.
Impossibile qui, ora, dar conto della vastità in senso geografico e temporale di tutti i cartelloni. Ci torniamo a breve e a mente fredda ad esaminare meglio le caratteristiche di questa stagione, che, ha del nuovo, ma non del nuovismo e si preoccupa saggiamente anche di far crescere ciò che si è seminato e a cui si è data fiducia e si sono offerte opportunità, come pure ci sono ritorni e la volontà di far dialogare le generazioni.
Un meccanismo che potrebbe funzionare a patto di garantire poi contemporaneamente palestre di teatro e di vita sempre pronte ad accogliere anche la prova fallace e la novità acerba. In ogni caso viene sottolineato come ERT sia organismo produttivo e ben 24 saranno le produzioni di questa stagione, alcune sono giustamente appunto, riprese e valorizzano il genius loci, come nel caso di Kepler452 e del suo Perdere le cose. Ma c’è il debutto alla regia di Lino Guanciale, non certo solo divo da fiction televisiva con un impegnativo lavoro sul troppo trascurato Canetti.
C’è il progetto Madre di Lola Arias dentro atlas of transitions Biennale e ritorna Pascale Rambert con Architecture una produzione che racconta l’Europa attraverso una brutale vicenda familiare. Radar è il titolo del cotè produttivo di Ert, significativo del fatto che l’attitudine a intercettare è un po’ lo spirito guida del suo direttore Claudio Longhi, quest’anno presente anche da regista con un lavoro sempre su Canetti. Ci sono ospitalità e ci sono grandi artisti di scuola bolognese e di grande repertorio ormai come le eccellenze formatesi ai tempi del grande e compianto Leo: Vetrano e Randisi, Mazza e Malfitano.
Al contempo trovano spazio e degna cornice settori importanti di ricerca di prossimo passato come la compagnia Tagliarini DeFlorian e di nuova leva come la drammaturga Liv Ferracchiati e, naturalmente, visto che da li eravamo partiti, ritorna Giorgina PI e Blue Motion, con questo Wasted, testo ipnotico e vibrante, di cui si è visto un assaggio al Mast qualche tempo fa. Da segnalare però le collaborazioni con le biblioteche, le letture ad alta voce, la sinergia con le case editrici di punta dal chiacchierato salone del Libro di Torino, la resa pubblica del lavoro della Editrice Luca Sossella sui testi prodotti da Arena. Insomma ci sarà da sentirsi meno soli nel nostro scontento e in queste stagioni che manco a farlo apposta sembrano solo inverno e coincidenti con questo ricco cartellone, tutto miracolosamente in pareggio di bilancio, che partirà all’undici di ottobre, per quanto concerne Bologna, per chiudersi il 30 maggio.

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