Il Nobel per la pace a «MariCori», la destra più reazionaria gode

di Claudia Fanti /
14 Ottobre 2025 /

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Ha compiuto un’impresa davvero degna di nota il Comitato per il Nobel norvegese: assegnando il più importante premio per la pace al mondo a María Corina Machado, è riuscito quasi – e ce ne voleva – a cancellare il sollievo per il suo mancato conferimento a Donald Trump, allungando la lista già piuttosto lunga di personalità, da Kissinger a Obama, premiate con totale demerito. Perché con la pace la leader estremista, la prima venezuelana e la sesta personalità latinoamericana a ricevere il riconoscimento, non ha proprio nulla da spartire.

CHISSÀ COSA AVREBBE DETTO Hugo Chávez, se fosse stato ancora vivo: era il 2011 quando, di fronte agli insulti dell’allora 44enne deputata di estrema destra discendente da una famiglia aristocratica, l’aveva fulminata con poche e precise parole: «Lei non ha i numeri per discutere con me. Le aquile non cacciano le mosche». 14 anni dopo, è stata proprio la leader di Vente Venezuela – nell’assordante ronzio dell’estrema destra latinoamericana, una delle mosche più rumorose – la prescelta del comitato norvegese, il quale forse, dopo aver inflitto a Trump una delusione epocale, ha voluto perlomeno premiare una trumpiana. E anche un’amica del Likud: «Oggi tutti noi che difendiamo i valori dell’Occidente stiamo a fianco di Israele, un genuino alleato della libertà», scriveva nel 2021, per poi auspicare tre anni dopo il trasferimento dell’ambasciata venezuelana a Gerusalemme.

UN PREMIO al momento giusto: quello in cui gli Stati Uniti, impegnati in un «conflitto armato» con i cartelli della droga nel Mar dei Caraibi, minacciano, con la convinta benedizione della neopremiata, di attaccare militarmente obiettivi legati al narcotraffico anche all’interno del territorio venezuelano, chiudendo ogni canale diplomatico con Caracas. Trump «non sta giocando», aveva dichiarato lei tutta contenta alla fine di agosto in un’intervista a Fox News dal suo nascondiglio segreto, definendo il governo Maduro «una struttura criminale» decisa ad «usare il Venezuela per canalizzare tonnellate di droga destinate al mercato statunitense».

COME «UNA DONNA che mantiene accesa la fiamma della democrazia in mezzo a un’oscurità crescente» l’ha descritta il Comitato norvegese, che ha ricordato «il suo instancabile lavoro nel promuovere i diritti democratici del popolo venezuelano» e «la sua lotta per raggiungere una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia».

Eppure, sulle credenziali democratiche di MariCori il popolo venezuelano avrebbe un bel po’ da dire, tra la sua partecipazione al colpo di Stato del 2002 contro Chávez e alle violente proteste anti-chaviste del 2014 e del 2017; il suo sostegno alla farsa del governo ad interim di Juan Guaidó, a cui poi avrebbe rinfacciato – a ragione – di aver fallito su tutta la linea; le sue invocazioni all’intervento straniero: «Le democrazie occidentali devono capire che un regime criminale cederà il potere solo di fronte alla minaccia credibile, imminente e severa dell’uso della forza», scriveva nel 2019.

A CONSACRARLA come una star nel firmamento della destra più reazionaria sarebbe stata però la sua partecipazione, malgrado fosse stata dichiarata ineleggibile per 15 anni, alle primarie dell’opposizione nell’ottobre del 2023, da lei stravinte – con il suo slogan «Hasta el final» – con oltre il 93% delle preferenze.

«Questa non è la fine ma il principio della fine», aveva gongolato: «Nel 2024 vinceremo. Manderemo a casa Nicolás Maduro e il suo regime e cominceremo la ricostruzione», sulla base di un programma non dissimile da quello di Milei, insieme al quale ha partecipato a settembre al vertice dell’estrema destra “Europa viva 2025”, organizzato in Spagna da Vox. Un programma, dall’ingannevole titolo “Tierra de gracia”, tra i cui punti centrali figuravano l’eliminazione dei programmi sociali e la vendita delle imprese strategiche (compresa la compagnia petrolifera statale Pdvsa).

Come sarebbe andata è storia nota. Non sarebbe stata lei, per via dell’ineleggibilità, a sfidare Maduro alle presidenziali del 2024, ma addirittura una terza scelta (dopo l’esclusione di una sua fedelissima, la filosofa Corina Yoris): Edmundo González Urrutia, risultato sconfitto al termine di un processo di cui non sarebbero mai stati comunicati i risultati definitivi.

«Oh mio Dio, non ho parole», è stata la reazione della dama de acero, la lady di ferro, come la chiamano in Venezuela, quando il segretario del Comitato di Oslo Kristian Berg Harpviken le ha telefonato per darle la notizia. «Questo è un premio per un intero movimento», ha poi aggiunto quando ha ritrovato la voce.

MA SE MARICORI È ARRIVATA fin lì lo deve soprattutto a Maduro: è grazie a lui, alla sua deriva autoritaria, alla sua contestatissima e mai dimostrata vittoria alle presidenziali e alla repressione disposta dal suo governo nei confronti di difensori dei diritti umani, giornalisti, attivisti sociali, cooperanti come il nostro Alberto Trentini ed esponenti politici tanto di destra quanto di sinistra, se a Oslo qualcuno ha potuto pensare a lei come a una fonte di ispirazione per i difensori della libertà.

Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto l’11 ottobre 2025

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