I partecipanti al Cammino per la pace e il disarmo -sconvolti dalla morte improvvisa dell’attivista nonviolento Marco Frigerio- non hanno preso parte alla cerimonia ufficiale in ricordo della strage nazifascista di 81 anni fa. Un’assenza non polemica ma politica: a genocidio in corso, dai rappresentanti delle istituzioni democratiche non si chiedono discorsi o promesse ma azioni concrete per fermare lo sterminio, come spiega Lorenzo Guadagnucci.
Marco Frigerio se n’è andato giovedì 7 agosto, fra le nostre braccia, sul sentiero che ci avrebbe portato da Monte Sole a Vergato e poi a Sant’Anna di Stazzema, dove stavolta non avremmo partecipato, noi del Cammino per la pace e il disarmo, alla cerimonia ufficiale in ricordo della strage nazifascista di 81 anni fa.
Un’assenza non polemica ma politica, per dire che a genocidio in corso, dai custodi della memoria ufficiale delle stragi -cioè dai rappresentanti delle istituzioni democratiche- non vogliamo né bei discorsi né promesse, ma fatti, azioni concrete per fermare lo sterminio in corso nella Striscia di Gaza, un genocidio del quale le democrazie europee, Italia inclusa, sono complici e partecipi.
L’unico modo per onorare la memoria dei trucidati di 81 anni fa, è agire per proteggere il popolo palestinese dai suoi carnefici. È un messaggio semplice, essenziale, eppure non si parla, a nessun livello, di sanzioni economiche verso Israele, di interventi diplomatici forti, dell’invio di forze di interposizione internazionali che separino l’esercito israeliano dalla popolazione palestinese. Niente del genere è all’ordine del giorno.
Marco è stato ucciso da un infarto e manca terribilmente alla sua famiglia -la moglie Isabella, le figlie Martina e Federica-, manca alle sue compagne di “Non una di meno” a Bergamo, manca a noi camminatori e camminatrici per la pace e il disarmo e a chiunque lo abbia conosciuto; ora tocca a noi proseguire l’impegno, i ragionamenti, i percorsi fatti finora insieme con lui, e dovremo farlo senza poter contare sulla sua lucidità, la sua attenzione, la sua forza di facitore di pace, per dirla con Alex Langer.
Con dispiacere, senza polemiche, ma con determinazione, avevamo deciso di non partecipare alla cerimonia di Sant’Anna di Stazzema, e così il 12 agosto, che è anche il giorno del suo funerale, il Cammino per la pace e il disarmo ha onorato la memoria di Marco Frigerio con la distribuzione a Sant’Anna, come previsto, del volantino che avevamo discusso e concordato per spiegare le ragioni del nostro dissenso, la nostra denuncia.
Un volantino che proprio Marco aveva materialmente redatto e messo a punto nella versione definitiva, mediando fra posizioni anche diverse, come lui sapeva ben fare, da amico della nonviolenza.
Credo, personalmente, che si possa dire anche di più e cioè che i fatti dell’ultimo anno confermino la persuasione raggiunta già un anno fa, nell’ottantesimo anniversario della strage, sul fallimento dei luoghi della memoria. Un fallimento strutturale, legato cioè al ruolo attribuito a questi luoghi dalla coscienza collettiva: un ruolo marginale, con funzioni principalmente consolatorie. Un ruolo non politico, visto che la memoria delle stragi, con le sue principali acquisizioni, non ha alcun peso nelle scelte politiche del presente. Avere capito, ragionando sugli eccidi, che tutte le guerre contemporanee sono guerre contro i civili e che i due maggiori insegnamenti che ne derivano ci portano a sostenere, per contrasto, che non ci sono guerre giuste e che tutte le vite contano; queste consapevolezze non sono state minimamente prese in considerazione al momento delle scelte, quando si è deciso di sostenere Israele nonostante il genocidio in corso, di non proteggere il popolo palestinese dallo sterminio. Ciò è avvenuto perché la memoria delle stragi non ha spessore politico, e nemmeno etico, se non come cornice per innocue dichiarazioni di principio e per generiche affermazioni di impegno per la pace, mai seguite da fatti concreti.
C’è dunque una memoria da ripensare e da ricostruire, allargando lo sguardo, aggiungendo altri luoghi, altri fatti storici, altri soggetti collettivi degni di far parte della coscienza collettiva; intanto, nei luoghi classici della memoria forse dovrebbe prevalere il silenzio: niente orazioni ufficiali, niente dichiarazioni di sdegno o promesse che non si possono mantenere. L’unica cerimonia possibile, oggi, sarebbe un’ora collettiva di silenzio, da ripetere ogni anno finché non ci sentiremo all’altezza, come collettività e come istituzioni, di una memoria che diventa azione quando altre stragi, altri eccidi vengono perpetrati anche in nostro nome, con la nostra complicità. Finché non verrà quel giorno -dunque a memoria rigenerata, e ci vorrà tempo- dovremmo chiedere alle nostre istituzioni di fare un gesto di umiltà e almeno lì tacere, lasciando che le scuole di pace di Sant’Anna e Monte Sole compiano la loro preziosa opera di formazione dal basso, persona per persona, giorno per giorno, perché di più le nostre istituzioni non sono in grado oggi di fare.
Quanto a noi, dovremmo divenire “facitori” di una memoria nuova, percorrendo nuove strade, e incalzando i poteri di oggi, quelle classi dirigenti che stanno aprendo le porte al disastro. A Londra migliaia di persone nella piazza del Parlamento hanno urlato “vergogna vergogna”: hanno ottenuto, come risposta, 500 arresti, ma quel grido è anche il nostro.
La tragedia di Gaza ha fatto implodere la memoria delle stragi e sta minando alla radice anche la tradizione e l’orgoglio dell’antifascismo, demolendo una dopo l’altra quelle prassi, quelle norme e quelle istituzioni nate proprio sull’onda del pensiero antifascista col preciso obiettivo di compiere un salto di civiltà, costruendo qualcosa di veramente nuovo sulle macerie della seconda guerra mondiale. La distruzione di Gaza nell’ignavia dell’Occidente porta con sé lo sgretolamento del diritto internazionale, l’accantonamento della Dichiarazione universale dei diritti umani, l’umiliazione delle Nazioni Unite, della Corte penale internazionale, della Corte internazionale di giustizia, insomma tutto ciò che era stato costruito per prevenire e contenere le guerre, per tutelare la dignità di ogni vita umana.
In questo modo si umilia e si accantona la tradizione antifascista, e non basteranno né una dichiarazione né un corteo ben riuscito a salvare l’antifascismo dall’irrilevanza. Servirà molto di più.
Prima lo capiamo, meglio è. Prima cominciamo a ricostruire la memoria e a contestare e mettere sotto assedio politico le nostre classi dirigenti, anche quelle che appaiono amiche ma sono vittime dell’apatia e della loro stessa retorica, prima cominceremo a essere degni degli ideali che proclamiamo. Insorgere, risorgere, dicevano (e praticavano) i nostri maggiori.
Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz”, “Parole sporche” e “Un’altra memoria”
Questo articolo è stato pubblicato su Altreconomia il 12 agosto 2025