Nelle baruffe chiazzotte e astiose, intavolate dalla destra meloniana contro l’iniziativa della Global Sumud Flottilla, nelle ultime ore c’è stato un cambio repentino nel linguaggio usato. Il Presidente del Consiglio e tutto il suo codazzo di amplificatori stanno sorprendentemente parlando di quella “causa palestinese” che hanno amenamente ignorato da sempre e fino ad ora, o meglio, sono costretti a farlo dall’imponente impatto mediatico e politico che sta avendo l’esito della traversata della Flottilla.
Le piazze in tutt’Italia si sono riempite da subito di migliaia di manifestanti e lo saranno ancor di più nei prossimi giorni, in particolare venerdì nello sciopero generale convocato, una notizia nella notizia, unitariamente dai sindacati di base e dalla CGIL.
Venti barche della Flotilla sono state bloccate e duecento persone di cui ventidue italiani sono state arrestate. Non sappiamo ad ora quale sarà il destino dei pacifisti naviganti, degli aiuti umanitari che stanno cercando di consegnare ai palestinesi, delle loro barche. Una cosa è certa: la prossima Flottilla sarà non più composta da cinquanta barche, saranno centinaia, e la successiva sarà di migliaia, un nuovo “7 ottobre” pacifico e umanitario, certamente più efficace dell’altro.
Perché la verità di questa vicenda è che quelle persone hanno lanciato con grande coraggio, mettendo in gioco i propri corpi, un appello al mondo che ora, se ritiene, può rilanciare con tutta la sua forza. Non è possibile che avvenga un così atroce genocidio senza che l’umanità reagisca.
La lezione va a tutti – agli Stati, ai governi, ai partiti, alle forze sociali, ai cittadini: non si può far finta di non vedere, non si può assistere alla morte del diritto, non si può sopportare tanta ingiustizia! Bisogna reagire e nel modo più adeguato.
Purtroppo, la tragedia dell’oppressione del popolo palestinese, da troppi anni si è consumata nel silenzio e nell’indifferenza della gran parte delle principali autorità internazionali, a cominciare dall’Europa, che ha invece intrecciato con il governo israeliano, una fitta rete di rapporti economici, sia di tipo civile che militare.
Israele è diventato partner di molti governi europei (a cominciare dal nostro), in operazioni di implementazione di sofisticati sistemi di controllo, come dimostrano gli eventi in Italia dello spionaggio di giornalisti e attivisti. Israele testa le armi più moderne e micidiali sul popolo palestinese e le mette in vendita nelle fiere degli armamenti con questa atroce certificazione “guardate che funzionano bene, chiedetelo ai palestinesi”.
Israele è un piccolo stato che ha scelto la guerra come variabile indipendente della sua politica, perché ha deciso di impossessarsi di un territorio non suo e di impedire al popolo che lo ha abitato da sempre di realizzare la propria autodeterminazione.
“Non ci sarà mai uno Stato di Palestina” afferma beffardo e provocatorio Netanyahu. Basterebbero queste parole per muovere non una Flotilla di pacifisti, ma l’autorevolezza perduta del nostro mondo che afferma di fondarsi sul rispetto del diritto e non della legge del più forte.
Il cosiddetto “piano di pace” di Trump rivelerà ben presto la sua inefficace strumentalità, ma comunque questa tragica vicenda non è ancora finita e non finirà bene.
Nei prossimi giorni, forse, si determineranno condizioni nuove per proseguire con rinnovato impegno questa lotta per una giusta causa che merita una scelta di vita.